Se il barone
Svolazzini meditava disegni coercitivi e sbrigativi contro l'innocente
villanella Gilda, il Conte Federico De Ritz a maggior ragione mulinava di
arrestare la rea sfolgorante moglie e il complice drudo. Come molti dottori in
legge si sentiva indotto nel doppio senso ad applicarla: indotto per
mancanza di dottrina pratica; e indotto per impulso di vendetta morale.
L'uomo più
plutarchiano dei nuovi tempi ebbe uopo di riassumere tutta l'antica virtù per
fare fronte alla situazione.
Comprendeva benissimo
la caducità della carne umana. Contro l'altezza pura degli ideali Iddio ha
posto la bassa pravità degli istinti.
Ma se nella Società
Umana si riconobbero obbligazioni civili e si instituì un diritto penale,
nessuna sanzione civile, nessuna applicazione penale potevasi più
evidentemente, più utilmente e più santamente invocare, che inseguendo e
costringendo la perfida fuggitiva e il suo, più che rapitore, rapito.
O si diventa
anarchici, e si distruggono leggi ed autorità; e si lascia l'andamento
dell'umanità alla lotta brutale degli uomini e alle forze esteriori.
O permane il vincolo
delle leggi e delle autorità sociali; ed è giocoforza reprimere i delitti. Allo
specchio intellettuale e morale del Conte Federico De Ritz niun delitto
compariva più enorme di quello perpetrato dalla moglie sua. Egli liberamente,
lealmente le aveva offerta una felicità reale ed ideale. Non un'ombra di
costrizione, non un filo di seduzione aveva determinato il matrimonio.
Durante il
matrimonio, egli si era consacrato innamoratamente a Lei, coinvolgendola nei
più santi amori di Dio, Patria e Famiglia.
Ove alla potenza di
lui fisica avessero offerto la più formosa e soda, e meno compromettente
villana, o la più procace Diva, egli le avrebbe respinte con la rabbia
religiosa di un anacoreta estenuato.
Ancora quando Nerina
fosse divenuta brutta ributtante, purché fosse rimasta virtuosa, egli le
sarebbe stato materialmente e spiritualmente fedele fino al termine della
propria vita. Perché Nerina così iniquamente gli corrispose? Per infrangere
capricciosamente come giocattoli gli ideali, senza il cui miraggio non può
procedere la Società Umana.
Dunque per dovere e
diritto sociale bisogna colpire la femmina iniqua.
E niun motivo
dell'ordinamento sociale gli parve più chiaro di quello espresso dal Poeta
latino col dare iura maritis.
Rendendo ferreo il
suo proposito virile, non volle neppure consultare i suoi venerati genitori,
per tema che la loro pietà lo ripiegasse a fanciullo.
Come un molesto
motivo gli ritornavano all'orecchio i versi dei Fratelli d'Italia:
Son
giunchi che piegano
Le
spade vendute.
¾ No! io
non sono una spada venduta. Sono una spada libera, cosciente. Sono la spada
della giustizia. Ma come manovrare la spada della giustizia?
Una crisi morale
riassalse Federico De Ritz prima che egli adisse le vie giuridiche.
Il diritto è chiaro
lampante davanti le coscienze oneste. Ma quale è la procedura per dargli la
forza effettiva?
Tra la moralità
ideale e la giustizia positiva passa lo stesso intervallo, che tra l'anima e il
corpo.
¾ Dio!
Dio! Perché ci hai data un'anima e un corpo? Perché anime si adergono come
fiamme alla purezza dell'ideale con un corpo inclinato alle pecche e ai
delitti? E perché spiriti di forza lussuriosa legati a materia impotente? Che
contrasti, che pasticci, Domine Dio!
Io ho voluto essere
l'equilibrio, l'impeccabile. E mi trovo col programma di punire una peccatrice
fuggita. Perché non soccorre il fulmine a castigare l'ignominia?
Invece del fulmine di
Giove la Società Moderna suppedita il consulto di un bravo avvocato.
* * *
Uno specialista da
consultarsi pei delitti d'amore era senza dubbio l'avvocato veneziano
Giandomenico Scuriadi, detto anche l'avvocatissimo. Nella sua superlatività
uomo chiaro, complesso e navigato.
