La guerra fu risoluta.
Si pubblica un proclama, col quale il re di Napoli, con equivoche parole,
dichiara che egli voleva conservar l'amicizia che aveva colla repubblica
francese, ma che si credeva oltraggiato per l'occupazione di Malta, isola che
apparteneva al regno di Sicilia, e non poteva soffrire che fossero invase le
terre del papa, che amava come suo antico alleato e rispettava come capo della
Chiesa; che avrebbe fatto marciare il suo esercito per restituire il territorio
romano al legittimo sovrano (si
lascia in dubbio se questo sovrano fosse o no il papa); ed invita qualunque
forza armata a ritirarsi dal territorio romano, perché, in altro caso, se le
sarebbe dichiarata la guerra. Simile proclama non si era veduto in nessun
secolo della diplomazia, a meno che i romani non ne avessero formato uno,
allorché ordinarono agli altri greci di non molestar gli acarnanii, perché tra
i popoli della Grecia erano stati i soli che non avevano inviate truppe
all'assedio di Troia.
Questo proclama
fu pubblicato a' 21 novembre. A' 22 tutto l'esercito partì e, diviso in sette
colonne, per sette punti diversi entrò nel territorio romano. Le colonne che
mossero da San Germano e da Gaeta si avanzarono rapidissimamente. Né la
stagione dirottamente piovosa, né i fiumi che s'incontrarono pel cammino, né la
difficoltà de' trasporti di artiglieria e viveri in cammini impraticabili per
profondissimo fango, fecero arrestar gli ordini di Mack. Egli non faceva che
correre: si lasciava indietro l'artiglieria, cominciavano a mancare i viveri,
il soldato era privo di tutto, avea bisogno di riposo; e Mack correva. Le
colonne di Micheroux e di Sanfilippo erano state già battute negli Apruzzi. La
voce pubblica di questo rovescio incolpò i generali; ma è certo che
posteriormente la condotta di Micheroux è stata esaminata da un Consiglio di
guerra ed è stata trovata irreprensibile. Di Sanfilippo non sappiamo nulla. Ma
la voce pubblica in questi casi non merita mai intera fede, perché il popolo
giudica per l'ordinario dall'esito e spesso dà più lode e più biasimo di quello
che taluno merita. Mack, il quale non avea pensato mai a stabilire una ferma
comunicazione tra i diversi corpi del suo esercito ed un concerto tra le varie
loro operazioni, non seppe se non tardi un avvenimento il quale dovea cangiar
tutto il suo piano, ed intanto continuava a correre. Giunse a' 27 di novembre
in Roma. S'impiegarono cinque giorni in un cammino che ne avrebbe richiesto
quindici. Non si concessero che cinque ore di riposo sotto le armi alla truppa,
e fu costretta di nuovo a correre a Civita Castellana. Per la strada i viveri
mancarono del tutto: i provvisionieri dell'esercito chiedevano invano a Mack
ove dovessero inviarli; gli ordini del generale erano tanto rapidi, che, mentre
si eseguiva il primo, si era già dato il secondo, il terzo, il quarto, il
quinto; i viveri si perdevano inutili per le strade, ed i soldati e i cavalli
intanto morivano di fame. Quando giunsero a Civita Castellana, i nostri da tre
giorni non avean veduto pane. Essi erano nell'assoluta impossibilità di poter
reggere a fronte di un nemico fresco, che conosceva il luogo e che distrusse il
nostro esercito, raggirandolo qua e là per siti ove il maggior numero era
inutile.
