Il Barone Svolazzini
per salvare il figlio dal pericolo di Gilda si studiò di allontanarlo. E
adoperò gli allettamenti più serii e di apparenza più savia.
Il baroncino
Svembaldo aveva l'aspetto giovanile di un conquistatore normanno, come se
uscisse da un'antica saga scandinava. E non solo ne presentava l'aspetto, ma ne
sentiva l'impulso atavico nel sangue, l'impulso come di una barca, che muova
alla conquista di un'isola o di un cuore.
L'alto genitore
sganasciando macchinalmente tra la sua barba bianca e ruvida, lasciò
comprendere, più che non disse: ¾ Figlio
mio, solo la lontananza e la lontananza eroica, può assicurare la tua
coscienza, che il tuo è un amore di proposito, non un capriccio. Intanto la
ninfa sarà guardata, affinché resti o divenga possibilmente degna di te.
Niuna avvertenza
paterna poteva sembrare più onesta. E il baroncino si acconciò ad iscriversi
nella compagnia dei Battifolli torinesi, così battezzata dal cinico
epigrammista Baratta, perché facevano prediletto teatro delle loro imprese
cittadine il giardino pubblico, antico bastione, dei Ripari.
Con la sua lanugine
bionda di Paride vezzoso, più offembachiano che belliniano, egli figurava da
agnello tra i lupi dello stravizzo aristocratico. Erano nobili ufficiali di
cavalleria, che preferivano ammazzare la cavalla al pagarla, degni della
tradizione del loro antenato, che aveva minacciato di farle saltare di un balzo
il principato di Lucca per mortificarne l'arrogante principino. In tempi di
guerra regia erano fulmini di guerra; ma non erano abbastanza patrioti italiani
e popolari per seguire Garibaldi; non erano abbastanza scienziati geografi per
curarsi del centro dell'Africa o dei poli. Occupavano lo spirito avventuroso e
bellicoso in tempo di pace nel cambiare di notte le insegne dei caffè e delle
trattorie, nell'applicare il cartello di una levatrice a un Regio Notaio,
nell'invitare a pranzi cervellotici, nel fare accorrere la gente a spettacoli o
comizi inesistenti. Fu un elevamento di questo diapason il progetto di una
partita di caccia alla pantera nelle Indie.
Vollero farne parte
eziandio giovani nuovi ricchi dell'alta borghesia, compresi alcuni, che non
sapevano commisurare il passo alla gamba. Parecchi fantasticavano la bronzina
bellezza della figlia di un Rajah, con le auree ricchezze portate in Piemonte
dall'onorevole generale marchese Solaroli.
Pensando solo a
Gilda, il baroncino Svembaldo Svolazzini partì per l'India con la brigata dei battifolli.
Ed il Barone Rollone
Svolazzini per la custodia di Gilda ricorse a Suora Crocifissa e al canonico
Giunipero ambidue in odore di santità.
La civiltà umana fa o
minaccia tante vittime, che è una vera provvidenza sianvi rifugii, e persone le
quali incessantemente attendono a procurarli secondo le gradazioni del tempo.
Il corso del progresso li abbatte, quando son snaturati, ma essi risorgono
purificati e scaltriti dai perpetui e nuovi bisogni delle anime. Si aboliscono,
si sperperano, si sperdono le viete corporazioni religiose, ma esse ripullulano
coi vecchi nomi e con nuove forme..., od anche con nuovi nomi come quelli di
Rosmini, Cottolengo, Don Bosco ecc.
* * *
Fra questi nuovi nomi
vollero inpancarsi la suora madre Crocifissa e il canonico Don Giunio
Giunipero, che l'avvocato Gioiazza scambiava in canonico Puerperio; tanta era
la ragazzaglia, a cui dava l'aire, accozzandola, raccattandola...
Suora Crocifissa e il
canonico Giunipero si erano, mutatis mutandis, incontrati nei nuovi
tempi come San Francesco e Santa Chiara nei tempi loro.
