Io mi arresto;
la mia mente inorridisce alla memoria di tanti orrori. Ma donde mai è nato
tanto furore negli animi de' sovrani d'Europa contro la rivoluzione francese?
Molte altre nazioni aveano cangiata forma di governo; non vi è quasi secolo che
non conti un cangiamento: ma né quei cangiamenti aveano mai interessati altri
che le corti direttamente offese, né aveano prodotto nelle altre nazioni alcun
sospetto ed alcuna persecuzione. Pochi anni prima, i saggi americani avean fatta
una rivoluzione poco diversa dalla francese, e la corte di Napoli vi avea
pubblicamente applaudito: nessuno avea temuto allora che i napolitani volessero
imitare i rivoluzionari della Virginia. Il pericolo de' sovrani è forse
cresciuto in proporzione de' loro timori?
I francesi
illusero loro stessi sulla natura della loro rivoluzione, e credettero effetto
della filosofia quello che era effetto delle circostanze politiche nelle quali
trovavasi la loro nazione.
Quella Francia,
che ci si presentava come un modello di governo monarchico, era una monarchia
che conteneva più abusi, più contraddizioni: la rivoluzione non aspettava che
una causa occasionale per iscoppiare. Grandi cause occasionali furono la
debolezza del re, l'alterigia, or prepotente or debole anch'essa, della regina
e di Artois, l'ambizione dello scellerato ed inetto Orléans, il debito delle
finanze, Necker, l'Assemblea de' notabili e, molto più, gli Stati generali. Ma,
prima che queste cagioni esistessero, eravi già antica infinita materia di
rivoluzione accumulata da molti secoli: la Francia riposava sopra una cenere
fallace, che copriva un incendio devastatore.
Tra tanti che
hanno scritta la storia della rivoluzione francese, è credibile che niuno ci
abbia esposte le cagioni di tale avvenimento, ricercandole, non già ne' fatti
degli uomini, i quali possono modificare solo le apparenze, ma nel corso eterno
delle cose istesse, in quel corso che solo ne determina la natura? La leggenda
delle mosse popolari, degli eccidi, delle ruine, delle varie opinioni, de' vari
partiti, forma la storia di tutte le rivoluzioni, e non già di quella di
Francia, perché nulla ci dice di quello per cui la rivoluzione di Francia
differisce da tutte le altre. Nessuno ci ha descritto una monarchia assoluta,
creata da Richelieu e rinforzata da Luigi decimoquarto in un momento; una
monarchia surta, al pari di tutte le altre di Europa, dall'anarchia feudale,
senza però averla distrutta, talché, mentre tutti gli altri sovrani si erano
elevati proteggendo i popoli contro i baroni, quello di Francia avea nel tempo
istesso nemici ed i feudatari, ivi più potenti che altrove, ed il popolo ancora
oppresso; le tante diverse costituzioni che ogni provincia avea; la guerra
sorda ma continua tra i diversi ceti del regno; una nobiltà singolare, la
quale, senza esser meno oppressiva di quella delle altre nazioni, era più
numerosa, ed a cui apparteneva chiunque voleva, talché ogni uomo, appena che
fosse ricco, diventava nobile, ed il popolo perdea così financo la ricchezza;
un clero, che si credeva essere indipendente dal papa e che non credeva
dipendere dal re, onde era in continua lotta e col re e col papa; i gradi
militari di privativa de' nobili, i civili venali ed ereditari, in modo che
all'uomo non nobile e non ricco nulla rimaneva a sperare; le dispute che tutti
questi contrasti facevano nascere; la smania di scrivere, che indi nasceva e
che era divenuta in Francia un mezzo di sussistenza per coloro i quali non ne
avevano altro, e che erano moltissimi; la discussione delle opinioni a cui le
dispute davan luogo ed il pericolo che dalle stesse opinioni nasceva, poiché su
di esse eran fondati gl'interessi reali de' ceti; quindi la massima
persecuzione e la massima intolleranza per parte del clero e della corte,
nell'atto che si predicava la massima tolleranza dai filosofi; quindi la
massima contraddizione tra il governo e le leggi, tra le leggi e le idee, tra
le idee e li costumi, tra una parte della nazione ed un'altra; contraddizione che
dovea produrre l'urto vicendevole di tutte le parti, uno stato di violenza
nella nazione intera, ed in séguito o il languore della distruzione o lo
scoppio di una rivoluzione. Questa sarebbe stata la storia degna di
Polibio9.
