Championnet,
entrando coll'armata vittoriosa in Napoli, impose una contribuzione di due
milioni e mezzo di ducati da pagarsi tra due mesi. Tale imposizione era
assolutamente esorbitante per una sola città già desolata dalle immense
depredazioni che il passato governo vi avea fatte. Championnet avrebbe potuto
esigere il doppio a poco a poco, in più lungo spazio di tempo. Quando
Championnet se ne avvide, si pentì e mostrò pentirsi del fatto, ma non lo
ritrattò; anzi stabilì quindici milioni per le province, a suo tempo.
Ma chi potrebbe
esporre il modo, quasi direi capriccioso, col quale un'imposizione per se
stessa smoderata fu ripartita? Nulla era più facile che seguire il piano della
decima che già esigeva il re, e proporzionare così la nuova imposizione alla
quantità dei beni che nell'officio della decima trovavasi già liquidata. Si
videro famiglie milionarie tassate in pochi ducati, e tassate in somme esorbitantissime
quelle che nulla possedeano: ho visto la stessa tassa imposta a chi avea
sessantamila ducati all'anno di rendita, a chi ne avea dieci, a chi ne avea
mille. Le famiglie dei patrioti si vollero esentare, mentre forse era più
giusto che dassero le prime l'esempio di contribuire con generosità ai bisogni
della patria. Si cangiarono tutte le idee: ciò che era imposizione fu
considerato come una pena, e non si calcolarono tanto i beni quanto i gradi di
aristocrazia che taluno avea nel cuore. - Noi tassiamo l'opinione - risposero i
tassatori ad una donna che si lagnava della tassa imposta a suo marito, il
quale, non avendo altro che il soldo di uffiziale, fuggendo il re, avea perduto
tutto. Si tenne da coloro ai quali il governo avea commesso l'affare una
massima che appena si sarebbe tollerata in un generale di un'armata vittoriosa
e nemica. Una tassa imposta sul pensiero apriva tutto il campo all'arbitrio.
Questo è il male che producono le imposizioni male immaginate e mal dirette;
quando anche evitate l'ingiustizia, non potete evitare il sospetto che
producono sul popolo gli effetti medesimi dell'ingiustizia.
Difatti non vi
era in Napoli tanto danaro da pagar l'imposizione. Fu permesso di pagarla in
metalli preziosi ed in gioie. Chi era incaricato a riceverle ne fu nel tempo
istesso il tesoriere, il ricevitore, l'apprezzatore; ed il popolo credette che
tutto fosse trafficato non colla bilancia dell'equità, ma con quella
dell'interesse dell'esattore. Io non intendo affermare ciò che il popolo
credeva. Il governo, per dar fine ai tanti reclami, nominò una commissione
composta di persone superiori ad ogni sospetto.
Mentre in
Napoli si esigeva una tale imposizione, le province erano vessate per un ordine
del nuovo governo, con cui si obbligavano le popolazioni a pagar anche
l'attrasso di ciò che doveano all'antico. Quest'ordine fatale dovette esser
segnato in qualche momento d'inconsideratezza e per ragion di pratica. Si seguì
l'antico stile, lo stile di tutt'i governi: difatti fu un solo dei membri
componenti il governo quegli che sottoscrisse il decreto, ed io so per cosa
certa che non lo credette di tanta importanza da meritare una discussione cogli
altri suoi compagni. Non avvertì che quello stile non conveniva ad una
rivoluzione. Poco tempo prima, il governo avea abolito un terzo della decima,
ed avea fatta sperare l'abolizione intera. La decima interessava più la
capitale che le province, e di quella più che di queste, per eterna fatalità,
si occupò sempre il nostro governo. Ma le province si doveano aspettar mai
questo linguaggio da un governo nuovo, che avea bisogno di guadagnar la loro
affezione?
In Ostuni
Giuseppe Ayroldi, uno de' principali della città e che conosceva gli uomini, si
oppose alla pubblicazione ed all'esecuzione dell'ordine. Egli ne prevedeva le
funeste conseguenze. Il governo non si rimosse; e quale ne fu l'effetto? Ostuni
si rivoltò, ed Ayroldi fu la prima vittima del furore popolare.
Esse nel tempo
stesso erano tormentate dalle requisizioni arbitrarie di taluni commissari e
generali. Mali inevitabili in ogni guerra, ma maggiori sempre quando la nazione
vincitrice non ha quell'energia di governo, che tutto attira a sé e fa sì che
le passioni dei privati non turbino l'unità delle pubbliche operazioni.
L'esercito di una repubblica, se non è composto dei più virtuosi degli uomini,
cagionerà sempre maggiori mali dell'esercito di un re. Questi mali portano
sempre seco loro il disgusto de' popoli verso colui che ha vinto, e impongono
al vincitore verso l'umanità l'obbligo di un compenso infinito, che solo può
assicurare la conquista e quasi render legittima la forza.
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