Suor Crocifissa nata
a Nizza Marittima da una numerosa e prosperosa famiglia di commercianti si
sentiva un'anima garibaldina. A dodici anni sviluppata, come una nubenda, essa
sentì quasi per una rivelazione divina, che se avesse diretta nelle vie profane
la sua inesplicabile attività, avrebbe trovata la insaziabilità per sé e
avrebbe seminata la rovina nella propria famiglia e nella parte di società, che
avrebbe attraversata. Senza saperlo, sarebbe stata una Contessa de Ritz.
Invece essa vide nel
sacrifizio la salvezza propria ed anche in parte del prossimo.
A poca distanza da
Nizza, a Scarena, si era stabilita una propaggine delle Monache bigie di San
Savino istituite dal Vescovo di Trentacelle.
Mentre si accusa la
Chiesa Cattolica di essersi in massima parte cristallizzata e fossilizzata,
essa rifiorisce eziandio tra i fossili e i cristalli; e mostra un grande
elatere nella creazione di nuovi istituti religiosi, per la cui diramazione la
libertà è tanta da rasentare il confusionismo e dare lavoro alle curie
vescovili e ai tribunali civili per discernere, se certe monache siano apocrife
od autentiche.
Della più asseverata
autenticità erano le Monache grigie di S. Savino, a cui oltre l'istituzione
episcopale non erano mancate vidimazioni della sacra Congregazione dei Riti,
bolle di approvazione pontificia, ed anche benedizioni specialissime del Santo
Padre; tutte largizioni, che non costavano niente, anzi erano pagate, e
servivano mirabilmente alla modernità e alla politica religiosa, per la
matematica evidenza, che più si licenziano ossia si permettono nuovi organi,
più crescono le trombe assorbenti dello spirito, i succhioni della vegetazione
spirituale a benefizio dell'Orbe cattolico.
La fanciulla Rosa
Benibaldi, che così si chiamava al secolo, prima di monacarsi, aveva fiso e
fuso lo scintillio dei suoi occhi nella cotta grigia delle Savine, che si
chiamavano anche, e si chiamarono poi preferibilmente Preziosine, perché
dedicate specialmente al culto del preziosissimo sangue di Gesù salvatore. La
loro uniforme non faceva macchia come una stola nera; era d'un colore di
colomba perlata che si confaceva con il ceruleo del mare e con il celeste del
firmamento. Alla fanciulla tornava pure la piega di quelle cornette bianche,
che parevano coppe argentine di angelo intorno a un pane di zuccaro del
paradiso.
I suoi genitori, che
avevano tanti rampolli da dare al mondo, non fecero difficoltà di concederne
uno a un chiostro in apparenza libero od almeno formatosi all'egida delle
libere istituzioni, dopo l'abolizione dei conventi e dei monasteri ergastoli.
Erano sicurissimi di non adulterare una vocazione e di non fare una monaca di
Monza. Difatti alla mistica ed opulenta Rosa parve sinceramente di toccare il
Cielo con il dito, quando le si annunziò che a Pasqua avrebbe sposato il
Crocifisso. Nessun altro nome volle, che quello di Suor Crocifissa. Di vero
essa erasi profondamente votata a configgere la sua forma, i suoi sensi, il
piacer suo per servire puramente Iddio, per salvare la propria anima e per
condurre il maggior numero di anime, che le fosse possibile, in Paradiso.
Essa si rivelò tosto
per un valore straordinario. Con un fascino imperioso e persuasivo, con un
coraggio da apostola e da martire essa accostava e sollevava le più orribili
miserie e introducevasi nelle eleganze più solenni e più squisite. Pur di
ottenere protezione o spillare quattrini per il suo istituto essa presentavasi
intemerata e irresistibile all'imperatrice e ai granduchi di Russia, ai
Bonaparte, ai gran signori, ai grandi uomini, alle dame pie e peccatrici, e
alle cocotte fortunate della Roulette.
Durante e dopo la
guerra del 59 essa era stata nell'ospedale di Piacenza un angelo di carità per
i feriti. Colonnelli austriaci, e sergenti zuavi, ufficiali d'Ousta la veia e
garibaldini avevano avuto di lei una visione balsamica; avevano per lei
ricuperata e rafforzata una fede che rallegrò le loro madri, le loro figlie, le
loro spose e le loro sorelle.