Ebbe per l'opera
patriottica del padre, e per il proprio eroismo giovanile una bella luce dalla
storica difesa di Venezia ad ogni costo.
Aveva portato a
Torino, alla Mecca d'Italia la più bella barba dell'emigrazione veneta, una
barba coltivata per la figura dogale. Alla Maestà di un doge lattonzolo univa
l'arguzia, e la vis comica del Goldoni, e qualche volta si sarebbe detta
la furbizia snella dello Scapin di Molière. Adoperava, per non dire sfruttava,
la diligente, paziente compilazione di modesti amici; e a sé riservava la
grazia e la potenza dell'oratore forense e del seduttore da salotto.
Aveva occhi da
girifalco per avvistare e colpire tutte le bellezze; aveva pinne di naso
frementi per richiedere ed arrivare i profumi più gustosi. Aveva un debole per
tutte le specialità del palato, dai tartufi d'Alba al moscato di Canelli.
Alla dirittura alta
dell'entusiasmo per gli ideali sapeva congiungere la tenerezza plastica ed
elastica degli accomodamenti terreni.
Liberata la sua
Venezia, egli aveva portato il suo studio legale fra le lagune natie. E la sua
barba larga da spartivento faceva riscontro alla lunga lista di barba Catoniana
del venerando Sebastiano Tecchio.
Questi era
un'immagine curule di diaspro, capace da resistere statuariamente anche
all'assalto capitolino dei Galli e rintuzzarne, castigarne romanamente
l'insulto. L'avvocato Scuriadi con tutta la sua dignità barbuta ed una calvizie
spiovente in ricci da sinagoga esercitava una disinvoltura da sbarazzino mobilissimo,
per cui la sua barba impavida poteva affrontare le nebbie del Tamigi e il
simoun del Saara.
Certi peccati non
avrebbero neppure osato di presentarsi davanti all'austerità di Papirio
Cristiano, in cui si impersonava Sebastiano Tecchio; sapevano di trovare un
confessionale indulgente nello sparato dell'avvocatissimo Scuriadi.
Niuno più di lui
giudicava con sereno accaparrante equilibrio i falli amorosi. Appena doveva
accostarsi alla sua eloquenza galante il biondo capitano e gentile barone
valoroso e bello e poeta di proverbi martelliani Don Francesco De Renzis,
quando alla Camera dei Deputati discutendosi il Codice Penale difese i dolci e
marziali reati mondani dell'adulterio e del duello.
Ma l'onor. Francesco
De Renzis era miele di Pragelato di fronte alla sapienza che bolliva, tiepidava
nel Salomone erotico delle Lagune.
Dopo aver ascoltato
con ammirazione pensosa il Conte Federico De Ritz, il chiaro avvocato lo
investì con quel tono di iracondia estetica, che lusinga invece di offendere:
¾ Ma Lei
parla come il capo di una tribù selvaggia; almeno tali sono le sue pretese.
Vorrebbe catturare, castigare sua moglie, e a un tempo possederla come un
sultano in un serraglio.
¾ No! No! ¾ scoppiò
il monogamo convinto.
¾ Però, ¾
seguitava imperterrito l'avvocato nella sua terribilità amabile arguta Però vi
è sempre contraddizione in termini; confusione di varie civiltà, di cui l'una
si è sovrapposta all'altra, ha eliminato l'altra. Dovrebbe accorgersene Ella
stessa, che quale eroe garibaldino ha contribuito alla presente nostra civiltà
costituzionale laica, e, sì, lo so, che Ella lo vuole, anche religiosa. È innegabile
che il gius canonico religioso dà l'assoluto diritto di esigere il debito
coniugale. E vi furono canonisti, ed anche civilisti che sostennero potersi per
tale esazione ottenere il braccio secolare, la mano militare. Ma si immagina
Lei un paio di carabinieri a custodia e guarentigia del talamo?
Il conte De Ritz
fieramente: Anzitutto io voglio punire la svergognata infrazione.
