La legge
feudale richiedeva più lungo esame e presentava interessi più difficili a
conciliarsi. Quella dei fedecommessi toglieva poco ai possessori dei medesimi,
e quel poco davalo ai figli ed ai fratelli loro: la legge dei feudi toglieva ai
feudatari moltissimo, e questo passava agli estranei, che talvolta erano i loro
nemici. Intanto, l'abolizione dei feudi era il voto generale della nazione. Gli
abitanti delle province ardevano di tanta impazienza, che aveano quasiché
strascinato il re a dare alla feudalità de' colpi, i quali sentivano più di
democrazia che di monarchia. Io dico ciò per un modo di dire, ma non son certo
che la feudalità convenga più all'una che all'altra di queste due forme di
governo. La forma di governo a cui la feudalità meglio conviene è
l'aristocrazia: aristocratici erano i governi di tutta l'Europa nell'epoca in
cui la feudalità prevaleva. Le monarchie presenti dell'Europa eransi elevate
sulle rovine della medesima: ove essa era rimasta intatta, il governo era rimasto
aristocratico, siccome in Polonia; ove era stata temperata, ma non distrutta,
era surto una specie di governo misto, come in Inghilterra e nella Svezia: ove
era stata interamente distrutta, era surto un governo aristocratico, come in
una grandissima parte dell'Europa, e specialmente in quella parte che altre
volte componeva l'immensa monarchia di Spagna, essa era rimasta in uno stato
singolare, dove, avendo perduti tutt'i diritti che rappresentava in faccia al
sovrano, avea conservati tutti quelli che una volta avea sul popolo. Prendendo
per punto di paragone un vassallo degl'imperatori svevi, un pari della Gran
Bretagna gli somiglia molto più che un napolitano quando è nel parlamento, il
napolitano gli somiglia molto più dell'inglese quando è nelle sue terre.
Ma i primi
diritti sono gloriosi al feudatario e posson esser utilissimi ed al sovrano ed
allo Stato; i secondi sono al feudatario vergognosi, perché non è mai glorioso
tutto ciò che è oppressivo e nocivo allo Stato, al sovrano, agli stessi baroni,
perché tendono a distruggere l'industria, dalla quale solamente dipende la vera
prosperità di una nazione. Questi diritti sono i diritti dei popoli barbari.
Ovunque si sviluppa l'industria, essi vanno a cadere in obblio, ed è interesse
degli stessi feudatari che ciò succeda. In Russia gli stessi grandi possessori
di terra hanno incominciato a dar libertà e proprietà agli uomini che le
abitano: con questa sola operazione, han quasi triplicato il valore delle terre
loro.
I feudatari
prevedevano che la rivoluzione li avrebbe obbligati a nuovi sacrifici, e
bramavano che fossero i minori possibili. Taluni repubblicani troppo ardenti
avrebbero voluto loro toglier tutto. Tra questi due estremi il mezzo era
difficile a rinvenirsi. Non vi era neanche un esempio da seguire: la Francia,
ove i grandi feudatari eran rimasti distrutti dalla guerra civile, non ebbe
bisogno di leggi dopo l'opera delle armi35. Giuseppe secondo nella
Lombardia avea da lungo tempo eguagliata la condizione de' beni.
Molte
popolazioni incominciarono dal fatto, prendendo il possesso di tutti i beni de'
baroni: se tutte avessero fatto lo stesso, la legge sarebbe stata men difficile
a concepirsi. La forza autorizza molte cose che la ragione non deve ordinare,
ed il popolo stesso ama di veder approvati molti trascorsi che fremerebbe
vedendo comandati.
La discussione
del progetto di legge fu interessante. Le due parti contendenti seguivano
opinioni diverse, secondo i loro diversi interessi; i princìpi erano opposti,
e, come suole avvenire allorché si va agli estremi, né sempre veri né sempre
atti alla quistione.
I feudatari
credevano che la conquista potesse essere un diritto; i repubblicani la
credevano sempre una forza, e, quando anche avesse potuto diventar diritto,
dicevano che, se un tempo i baroni aveano conquistata la nazione, ora la
nazione avea conquistati i baroni: una nuova conquista potea spogliare gli
usurpatori nel modo stesso e collo stesso diritto con cui essi spogliato aveano
altri usurpatori più antichi.
I feudatari
credevano legittimi tutti i titoli che dipendevano dall'antico governo, che
essi riputavano del pari legittimo: i patrioti credevano illegittimo tutto ciò
che non era stato fatto da una repubblica. Se si udivano i feudatari, tutto
dovea conservarsi; se si udivano i patrioti, tutto dovea distruggersi, poiché,
dichiarato una volta illegittimo un governo, non vi era ragione per cui parte
dei suoi atti si dovesse abolire e parte conservare.
Questo era lo
stesso che far la causa degli usurpatori e dei governi e non dell'umanità e
della nazione, che eran tradite per soverchio zelo dai loro stessi difensori.