La Francia avea
nel tempo istesso infiniti abusi da riformare. Quanto maggiore è il numero
degli abusi, tanto più astratti debbono essere i princìpi della riforma ai
quali si deve rimontare, come quelli che debbono comprendere maggior numero di
idee speciali. I francesi furono costretti a dedurre i princìpi loro dalla più
astrusa metafisica, e caddero nell'errore nel qual cadono per l'ordinario gli
uomini che seguono idee soverchiamente astratte, che è quello di confonder le
proprie idee colle leggi della natura. Tutto ciò che avean fatto o volean fare
credettero esser dovere e diritto di tutti gli uomini.
Chi paragona la
Dichiarazione de' diritti dell'uomo fatta in America a quella fatta in
Francia, troverà che la prima parla ai sensi, la seconda vuol parlare alla
ragione: la francese è la formola algebraica dell'americana. Forse quell'altra Dichiarazione
che avea progettata Lafayette era molto migliore.
Idee tanto
astratte portano seco loro due inconvenienti: sono più facili ad eludersi dai
scellerati, sono più facili ad adattarsi a tutt'i capricci de' potenti; i
turbolenti e faziosi vi trovano sempre di che sostenere le loro pretensioni le
più strane, e gli uomini dabbene non ne ricevono veruna protezione. Chi guarda
il corso della rivoluzione francese ne sarà convinto.
I sovrani
credettero, come i francesi, che la loro rivoluzione fosse un affare di
opinione, un'opera di ragione, e la perseguitarono. Ignorarono le cagioni vere
della rivoluzione francese e ne temettero gli effetti per quello stesso motivo
per il quale non avrebbero dovuto temerli. Quando e dove mai la ragione ha
avuto una setta? Quanto più astratte sono le idee della riforma, quanto più
rimote dalla fantasia e da' sensi, tanto meno sono atte a muovere un popolo.
Non l'abbiamo noi veduto in Italia, in Francia istessa? Nel modo in cui i
francesi aveano esposti i santi princìpi dell'umanità, tanto era sperabile che
gli altri popoli si rivoluzionassero,
quanto sarebbe credibile che le nostre pitture di ruote di carozze si
perfezionino per i princìpi di prospettiva dimostrati col calcolo differenziale
ed integrale.
Se il re di
Napoli avesse conosciuto lo stato della sua nazione, avrebbe capito che non mai
avrebbe essa né potuto né voluto imitar gli esempi della Francia. La
rivoluzione di Francia s'intendeva da pochi, da pochissimi si approvava, quasi
nessuno la desiderava; e, se vi era taluno che la desiderasse, la desiderava
invano, perché una rivoluzione non si può fare senza il popolo, ed il popolo
non si move per raziocinio, ma per bisogno. I bisogni della nazione napolitana
eran diversi da quelli della francese: i raziocini de' rivoluzionari eran
divenuti tanto astrusi e tanto furenti, che non li potea più comprendere.
Questo pel popolo. Per quella classe poi che era superiore al popolo, io credo,
e fermamente credo, che il maggior numero de' medesimi non avrebbe mai
approvate le teorie dei rivoluzionari di Francia. La scuola delle scienze
morali e politiche italiane seguiva altri princìpi. Chiunque avea ripiena la
sua mente delle idee di Machiavelli, di Gravina, di Vico, non poteva né prestar
fede alle promesse né applaudire alle operazioni de' rivoluzionari di Francia,
tostoché abbandonarono le idee della monarchia costituzionale. Allo stesso modo
la scuola antica di Francia, quella per esempio di Montesquieu, non avrebbe
applaudito mai alla rivoluzione. Essa rassomigliava all'italiana, perché
ambedue rassomigliavan molto alla greca e latina.
In una
rivoluzione è necessità distinguere le operazioni dalle massime. Quelle sono
figlie delle circostanze, le quali non sono mai simili presso due popoli;
queste sono sempre più diverse di quelle, perché il numero delle idee è sempre
molto maggiore di quello delle operazioni ed, in conseguenza, più facile la
diversità, più difficile la rassomiglianza. Non vi è popolo il quale non conti
nella sua storia molte rivoluzioni: quando se ne paragonano le operazioni, esse
si trovan somiglianti: paragonate le idee e le massime, si trovano sempre
diversissime.