¾ Sta
bene! ¾ ripigliò
l'avvocatissimo: La nostra Civiltà penale ancora colpisce il reato di
adulterio... Ma per un sofisma di fatto chi resta realmente punito si è il
punitore... Chi ha il coraggio di portare le sue vergogne in pubblico
dibattimento...?
¾ Io! io! ¾ asseverò
fortemente il conte...
¾ Prima si
provi a trattare con le sue mani senza guanti le feci dei prigionieri...
Cliente ed avvocato
quasi si adersero furiali l'uno di fronte all'altro...
L'avvocatissimo
Scuriadi si compiaceva di questi culmini drammatici, su cui sapeva versare
l'onda sedativa della sua loquacità amena.
¾ Non
pigliamoci per il collo. Per carità!
Mosaicista di aneddoti
e citazioni soggiunse: Non voglio mettere sulla parcella una tiratura di collo,
che sarebbe più cara dei patemi d'animo valutati mille lire dallo spiritoso
avvocato francese Lepetit Pigmeus per aver dovuto arringare contra il suo
magniloquente suocero Golias Giganton...
E con un timbro dolcissimo
proseguì: ¾ Veniamo
ai ferri corti. Riassumiamo. Mi inchino all'eroe, al quale occorrerebbe in
moglie Urania, la Venere celeste, per giunta cristianizzata dal nostro santo
civile Tommaseo. Ma pur troppo sulla terra anche l'eroe si imbatte nella Venere
Terrestre Poliania, di cui sono quasi rituali le numerose pecche. Di queste Le
consento ve ne siano alcune imperdonabili. Ma per il voluto castigo e per la
voluta riparazione, bisognerebbe che Ella avesse sottomano legislazioni e
magistrature oramai sprofondate. Ad esempio le tornerebbe che la colpevole si
inchiodasse per la parte del... cuore come si usava nella Polonia e nella
Spagna. Invece, se ora Ella presenta una querela di adulterio nanti il nostro
Tribunale Civile e Correzionale, otterrà che i colpevoli siano condannati ad
una pena tenue, come si fossero limitati a mormorare del prossimo invece di
recitare insieme un peccaminoso paternostro. Il gioco non vale la candela. Ed
anche ottenesse il carcere per la infedele, non sarebbe un carcere duro, ma un
carcere cortese, circondato dalla simpatia del pubblico, che non risparmierebbe
il ridicolo al marito...
Il conte Federico si
aderse sulle stampelle.
E l'avvocatissimo
dolcemente:
¾ So che
Ella è un uomo superiore, un vir; ed io La complisco per il coraggio
esemplare, con cui vorrebbe tener fronte ai pregiudizii ed errori popolari...
Ma mi lasci spiegare un mio concetto... Il carcere governativo non sarebbe un
carcere feudale, in cui il barone teneva a propria disposizione la propria
moglie. Sua moglie potrebbe peccare liberamente con i carcerieri ed opporsi
legalmente a Lei... Non le verrebbero in taglio neppure i canoni degli ebrei...
Ripudiarla... inutile, quando si è allontanata da sé...
Il Conte si attizzò
in volto di maggiore collera...
E l'avvocatissimo
forte e soave: ¾ Le
accomoderebbe meglio il Tue- la di Dumas figlio. Ma
chi Le assicura una assolutoria alla Corte d'assise?
¾ Non me
ne importerebbe.
Allora
l'avvocatissimo assunse un tono di predicatore: ¾ Non ha diritto di togliere una
vita chi non l'ha data.
Quindi, rendendo la
voce razzente da moscone, e facendo splendere sulle ciglia e sulla calvizie un
luccichio da scarabeo d'oro, confessò: ¾ Le
confesso, che con tutta la mia barba da padre guardiano sono un morbido. E
vagheggio Corti Spirituali d'amore per giudicare i reati femminei... Però non
voglio lasciar partire un eroe da un mio consulto... imperfetto.