Uscita dal servizio
degli Ospedali Militari e collocata superiora di un Laboratorio e Ricreatorio
femminile presso Ivrea, essa mostrò qualità eccezionali di amministratrice e
organizzatrice, senza rinunziare a un attimo di carità per i poverelli. In lei
un ardore di visite frequenti e di viaggi anche lunghissimi; essa sola si
profferse di accompagnare una pazzerella pericolosa da Ivrea a Siracusa, e ciò
per fare un'opera di carità non osata da altri, e per toccare il cuore allo
scettico fratello della pazzerella, segretario della sottoprefettura e
convertirlo alla grazia Divina. In lei un'attività incessante miracolosa; nello
stesso giorno istruiva, esilarava fanciulle, consolava infermi, dava da
mangiare ad affamati, apparecchiava il viatico ai moribondi, in piedi, in
ginocchi, con la croce in mano, allo sventolare delle alette, elevata nella
pietà, fissa nell'impero, era l'immagine attiva e militante della beneficenza
cristiana. In lei una prontezza di risoluzioni mirabile. Come Massimo d'Azeglio
presidente del Consiglio dei Ministri essa non concedeva più di cinque minuti
di meditazione alla risoluzione delle situazioni più complicate.
In tale figura e
valore di vita attiva pose gli occhi e fece sicuro assegnamento il canonico
Giunipero, una bella maria, dicevano i veneziani, anche lui.
Come Camillo Cavour,
per non vergognarsi del suo adipe, si accinse ad una attività prodigiosa per la
formazione dell'Italia libera ed unita, così Don Giunio risolse di volgere ad
una prodigiosa pesca mistica il suo temperamento, che altrimenti sarebbe
naufragato nel grasso più gioviale e più badiale. Ne sentiva pure l'obbligo,
poiché la beneficenza di Don Bosco aveva fatto di lui pescatore di rane a
Laghetto da Po un sacerdote della Chiesa pescatrice di anime. Se l'avessero
lasciato nel suo villaggio con i suoi pari, sarebbe divenuto un possente da
osteria.
Si sentiva la possa
della polemica volgare e della malignità teologica. Ma uno sguardo della buona
madre contadina, che egli venerava più di qualsiasi essere su questa terra lo
addolcì, dandogli il dirizzone di salvare bambini dai pericoli del mondo.
Ed egli fu un
provvido raccoglitore dell'infanzia abbandonata. Applicò eziandio alla
beneficenza infantile la varietà policromatica. Servì da agenzia di
collocamento europeo e specialmente italiano per i piccoli selvaggi di colore,
che egli raccattava dalla Società di Propaganda Fide, e da altri ordini di
Missionarii in Africa, Asia e Papuasia. Se certi nobili ricchi potevano
ostentare moretti o valetti bronzini o di verderame in livrea dietro le loro carrozze,
lo dovevano al Canonico Giunipero. Ma oltre al salvare i virgulti umani, un
giorno egli pensò ai rami e ai tronchi abbattuti, dispersi o putrescenti.
Visitando una
fabbrica a Cossila biellese, vide che di stracci abbominevoli raccattati dai
bassifondi di Napoli, dalle cantine di Londra e persino dagli immondezzai di
America si formava una virginea bambagia e si filavano tappeti da rallegrare
l'immaginazione dell'Oriente. E così non si potrà pure fare del ciarpame umano?
Come di cavalieri
macchiati e d'avventurieri scampaforche si formano terribili legioni straniere
in sussidio degli eserciti europei, così la civiltà religiosa potrebbe redimere
i caduti ostaggi del vizio.
Ma all'alta impresa
occorre il nerbo di ogni guerra: il denaro.