Mack non seppe
ispirar coraggio ad una truppa nuova, esercitandola con piccole scaramucce
contro i piccoli corpi nemici che incontrò da Terracina a Roma e che, messi per
insensato consiglio in libertà, produssero due mali gravissimi: il primo de'
quali fu quello di non avvezzare le truppe sue alla vittoria quando questa era
facile e sicura; il secondo, di accrescer il numero de' nemici nel momento
delle grandi e pericolose azioni. Non seppe Mack far battere due colonne nello
stesso tempo: furon tutte disfatte in dettaglio. Mack ignorava i luoghi dove si
trovava e, sull'orlo del precipizio, credeva e faceva credere al re che le cose
andavano prospere. Per la resistenza che i francesi avean fatta all'esercito
del re delle Due Sicilie, costui dichiarò loro la guerra a' 7 dicembre, cioè
quando la guerra per le disfatte ricevute era già terminata, e dovea pensarsi
alla pace. Dopo due altri giorni, tutto l'esercito fu in rotta, e Mack non
trovò altra risorsa che correre indietro, come prima avea corso in avanti. In
meno di un mese, Ferdinando partì, corse, arrivò, conquistò il regno altrui,
perdette uno de' suoi e, poco sicuro dell'altro, fu quasi sul punto di fuggire
fino al terzo suo regno di Gerusalemme per ritrovare un asilo.
Io non sono un
uomo di guerra: gli altri leggeranno la storia di tali avvenimenti nelle Memorie
di Bonamy ed in quelle del nostro Pignatelli, che vide i fatti e che era capace
di giudicarne. Mack ha pubblicato anch'egli la sua Memoria. Egli
calunnia la nazione e l'esercito. Ma l'esercito, alla testa del quale fu
battuto, non era quello stesso esercito col quale, mentre taluno lo consigliava
a procedere più adagio, egli avea detto di voler conquistare l'Italia in
quindici giorni?23.
Quest'uomo, che
un momento prima sfidava tutte le potenze della terra, al primo rovescio
perdette tutto il suo genio. Sebbene battuto, pure conservava tuttavia forze
infinitamente superiori; e, se non poteva vincere, poteva almeno resistere:
cogli avanzi del suo esercito poteva fermarsi a Velletri oppure al Garigliano,
ove potea per lungo tempo contendere il passo: potea salvar Gaeta e salvare il
Regno. Ma egli, che nella sua fortuna non avea fatto altro che correre, nella
disgrazia non seppe far altro che fuggire; né si fermò se non giunse a Capua,
dove pensava difendersi e dove non si trattenne che un momento.
Capua si poteva
facilmente difendere e di là forse si potea con migliori auspìci ritentar di
nuovo la sorte delle armi. Ad un proclama che si pubblicò per la leva in massa,
tutto il Regno fu sulle armi. Gli apruzzesi si opposero alla divisione di Rusca
e, se non riuscirono ad impedirgli il passo, fecero però sì che gli costasse
molto caro. Tra le montagne impraticabili della provincia dell'Aquila non si
pervenne mai ad estinguere l'insorgenza, e la stessa capitale della provincia
non fu che per pochi giorni in poter de' francesi, ridotti a doversi difendere
entro il castello. L'altra divisione, che venne per Terracina e Gaeta, si
avanzò fino a Capua, ma non potette impedire l'insorgenza, che era scoppiata ad
Itri e Castelforte; e gl'insorgenti, che cedettero per poco le pianure, si
rifuggirono nelle loro montagne, donde tornarono poco dopo ad infestare la coda
dell'esercito francese, che vide rotta ogni comunicazione coll'alta Italia. Un
corpo di truppe difendeva con valore e con felice successo il passo di Caiazzo.
Capua avea quasi dodicimila uomini di guarnigione. Tutti gli abitanti delle
contrade di Nola e di Caserta eransi levati in massa, ed eravi ancora un corpo
di truppe intatto comandato da Gams.
Io dirò cosa
che ai posteri sembrerà inverosimile, ma che intanto mi è stata giurata da
quasi tutt'i capuani. Se Capua non fu presa per sorpresa non fu merito di Mack,
ma di un semplice tamburo o cannoniere che fosse stato, il quale di proprio
movimento die' fuoco ad un cannone de' posti avanzati verso San Giuseppe e fece
sì che i francesi si arrestassero. Mack certamente non avea data alcuna
disposizione di difesa.