La voce dell'oratore
scese a profondità di mistero ed oracolo:
¾ Ella non
potrà ottenere nulla dalla Società palesemente organizzata. Ma potrà ottenere
assai dalle potenze secrete, dalle organizzazioni occulte... Verrà un tempo, in
cui il pubblico stanco della inettitudine governativa, per cui si pagano le
imposte forzose, si imporrà sacrifizii volontari per avere il servizio di una
propria magistratura e di una propria forza... Tra le più forti coscrizioni e
costrizioni volontarie vi sarà il Socialismo... Intanto scruti, si
approfondisca nelle attuali organizzazioni sotterranee... Ella potrà
sicuramente contare sulla massoneria e sulla gesuiteria. Si rivolga ad una di
queste potenze.
Se il momento non
fosse stato tragico, il cliente avrebbe potuto rispondere al consultore nel
dialetto piemontese compreso pure dall'antico emigrato veneto: Chielam
badina.
Un giovane scritturale
dall'aria di Leporello portò sopra una guantiera di argento al commendatore
Avvocato due viglietti di visita, uno dei quali orlato d'oro.
L'avvocatissimo, che
ci teneva alle combinazioni drammatiche come ad un privilegio della sua sorte,
inarcò le ciglia, quasi a dimostrare, che la combinazione stavolta non era
soltanto stupenda, ma altresì tremenda.
Come per un lampo
dall'orlatura aurea di uno di quei viglietti, il conte Federico De Ritz si
avvide chi erano i nuovi clienti, che ricorrevano all'avvocato Scuriadi, era la
parte avversaria: e quale avversaria!
Egli sentì
l'avversità fino all'ultimo sangue; si sentì intronare il consiglio di
Alessandro Dumas figlio: Tue- la.
Reggendosi sopra una
stampella, con la mano libera frugò nelle tasche in cerca di un rivolverino, un
giocattolo gemmato in cui dormiva la virtualità di più morti.
L'avvocato Scuriadi,
con una rattezza liquida, che pareva inverosimile nella sua soda corpulenza,
balzò a chiudere l'uscio a chiave, mettendosela in tasca. Quindi con una
imposizione di mani sacerdotali sulle spalle del Conte, gli inculcò: ¾ Sia
savio, virtuoso, eroe.
Ottenuta una relativa
calma dall'eroe, l'avvocatissimo sgusciò via, rinchiudendo lo studio
dall'esterno. Non ritardò molto a ritornare presso il suo prigioniero,
liberandolo con l'assicurazione menzognera: ¾ Li ho
fatti scappare. Non si deve profanare nel sangue questo pacifico tempio di Astrea.
Caro mio: vi fu chi osò chiamare gli avvocati benefattori dell'umanità, la
provvidenza della terra.
Il Conte si era
energicamente ripiegato su se stesso; ma quando sentì il congedo in un
mellifluo «ora basta la sessione di massima; ad un'altra sessione i dettagli!»
avrebbe voluto per un miracolo gittare da sé gli inciampi delle gloriose
ferite, e, adoperando le forze centuplicate dalla gelosia, regina delle furie,
atterrare con le gruccie gli usci, polverizzare invetriate, invadere fughe di
stanze fino a sorprendere i traditori accovacciati ed impalarli ciascuno con
una stampella nella gola.
Nel transitare
dall'anticamera lo guadagnò un filtro di ammaliatrice invincibile; il profumo
di carne eterea, unica nella bellezza terrestre, che egli aveva meritato di
fare tutta sua, il profumo di un'anima sovrana, che egli aveva voluto
santamente aggiogare tutta per sé.
* * *
Allorché fu sicuro,
che il Conte era disceso, l'avvocatissimo si avanzò a scovare la Contessa
Nerina De Ritz ed il pubblicista Adriano Meraldi dal boudoir, dove li
aveva rapidamente colle buone e colle brusche tradotti e rintanati a salvezza,
un boudoir, dove nella penombra di velluti, vernici ed oro pareva
nuotassero tese di abbracciamenti storici.
Li condusse nel suo
studio luminoso; li fece sedere, mezzanamente lusingandoli con una esclamazione
furtiva: ¾ Belli!
Poi di proposito: ¾ In che
ho l'onore...?