Il denaro, osservava
il canonico Puerperio pieno di riconoscenza mortificata conversando con Suora
Crocifissa, il denaro non manca mai alla virtù redentrice, profluendo eziandio
dalle sorgenti del vizio pentito. Senza peccati non vi sarebbero pentimenti,
senza pentimenti non vi sarebbero riparazioni. Da una parte generali o
presidenti acciaccati, che nella loro irreflessiva gioventù tradirono a diecine
serve e padrone, crestaie e signorine, dall'altra parte venerande patrizie o
banchiere, la cui focosa inesperienza puerile fu forse abbassata da
palafrenieri, e la cui pompa matronale ebbe un dizionario biografico di amanti,
tutte le peccatrici e tutti i peccatori di alto bordo cercano di mettere in
pace la loro garrula coscienza, facendo cospicue elargizioni alle opere pie. Per
cui la generosità femminile (generosità nel senso dell'on. Morelli) non
serve soltanto ad ottenere impieghi, secondo lo scherzo della burocrazia
pontificia: Mater dat, filia dat, uxor dat, soror dat; propterea quod ille
missus est in Datem (nella Dateria apostolica). Ma la generosità femminile
serve pure ad innalzare pie opere di virtù. Ah! (con un profondo sospiro
soggiungeva il canonico Puerperio). Noi ci siamo consacrati alla Purità... E
dobbiamo domandare l'obolo... come sapone di chi sa quante macchie... Via!
Mettiamoci in campagna.
¾ Sette!
¾ le
rispose con un monastico pattone sulla schiena Suora Crocifissa, arrubinando il
bell'ovale del virginio pallore.
E si misero ambidue
in campagna.
Sulla sepoltura di
una città, che nei tempi etruschi e romani si meritò il nome di Industris, si
screpola un gramo inoperoso villaggio, che con il nome di Passabiago scivola
dai margini collinosi del Basso Monferrato alla sponda destra del Po.
In una valletta
storta e profonda, quasi inesplorata come una foresta vergine, esisteva un
rudere preziosissimo di antichità cristiana; un tempietto, la cui costruzione
si fa risalire a trecento anni dalla natività di Gesù Cristo.
Lo si dice fondato da
San Mauro. Subì incursioni di saraceni. Un mozzicone di iscrizione scalfita
nella vecchia pietra «XI Kal. Nov. Rolandus», ed una vaga tradizione
lasciano supporre una visita di Orlando innamorato, che poscia ritornò furioso
a ricuperarvi il senno smarrito. Napoleone I vi sorprese una lauta badia di
Cistercensi, che facevano bollire i capponi nel vino bianco, e mandavano i
vitelli a tuffare un istante nel Po per ripescarli e mangiarseli nei giorni di
magro come pesci. L'imperatore còrso abolì la badia, disperse i padri badiali,
e ne donò terreno e fabbricati a un brioso maresciallo Bonnelane, che li giocò
e perdette a tarocchi.
Nella restaurazione
politica, si restituì il convento in più modesti costumi.
Il ministro Urbano
Rattazzi, coul Rataz, fieul d'Cain, fratel d'Caiffas, sulle zucche
incapucciate a l'a dait un famos crep ¾; onde il
padre guardiano poté intonare, secondo la lepida canzone piemontese del
Brofferio: ¾ Bruta
neuva SYMBOL 190
\f "Symbol" \s 12¾ orate frates SYMBOL
190 \f "Symbol" \s 12¾ Bruta neuva per dabon. SYMBOL
190 \f "Symbol" \s 12¾ Babilonys impii patres SYMBOL
190 \f "Symbol" \s 12¾ portu 'l Diau an procession.
In quella nuova
soppressione di Conventi venne pure colpito il Convento di Sant'Oblito a
Passabiago, Sant'Oblito, forse un santo inesistente, in cui si personificò per
eufemismo o trapasso popolare l'originale Sant'Oblio. I fabbricati e i terreni
vennero comperati all'asta pubblica dalla solerte ditta Israelitica Salomon
Todros e Segre, felice acquisitrice di beni ecclesiastici in blocco, e
rivenditrice al minuto.