Oggi si dice: - Un re non potea far questo; - domani un re avrebbe detto: -
Questo non si potea far da una repubblica. - Quando prenderemo noi per
principio la salute del popolo ed esamineremo, non ciò che un governo potea, ma
solo ciò che dovea fare?
Voler ricercare
un titolo di proprietà nella natura è lo stesso che voler distruggere la
proprietà: la natura non riconosce altro che il possesso, il quale non diventa
proprietà se non per consenso degli uomini. Questo consenso è sempre il
risultato delle circostanze e dei bisogni nei quali il popolo si trova. Tutto
ciò che la salute pubblica imperiosamente non richiede, non può senza tirannia
esser sottomesso a riforma, perché gli uomini, dopo i loro bisogni, nulla hanno
e nulla debbono aver di più sacro che i costumi dei loro maggiori. Se si
riforma ciò che non è necessario riformare, la rivoluzione avrà molti nemici e
pochissimi amici.
La feudalità
presso di noi presentava una massa immensa di possessi, di proprietà, di
esazioni, di preminenze, di diritti, acquistati, ricevuti, usurpati da diverse
mani ed in tempi diversi. I feudatari non furono in origine che semplici
possessori di fondi coll'obbligo della fedeltà, e, colla legge della
devoluzione, essi non differivano dagli altri proprietari se non per aver
ricevute dalla mano di un uomo quelle terre che altri ricevute avea dalla
sorte. Ma i grandi feudatari erano nel tempo istesso grandi officiali della
corona, ed, in tempi di anarchia o di debolezza, quei rappresentanti della
sovranità, potenti ed inamovibili, fecero obbliar la sovranità che
rappresentavano: quei diritti, che essi esercitavano come officiali della
corona, divennero prima diritti del feudatario, indi della sua famiglia,
finalmente del feudo. In tempi di continue guerre civili, i pochi uomini liberi
che eran rimasti nelle nostre regioni, non avendo né sicurezza né proprietà,
chiesero la protezione dei potenti e l'ottennero a prezzo di libertà.
Grandi erano
certamente questi abusi; ma tale era l'infelicità dei tempi, tale la condizione
degli uomini, tale la desolazione delle nostre contrade, che essi dovettero
sembrar tollerabili effetti, e talora, giunti all'estremo, produssero il
ritorno del bene. Gli uomini moltiplicati dovettero estendere la loro industria
e reclamarono la loro libertà civile: è questo il primo passo che le nazioni
fanno verso la coltura. Un re di spirito generoso, che voleva elevarsi, si rese
forte col favore del popolo, che egli difese contro gli altri tiranni minori, e
le monarchie di Europa sorsero dalle rovine dell'aristocrazia feudale. Noi
vediamo nella nostra storia tutti i passi dati dal popolo, le opposizioni de'
baroni, l'ondeggiar perpetuo de' sovrani a seconda che temevano o de' baroni o
de' popoli, e la rapacità del fisco, eterno traditore de' baroni, de' popoli e
dei re. La storia indica la strada da seguire uniforme alle idee de' popoli; le
stesse leggi feudali indicano la riforma della feudalità; quella riforma, che i
popoli bramano, che i baroni non possono impugnare.
Non bastava una
legge che dichiarasse abolita la feudalità: questa legge sarebbe stata più
pomposa che utile. Poco rimaneva presso di noi che avesse l'apparenza feudale:
il difficile era riconoscer la feudalità anche dove parea che non vi fosse. I
feudatari aveano de' diritti acquistati come officiali della corona e come
protettori de' popoli: tali diritti non doveano più esistere in una forma di
governo, in cui la sovranità veniva restituita al popolo ed il cittadino non
dovea aver altro protettore che la legge. I baroni possedevano delle terre: non
bastava che queste fossero eguagliate alla condizione delle altre. Se la
riforma fosse rimasta a questi termini, i baroni, sgravati dall'adoa e dalla
devoluzione, divenuti proprietari di terre libere, avrebbero guadagnato molto più
di quello che loro dava l'esazione de' diritti incerti, vacillanti ed odiosi:
il popolo non avrebbe guadagnato nulla. In una nazione, in cui l'industria è
attiva, sarà vantaggio del feudatario far coltivare le sue terre dall'uomo
libero, anziché dallo schiavo. Una nazione oziosa e povera chiede esser
sgravata dai tributi: una nazione ricca ed industriosa è contenta di pagare,
purché abbia mezzi di accrescer la sua industria. Nell'immensa estensione di
terreni che i baroni possedevano, non vi erano che pochi i quali appartenessero
al feudo: negli altri voi vedevate un cumulo di diritti diversi accatastati
l'uno sopra l'altro ed appartenenti a persone diverse, tra le quali era facile
il riconoscere che il più potente dovea esser l'usurpatore. Quindi veniva restituita
alle popolazioni gran parte di quella massa di terreni feudali, chiamati
«demaniali de' feudi» e che ne formavano la maggior parte; i boschi doveano per
necessità divenire oggetti di pubblica ispezione; ai feudatari veniva a rimaner
pure tanto di terreno da esser ricchi, quando all'ozio avessero sostituita
l'industria; e la nazione, senza legge agraria, avrebbe avuta, se non la perfetta eguaglianza, almeno quella
moderazione di beni, che in una gran nazione è più utile, meno pericolosa e più
vicina alla vera eguaglianza.