Sentita
l'esposizione, come se nell'oriuolo della testa il congegno scoccasse un'altra
ora, meditò, più che disse: ¾ Non par
vero; subito dopo che mi era chiesto in consulto il diritto del marito, ora mi
si domanda il diritto degli amanti... Ma per Venere e Marte è di una semplicità
da Monsignor de la Palisse... Il diritto degli amanti è di amarsi... Ed in
questo mondo, non avete bisogno di saperlo da me, nulla si è ancora trovato di
meglio, che fare all'amore... Il Padre Eterno per assicurarsi la continuità della
sua creazione, le ha dato per istimolo la quintessenza del maggiore
godimento... Testé mi capitò in mano un libro di A. G. Cagna, giovane scrittore
vercellese di molta originalità e di molto polso e di molte carte. Questo libro
è arguto ed erotico (due qualità difficilissime ad accoppiarsi) ed è
intitolato: Falene dell'amore. Una mia svista pose un tagliolino alla
prima elle del titolo; e lessi Fatene dell'amore! Che dolcezza di titolo
e di raccomandazione insuperabile. Titolo da angeliche farfalle: Fatene
dell'amore. Sì fatene pure dell'amore.
La Contessa De Ritz,
dottorale, teologhessa, senza diminuire la sua incomparabile leggiadria, ed
imponente, come una giudichessa di Corte d'amore, notò: ¾ Ma l'amore, senza matrimonio, è
soltanto una speculazione maschile. Io voglio, che a dimostrarmi l'amore,
l'amante mi sposi... Egli gentilmente e doverosamente consente. E domandiamo a
Lei... il mezzo più spiccio per rompere il mio precedente matrimonio con il
signor conte De Ritz... E poiché ci troviamo qui in confidenza... per
facilitarle il responso le annunzio, che io sono disposta a ritornare dal Papa,
inventando qualsiasi motivo di nullità...
L'avvocatissimo
mostrò sulla fronte una nube di corruccio per quella esibizione falsaria contro
un monolito di sincerità... e rispose: ¾ Questa è
la strada vecchia, ma non è la strada buona... Ottenuta la rottura dal
Vaticano, le rimarrebbe da rimpattarla con il nostro Diritto Civile... E qui
calza il mio brevetto d'invenzione per le nuove nozze degli infelici coniugati
italiani... È un'alta questione di diritto internazionale privato, che ancora
l'altro giorno discutevo fraternamente con il mio eloquente contradditore ed
amico on. Spantigati... Egli, interpretando il titolo preliminare al Codice
Civile, vorrebbe con la sua grossa eloquenza e giurisprudenza attaccare una
Camicia di Nesso ai coniugi italiani per la bella ragione detta dall'art. 6°
che «lo stato e la capacità delle persone ed i rapporti di famiglia sono
regolati dalla legge della nazione, a cui esse appartengono». Ma, caro mio
(l'avv. Scuriadi parlava con l'assente collega avv. On. Spantigati) se due
persone cessano di appartenere alla nostra nazione, acquistando un'altra
cittadinanza?... Tu mi rincorri e mi riempii la bocca con il successivo art.
12: «In nessun caso le leggi, gli atti e le sentenze di un paese straniero e le
provate disposizioni e convenzioni potranno derogare alle leggi proibitive del
regno, che concernono le persone, i beni o gli atti, né alle leggi riguardanti
in qualsiasi modo l'ordine pubblico ed il buon costume». E mi domandi: Il
nostro codice Penale, che colpisce la bigamia, è una legge proibitiva sì o no?
Ed io ti rispondo che un nuovo matrimonio contratto legalmente da stranieri in
terra straniera non è un reato; se pretendessero contrarlo qui, sarebbe un
altro paio di maniche. Sarebbe domandare al trattore un piatto, che non è nella
lista del giorno. Ma un matrimonio debitamente celebrato fuori d'Italia, tanto
meno può offendere il nostro ordine pubblico e i nostri buoni costumi... come
non ci offendono gli altri matrimoni stranieri di tutte le specie. Inutilmente
vuoi trarre la corda della galera alle rive profumate, alle quali non
farebbe il niffolo neppure padre Didon... Io credo sinceramente, profondamente,
e lo professo chiaramente davanti all'altare del Buon senso; all'ordine e ai
buoni costumi giova qualsiasi matrimonio meglio di un libero e sfrenato amore.
