Schipani
rassomiglia Cleone di Atene e Santerre di Parigi. Ripieno del più caldo zelo
per la rivoluzione, attissimo a far sulle scene il protagonista in una tragedia
di Bruto, fu eletto comandante di una spedizione destinata a passar nelle
Calabrie, cioè nelle due province le più difficili a ridursi ed a governarsi
per l'asprezza dei siti e per il carattere degli abitanti. Non avea seco che
ottocento uomini, ma essi erano tutti valorosi e di poco inferiori di numero
alla forza nemica.
Schipani
marcia: prende Rocca di Aspide, prende Sicignano. A Castelluccia trova della
gente riunita e fortificata in una terra posta sulla cima di un monte di
difficilissimo accesso.
Vi erano però
mille strade per ridurla. Castelluccia era una picciola terra, che potea senza
pericolo lasciarsi dietro. Egli dovea marciare diritto alle Calabrie, ove
eranvi diecimila patrioti che lo attendevano; ove Ruffo non era ancora molto
forte, ed andava tentando appena una controrivoluzione, di cui forse egli
stesso disperava; e, discacciato una volta Ruffo, tutte le insorgenze della
parte meridionale della nostra regione andavano a cedere. Ma Schipani non seppe
conoscere il nemico che dovea combattere, né seppe, come Scipione, trascurare
Annibale per vincere Cartagine.
Tutt'i luoghi
intorno a Castelluccia erano ripieni di amici della rivoluzione. Campagna,
Albanella, Controne, Postiglione, Capaccio, ecc., potevano dare più di tremila
uomini agguerriti: il commissario del Cilento ne avea già pronti altri
quattrocento, ed anche di più, se avesse voluto, ne avrebbe potuto riunire. Se
Schipani avesse avuto più moderato desiderio di combattere e di vincere, e se
prima di distruggere i nemici avesse pensato a rendersi sicuro degli amici, che
gli offerivano i loro soccorsi, avrebbe potuto facilmente formare una forza
infinitamente superiore a quella che dovea combattere.
Avrebbe potuto
ridurre Castelluccia per fame, poiché non avea provvisioni che per pochi
giorni: avrebbe potuto prenderla circondandola e battendola dalla cima di un
monte che la domina; e questo consiglio gli fu suggerito dai cittadini di
Albanella e della Rocca, che si offrirono volontari a tale impresa. Qual
disgrazia che tal consiglio non sia nato da se stesso nella mente di Schipani!
Egli avea un'idea romanzesca della gloria, e riputava viltà il seguire un
consiglio che non fosse suo.
Questo suo
carattere fece sì che ricusasse l'offerta dei castelluccesi, i quali volean
rendersi, a condizione però che la truppa non fosse entrata nella terra; e
l'altra, offertagli da Sciarpa, capo di tutta quella insorgenza, di voler unire
le sue truppe alle truppe della repubblica, purché gli si fosse dato un
compenso43. Schipani rispose come Goffredo:
Guerreggio in Asia, e non vi
cambio o merco.
Questo stesso
carattere gli fece immaginare un piano d'assalto della Castelluccia da quel
lato appunto per lo quale il prenderla era impossibile. I nostri fecero prodigi
di valore. Il nemico, forte per la sua situazione, distrusse la nostra truppa
colle pietre. Schipani fu costretto a ritirarsi; e, cadendo in un momento
dall'audacia nella disperazione, la sua ritirata fu quasi una fuga.
La spedizione
diretta da Schipani dovea esser comandata dal valoroso Pignatelli di Strongoli.
È stata una disgrazia per la nostra repubblica che Pignatelli, per malattia
sopravvenutagli, non poté allora prestarsi agli ordini del governo ed al
desiderio dei buoni.
Dopo questa
operazione, Schipani fu inviato contro gl'insorgenti di Sarno. Giunse a Palma,
incendiò due ritratti del re e della regina, che per caso vi si ritrovarono,
arringò al popolo e se ne ritornò indietro. Vi andarono i francesi,
saccheggiarono ed incendiarono Lauro, donde tutti gli abitanti erano fuggiti, e
non uccisero un solo insorgente. Così gl'insorgenti di Lauro e di Sarno, non
vinti, ma solo irritati, si unirono a quelli di Castelluccia e delle contrade
di Salerno, già vincitori.
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