Non mai si vide
più chiaramente quanto il freddo e costante esame sia più pericoloso agli
usurpatori che il caldo e momentaneo entusiasmo. I baroni avrebbero mille volte
amato ritornare ai princìpi della «conquista» e della «legittimità», che,
sebbene in apparenza più distruttivi, erano più facili a combattersi, più
facili ad eludersi nell'esecuzione. Ma come combattere princìpi evidenti, che
essi stessi aveano riconosciuti anche nell'abolito governo?
Ad onta di
tutto ciò, il progetto non passò senza grandi dispareri: la spirante feudalità
avea tuttavia molti difensori. Talun legislatore credeva nulla potersi decidere
sulla feudalità, perché nulla avea deciso la Francia: invincibile argomento per
un rappresentante di una nazione libera ed indipendente! Pagano credeva non
esser giunto ancora il tempo di decidere la controversia: egli riconosceva
necessarie e giuste le abolizioni de' diritti, ma voleva che non si toccassero
i terreni, quasi che un popolo non dovesse esser oppresso, ma potesse essere
legittimamente misero. Taluno volea che l'affare si fosse commesso ad un
tribunale, che si sarebbe di ciò incaricato; ma, se le leggi sono fatte pel
popolo, i giudizi sono fatti per i potenti, i quali, col possesso, coi cavilli
e talora colla prevaricazione, riacquistano coi giudizi tutto ciò che il popolo
avea guadagnato colle leggi.
Tanto importa
che le idee del legislatore sieno a livello con quelle della nazione e che i
progetti di legge contengano quelle idee medie, che tutti gli uomini sentono ed
a cui tutti convengono! Se si fosse rimasto agli estremi, la legge non si
sarebbe avuta o avrebbe prodotta una guerra civile; essa avrebbe portata con sé
l'apparenza dell'ingiustizia. Fondata su princìpi che nessuno poteva negare,
gli stessi baroni più avversi alla rivoluzione l'avrebbero sofferta, se non con
indifferenza (poiché chi potrebbe pretendere che taluno resti indifferente alla
perdita di tante ricchezze?), almeno con decoro.
Ma, nel tempo
appunto in cui il governo era occupato della discussione del progetto di questa
legge, Championnet fu richiamato, e Magdonald, che a lui successe, fu ben
lontano dal voler sanzionare ciò che il governo avea fatto. Si dovette aspettare
Abrial, il quale fu ragionevole e giusto. Ma intanto il tempo era scorso, ed il
timore di disgustar diecimila potenti fece perdere ai francesi ed alla
repubblica l'occasione di guadagnar gli animi di cinque milioni.
È degna di
osservazione la differenza che passa tra la discussione che sulla feudalità vi
fu in Francia e quella che vi è stata tra noi. Parlando della prima, Anquetil
dice che la discussione dell'Assemblea incominciò da una proposizione fatta per
render sicura l'esazione delle rendite a coloro che ne possedevano i diritti,
e, passando da idea in idea, si finì coll'abolizione di tutti i diritti. In
Francia s'incominciò dalle massime moderate e si passò alle esagerate; in
Napoli da queste si ritornò a quelle. Ed era ciò nell'ordine della natura,
perché noi riprendevamo le idee dal punto istesso nel quale le avean lasciate i
francesi. Quindi è che tra noi furono più esagerate le opinioni de' privati che
le idee del governo. Il governo seguì la massima che le leggi sulle proprietà
hanno una giustizia propria, la quale consiste nel far sì che ciascuno perda il
meno che sia possibile; e, nel caso della riforma feudale, si può far in modo
che guadagnino ambedue i partiti. Io per me son sicuro che i feudatari
potrebbero guadagnar più con una legge nuova che colle antiche. I diritti
feudali si sostengono pel solo uso del fòro. Da che fu imposto tra noi
l'obbligo ai giudici di dettar le loro sentenze sul testo espresso della legge,
i diritti feudali sono stati di giorno in giorno aboliti, e col tempo lo
saranno tutti. Ma una legge nuova dovea considerarsi piuttosto come una
transazione che come un decreto; ed il lunghissimo possesso poteva per essa
acquistar forza di titolo. La nuova legge feudale non dovea aver per iscopo né
chimerica eguaglianza di beni né revindica di domìni, ma solamente di liberare
il popolo da tutto ciò che turbava l'esercizio dell'autorità pubblica,
comprimeva e distruggeva l'industria ed impediva la libera circolazione delle
proprietà.
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