E lasciamo dire il contrario ai socialisti internazionalisti, che vorrebbero
abolire il matrimonio, perché fa della carne umana una proprietà personale,
mentre per loro ogni proprietà è un furto. Io lodo il sindaco rurale italiano,
che alletta i suoi amministrati al matrimonio civile offrendo agli sposi il
caffè sul bilancio comunale. Ha più buon senso quel sindaco eccentrico, che non
ne dimostrassero gli antichi romani, che si vendicavano delle loro infelicità
coniugali con la maldicenza del loro diritto contra le donne. Ricordi, caro
Spantigatone? Qui a Venezia la stessa Austria cattolica e apostolica per 50
anni, dico, per cinquant'anni permise il divorzio agli israeliti e ai
protestanti. Se la diversità di religione bastava a togliere l'imputabilità, a
fortiori basta la diversità di cittadinanza...
Con una triplice
arcuazione di ciglia e sopraccigli l'avvocatissimo diede maggiori cinghie alla
sua argomentazione; quindi staccandosi dall'on. Spantigati assente e
rivolgendosi alla Contessa presente, continuò in tono più dolcificato:
¾ Ella,
impareggiabile Contessa, sentenziò saviamente che il matrimonio è l'unica
convalidazione dell'amore... E siccome l'amore è principalmente un'attrattiva
femminile io vorrei, che le donne principalmente giudicassero delle infrazioni
matrimoniali, giudici naturali secondo lo Statuto. Sarei curioso di
sentire che disporrebbe un tribunale di donne sopra la motivazione di ripudio
fatta da quell'antico romano, il quale aveva la moglie buona, feconda ed
appariscente: «E questa mia scarpa non è forse bella e nuova? Pure nessuno sa
in quale parte mi offenda il piede». Io credo, che la giurisprudenza femminile
sarebbe tanto larga da accogliere anche la teoria della scarpa, applicandola
agli stivaletti del marito... Intanto, faute de mieux, abbiamo
specialmente in Germania quanto ci accomoda... Io non ho ancora chiesto il
brevetto per la mia scoperta... Ma le donne dei paesi senza divorzio non
faranno di troppo, se mi erigeranno un bel monumento internazionale. Io
scopersi in Italia l'articolo 234 del Landsrecht tedesco, secondo cui le
separazioni tra i cattolici equivalgono ai divorzii. Adunque almanaccai
sull'Almanacco di Gotha... Una donna appartenente a nazione, dove non si
ammette il divorzio, si separa, stando al proprio paese, di letto e di mensa
dal marito, poi va in un piccolo Stato di Germania o forse meglio in Ungheria e
in Serbia, vi elegge domicilio, chiede la cittadinanza... In alcuni Stati la si
concede volontieri e rapidamente a chi acquista qualche pezzo di terreno o di
muro, e massime poi a chi con qualche opera buona e generosa si gratifica le
autorità municipali... Ottenuta la cittadinanza, la donna sposa legalmente il
proprio amante. Il giuoco è fatto. Io cominciai ad insegnarlo alla splendida
duchessa francese di Bouffeseptmonts, la quale, piantato il suo duca, era
venuta a filare il perfetto amore in una villa asolana con un principe
moldovalaco e molto valente... Brocesco o Vattelapesca... Ma l'amore, Ella lo
sa, non è perfetto senza matrimonio... L'ombra petrarchesca del Cardinal Bembo
condusse la duchessa da me, ed io le diedi la ricetta immancabile, la quale è
anche più facile per gli uomini... Ritengo che Ella, chiarissimo signor
Meraldi, benché reduce dalle patrie battaglie, non avrà scrupoli a barattare
cittadinanza per amore, essendosi Ella resa un'illustrazione cosmopolita...