Chiunque vede
una rivoluzione in uno Stato vicino deve temere o delle operazioni o delle
idee. I mezzi per opporsi alle operazioni sono tutti militari: qualunque sieno
le idee che due popoli seguono, vincerà quello che saprà meglio far la guerra;
e quello la farà meglio, che avrà migliori ordini, più amor di patria, più
valore e più disciplina. Il mezzo per opporsi al contagio delle idee (lo dirò
io?) non è che un solo: lasciarle conoscere e discutere quanto più sia
possibile. La discussione farà nascere le idee contrarie: è effetto dell'amor
proprio: due uomini sono sempre più concordi al principio della discussione che
alla fine. Nate una volta queste massime contrarie, prenderanno il carattere di
massime nazionali; accresceranno l'amor della patria, perché quelle nazioni più
ne hanno che più differiscono dalle altre: accresceranno l'odio contro le
nazioni straniere, la fiducia nelle proprie forze, l'energia nazionale; non solamente
si eviterà il contagio delle opinioni, ma si riparerà anche alla forza delle
operazioni. Mi si dice che il marchese del Gallo, quando ebbe letto l'elenco di
coloro che trovavansi arrestati per cospiratori, ridendone al pari di tutti i
buoni, propose al re di mandarli viaggiando. - Se son giacobini - egli diceva,
- mandateli in Francia: ne ritorneranno realisti.- Questo consiglio è pieno di
ragione e di buon senso, e fa onore al cuore ed alla mente del marchese del
Gallo. Vince una rivoluzione colui che meno la teme. I sovrani colla
persecuzione fanno diventar sentimenti le idee, ed i sentimenti si cangiano in
sètte: il loro timore li tradisce, e cadono talora vittime delle stesse loro
precauzioni eccessive. Si proibirono in Napoli tutti i fogli periodici: si
voleva che il popolo non avesse neanche novella de' francesi. Così un oggetto,
che, osservato da vicino, avrebbe destato pietà o riso, fu come il fascio di
sarmenti di Esopo, che dall'alto mare sembrava un vascello. Un'indomabile
curiosità ne spinge a voler conoscere ciò che ci si nasconde, e l'uomo suppone
sempre più belle e più buone quelle cose che sono coperte da un velo.
Ma io immagino
talora, invece de' nostri re, nelle crisi attuali dell'Europa, Filippo di
Macedonia. La Grecia a' di lui tempi era divisa tra i spartani ed ateniesi, i
quali facevano la guerra per opinioni di governo ed uniti ai filosofi, che in
quell'epoca discutevano le costituzioni greche, come appunto oggi li nostri
filosofi discutono le nostre, stancavano i greci con guerre sanguinose e con
cavillose dottrine. Così sempre suole avvenire: tra le varie rivoluzioni si
obbliano le antiche idee, si perdono i costumi e, ridotte una volta le cose a
tale stato, gli intriganti, tra' quali i potenti tengono il primo luogo,
guadagnano sempre, perché alla fine i popoli si riducono a seguir quelli che
loro offrono maggiori beni sul momento; e così il massimo amore della libertà,
producendo l'esaltazione de' princìpi, ne accelera la distruzione e rimena una
più dura servitù. Filippo con tali mezzi acquistò l'impero della Grecia.
È una disgrazia
pel genere umano quando la guerra porta seco il cambiamento o della forma di
governo o della religione: allora perde il suo oggetto vero, che è la difesa di
una nazione, ed ai mali della guerra esterna si aggiungono i mali anche più
terribili dell'interna. Allora lo spirito di partito rende la persecuzione
necessaria, e la persecuzione fomenta nuovo spirito di partito; allora sono
que' tempi crudeli anche nella pace. L'alta Italia ci ha rinnovati gli stessi
esempi di Sparta ed Atene, quando le sue repubbliche, invece di restringersi a
difender la loro costituzione, sotto il nome or di guelfi or di ghibellini,
vollero riformare l'altrui; e gli stessi errori ebbero nell'Italia gli stessi
effetti. Scala, Visconti, Baglioni, ecc., rinnovarono gli esempi di Filippo.
Tali epoche
politiche sono meno contrarie di quello che si crede ai sovrani che sanno
regnare. Ma in tali epoche vince sempre il più umano, ed io oso dire il più
giusto. Oggi i repubblicani sono più generosi e perdonano ai realisti; i re con
una stolta crudeltà non dànno veruna tregua ai repubblicani: questo farà sì che
essi avranno in breve freddi amici ed accaniti nemici. Quando l'armata del
pretendente scese in Inghilterra, faceva impiccare tutt'i prigionieri di
Hannover; Giorgio liberava tutt'i prigionieri del pretendente: questo solo
fatto, dice molto bene Voltaire, basta a far decidere della giustizia de' due
partiti, pronosticare la loro sorte futura10.
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