Io lo ripeto:
non sono uomo di guerra, né imprendo ad esaminar ad una ad una le operazioni e
gli accidenti della campagna. Ma io credo che gli accidenti debbano mettersi a
calcolo e che la somma finale dell'esito dipenda meno dagli accidenti che dal
piano generale. Mack peccò naturalmente nell'estender troppo la linea delle sue
operazioni, talché il minimo urto dell'inimico gliela ruppe. Ebbe più cura
dell'inimico che gli stava a fronte che di quello che gli stava sui fianchi,
mentre forse questo era sempre più terribile di quello; quindi è che egli si
avanzò sempre rapidissimamente, e questa stessa rapidità, che alcuni chiaman
vittoria, fu la cagione principale delle sue inopinate irreparabili disfatte.
Battuto in un punto, Mack fu battuto in tutta la linea, perché tutta la linea
gli fu rotta. Quando Mack preparava un piano tanto vasto per combattere un
inimico debolissimo, molti dissero che Mack era un gran generale, perché molti
sono quelli che misurano la grandezza di una mente dalla grandezza delle forze
che move: io dissi che era poco savio, perché la saviezza consiste nel produrre
il massimo effetto col minimo delle forze. Mack è un generale da brillare in un
gabinetto, perché in un gabinetto appunto, e prima dell'azione, predomina nelle
menti del maggior numero l'errore di confonder la grandezza della macchina
colla grandezza dell'artefice. Non manca Mack di quelle cognizioni teoretiche
della scienza militare che impongono tanto facilmente al maggior numero. È
sicuro di ottenere in suo favore la pluralità de' voti un generale il quale vi
parli sempre di matematica, geografia, storia, che vi rammenta i nomi antichi
di tutt'i sciti, vi enumera tutte le grandi battaglie che gli hanno illustrati
ed, a confermar ogni evoluzione che gli vien fatta d'immaginare, vi adduce
l'esempio di Eugenio, di Montecuccoli, di Cesare, di Annibale e di Scipione. Il
buon senso per altro pare che ci dovrebbe indurre a diffidare dei piani di
campagna troppo eruditi: essi per necessità son troppo noti anche all'inimico,
ed in conseguenza inutili. Tutto il vero segreto della guerra, dice
Macchiavelli, consiste in due cose: fare tutto ciò che l'inimico non può
sospettar che tu faccia, lasciargli fare tutto ciò che tu hai previsto che egli
voglia fare: col primo precetto renderai inutile ogni sua difesa, col secondo
ogni offesa. Questi capitani soverchiamente sistematici hanno anche un altro
difetto, ed è quello di dar un nesso, una concatenazione troppo stretta alle
loro idee: si mandano il loro piano a memoria e, se avviene che una volta la
fortuna della guerra lo tocchi, rassomigliano i fanciulli che han perduto il
filo della loro lezione e son costretti ad arrestarsi. Vuoi conoscere a segni
infallibili uno di questi capitani? Soffre pochissimo la contraddizione ed i
consigli altrui: il criterio della verità è per lui, non già la concordanza tra
le sue idee e le cose, ma bensì tra le sue idee medesime. Prima dell'azione
sono audacissimi, timidissimi dopo l'azione: audacissimi, perché non pensano
che le cose possan esser diverse dalle idee loro; timidissimi, perché, non
avendo prevista questa diversità, non vi si trovan preparati. Affettano ne'
loro discorsi estrema esattezza; ma questa è inesattissima, perché trascurano
tutte le differenze che esistono nella natura. Numerano gli uomini e non li
valutano: più che nell'uomo confidan nell'esercito, più che nella virtù
dell'animo confidano in quella del corpo e più che nel valore confidan nella
tattica. Questi duci più potenti in parole che in opere prevalgon sempre, per
disgrazia delle nazioni, o quando gli ordini militari di uno Stato sono tali
che tutta l'esecuzione di una guerra dipenda da un'assemblea e da un Consiglio,
o quando coloro che reggono la somma delle cose non sono esenti da ogni spirito
di partito; e questo non è certamente il minore de' mali che lo spirito di
partito e gli ordini mal congegnati soglion produrre.
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