Forse il conte De Ritz, benché di origine tedesca, sarebbe più cocciuto a
rimanere italiano,... e si metterebbe il codino di Cesare Beccaria, il quale
voleva persino punire l'emigrazione... Ma per non annoiarli maggiormente,
conchiudo: il diritto assoluto degli amanti non è solo di amarsi, ma altresì di
maritarsi... E per maggiore comodità rimetto loro una copia del mio consulto
poligrafato, dove troveranno, come in uno specchietto, tariffe e termini di
cittadinanza, divorzio e nuovo matrimonio nei varii stati di Germania, nei
varii cantoni della Svizzera, in altri stati disuniti d'Europa, e negli stati
Uniti d'America... È un consulto che vale un Perù o per lo meno un milione, e,
ciò che sarebbe qualche cosa di più, un bacio della signora Contessa...
L'impertinenza venne
detta con una grazia così lusinghiera, che passò liscia.
¾ Invece
mi contento di un biglietto rosso.
La contessa lo sborsò
dessa con un gesto imperioso, che avrebbe fatto arrossire l'amante, se il drudo
fosse stato capace di mortificazione.
Congedata la coppia
furtiva, l'avvocato, ripiombando sul suo seggiolone, si prese la gran testa in
mano, applaudendo a se stesso: «Nella stessa mattinata ho sviscerato il diritto
del marito e il diritto dell'amante... Sono un palombaro e un aerostata... Sì!
anche troppo leggero... che mi sono contentato di cento lire...» Ma un sorriso
di cavaliere goldoniano lo compensò del rammarico:... «Benché avvocato, anzi
avvocatissimo, farò da medico Pagello con questi nuovi amants de Venise».
* * *
La terribilità
dell'amore... la terribilità del senso... Avvolge nella sua ala, rapina, come
il vento più impetuoso... Altro che terribil come oste schierata in campo...
In paragone è una beneficenza questa qualificazione biblica appiccicata dal
Manzoni alla sua laude del nome di Maria, degli afflitti scampo... Invece
l'amore sensuale è la rovina ineluttabile eziandio dei felici...
Con questo pensiero
di rimorso Adriano Meraldi rivolgeva l'animo alla sua natia San Gerolamo, ai
suoi abbandonati genitori, al padre suo probo ed operoso, alla sua madre
semplice e santa... E pur di uscire da quel fascino di voluttà sapiente avrebbe
sposato l'ignoranza e l'innocenza più contadina...
¾ O Santa
Maddalena, con il tuo esempio tu scusi le peccatrici e i peccatori... Gesù, che
ti ha perdonata, perché hai amato, salvi anche noi, sia pure con la più
selvaggia penitenza... Ma i pittori, che hanno ritratto le forme sporgenti e i
capelli lunghi avvolgenti di Maria Maddalena, hanno visto le forme e i capelli
di Nerina? Per ovviare ai danni della sensualità, la civiltà utilitaria ha
inventato il terzo sesso delle fanciulle intellettuali... Ma non fidatevi...
Anche Nerina è una intellettuale... Parno tutto greco, tutta matematica, tutta
chimica; e poi, mentre meno ve lo aspettate, vi conquidono mostrandovi un seno
di bomba che scoppia... Forse... Sì! Sì! la Religione è l'unico riparo...
Potessi con una conversione manzoniana ricuperare i miei sogni di gloria
letteraria... Dominare nel romanzo e nel giornalismo... Invece egli diverrebbe
schiavo di Nerina, fino a sposarla da italiano rinnegato...
La Contessa De Ritz
diportavasi a Venezia anelando di imitare il modo con cui la baronessa Dudevant
(Giorgio Sand) erasi diportata a lato di Alfredo Musset. E credeva di collimare
con l'ardente e riflessiva romanziera ed apostola, notando: ¾ Come i
frutti hanno un sapore proprio per ogni clima, così l'amore... L'amore a
Venezia è una specialità di gondola e chiaro di luna... Pare che sul velluto
scuro del felze i raggi della luna aggiungano capelli biondi ai miei capelli
biondi... Ma ciò bisogna farselo dire in dialetto veneziano da un medico
Pagello... E la Contessa avrebbe voluto trovare lì per lì un medico Pagello,
come la Sand, il quale le guarisse, rinfrancasse il suo Alfredo de Musset e
divertisse Lei... Dovette accontentarsi dell'avvocatissimo en bon point,
e fugacemente di un erculeo gondoliere.
Il Conte de Ritz,
rivoltosi ad un avvocato austero vegliardo, aveva spiccata una citazione per
separazione civile e presentata una querela di adulterio.
La Contessa si decise
all'immediata fuga per ottenere il divorzio e contrarre nuovo matrimonio in
paese straniero.
* * *
Il 21 Marzo 1868
(vedi Almanacchi dell'epoca) il commendatore Atanasio Vispi smagrito,
nobilitato dal dolore presentavasi risolutamente davanti al suo genero conte
Federico De Ritz in un appartamento dell'Hotel Danieli a Venezia.
Il Conte si metteva
in parata: ¾ È
inutile! Non venga a domandarmi pietà per quell'indegna anche di Lei...
¾
Federico, ti sbagli, se credi io invochi pietà per mia figlia... Piuttosto mi inginocchio
a chiedere perdono per me..., che credevo di darti un angelo, invece ti ho dato
un demonio in carne ed ossa... Sebbene io non abbia fatto il macellaio, come il
padre della signora Losati, mi sento un polso fermo, il fegato sano, un cuore
di popolo, che accorre alla vendetta... Sono venuto qui per darti man forte...
Tu hai voluto ricorrere alle vie giuridiche... Ed io ti propongo di affrontarli
col sacro diritto della Natura... Sono un padre... (Così dicendo l'emerito
droghiere assurgeva a una dignità tremenda da romano delle Dodici Tavole). Sono
un padre; ed ho preparata una reclusione paterna per la figlia dissoluta...
Essa non resisterà al mio imperativo categorico...
¾ Per
combinazione dove va a cacciarsi la filosofia di Kant?... ¾
mormorava l'avvocato Ilarione Gioiazza rimasto nell'anticamera con il prof.e
abate Vigo Razzoni. E il padre droghiere romanizzato: ¾ La tradurremo all'Ospizio del
Santo Oblio...
Invece appunto in
quella mattina la Contessa Nerina De Ritz nata Vispi ed Adriano Meraldi avevano
lasciato il grand Hotel Lido per salire sull'Ofelia, che salpava verso
l'Oriente.
Dalla balaustra sotto
il gabbiotto di prora la Contessa con un gomito sopra una spalla di Adriano
scioglieva un inno intimo alla libertà coniugale...
Le onde che si
increspavano alla fenditura mandavano immagini di ninfe plaudenti,
sprizzanti... Orazio e Virgilio, Camoens e Shakespeare, o maggiori poeti, che
abbiate dato i migliori augurii del mare, dateli agli amanti nel concerto della
poesia universale... Esaurito l'amore di Venezia, andranno a fruire l'amore del
Bosforo, così dolce di fosforescenza da meritare per un bacio la traversata
mortale...
¾ Tutta
per te! ¾ faceva
sentire Nerina ad Adriano con un premito di Odalisca... Tutta per te... Paese
che vai, usanza che trovi... A Costantinopoli sarai il mio sultano senza
harem... Io sarò la tua unica schiava... Poi risaliremo tra le rive pittoresche
del Danubio mezzo turco e mezzo cristiano nel cuore della Germania, e ci faremo
santamente marito e moglie... Bella silente premeditazione di santità! Tradire
un nuovo marito, avendo riconosciuta l'insulsaggine di tradire un libero
amante...
Ed Adriano, avvinto
da quella ondata di capricci voluttuosi, pensava alla vittoria riservatagli
quando moveva al gran conquisto per il concorso di Pompei... Così ripigliato
dai ricordi arcaici non poteva presentemente liberarsi del bagaglio letterario
scolastico di un'immagine dantesca:
Sicura,
quasi rocca in alto monte,
...una
puttana sciolta
m'appare
con le ciglia intorno pronte
....................
l'occhio
cupido vagante...
Ed avrebbe voluto
essere lui il feroce drudo del Purgatorio di Dante per flagellarla dal
capo insin le piante.
Mentre il vizio
salpava libero, appena rinserrando immagini letterarie, le reali costrizioni
imprigionavano o salvavano la Virtù perseguitata ed innocente.
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