Ma la Ditta trovò
insolite difficoltà a disfarsi di quei beni, anche offrendoli spezzati in
piccoli lotti con dilazioni straordinarie al pagamento. Tanta era la diserzione
e l'apatia dei capitali, che regnava loro intorno.
La mania litigiosa,
l'afflizione della crittogama e della peronospera, la testarderia del così
faceva mio padre e il conseguente assoluto misoneismo avevano congiurato
per formare un presente contradditorio, quasi ingiurioso all'antica nomea di
Industris. La moderna Passabiago pareva la mummia di un rospo. Uno sparpaglio
di case scrostate o screpolate o non finite; poggiuoli, che aspettano da anni
ed anni la ringhiera; modiglioni, che si protendono inutili per ricevere la
pietra di un balcone, che mai non viene. Ignorati o respinti i concimi
artificiali; ¾ una
voluttà di andare a dormire, rimandando ogni cosa al Die Domani; una assoluta
mancanza di volontà, niuna prontezza, fuorché nel litigare.
In fondo della
valletta giaceva quasi sepolta dai rovi e dalle rose canine la gemma della
chiesetta. Ai due lati si ergevano in secolare contrasto storico e tellurico i
due poggi dominati dalle rispettive famiglie Rotellana e Pressendina, che dalle
spaccature e feritoie delle loro bicocche diroccate ancora si lanciavano
freccie di cartabollata. Oramai alle due famiglie di litiganti cronici non
rimanevano più che queste due risorse; ¾ per
l'una, la Rotellana, pattuire la conversione dei numerosi componenti al
protestantesimo, con una sfondolata società di propaganda londinese, che pagava
le conversioni in contanti. Per l'altra famiglia, la Pressendina, rimaneva il
rinfranco di spazzare il sepolcreto avito nel Cimitero di Torino delle ossa dei
Maggiori, ammucchiandole in un angolo chiuso della cripta, e vendere il
restante spazio a un milionario costruttore di strade ferrate.
Si aggiunse la
complicazione di un amore improvviso in tanto odio secolare.
L'unico figlio dei
Pressendina, l'avvocatino Oreste si innamorò perdutamente di Onorina, la
primogenita dei Rotellana, che perdutamente gli corrispose; onde era minacciata
una nuova tragedia di Giulietta e Romeo. Invece il dramma ebbe lieto fine come
negli amanti di Castello e Cascina di Roberto Sacchetti.
Un santone, dei
soppressi Tornaboni, padre Funari, venuto in concetto di santità per le sue
reliquie (fra cui due capelli della Madonna) per le sue astinenze e per il suo
moto perpetuo, era una grande provvidenza per tutti, e un grande specialista
nel ricondurre le mogli fuggitive ai mariti spasimanti e maritare i rampolli di
famiglie discordissime.
L'avvocatino
Pressendina e tota Rotellana si erano rivolti a lui taumaturgo; ed egli
per maggiore sicurezza aveva richiesto il superiore intervento del Canonico
Giunipero e di Suora Crocifissa. La signorina si era inginocchiata davanti al
Canonico, l'avvocatino davanti alla Suora. E canonico, suora, e taumaturgo
avevano combinato un miracoloso sopralluogo.
¾ Iesus! ¾
esclamarono in un duo la suora e il Canonico, quando mirarono sotto i rovi e le
rose canine la facciata della Chiesa di Sant'Oblito.
¾ Iesus! ¾ tenne
bordone padre Funari, completando il trio.
¾ Questa
facciata pare un incastro per un rivo di devozione, che conduce al Paradiso ¾ osservò
Suor Crocifissa.
¾ Dovrebbe
essere dichiarato monumento Nazionale! ¾ asseverò
il canonico.
¾ Me ne
occuperò io, ¾ promise
padre Funari ¾
parlandone al commendatore Itaglia, Ministro dell'Istruzione Pubblica, e a un
mio amico usciere omnipotente al Ministero dell'Interno.
Fecero un viaggio e
due servizii. Non solo combinarono il pateracchio tra l'avvocatino Pressendina
e tota Rotellana, ma gittarono le basi della florida Casa del Sant'Oblio.
Comperarono a buon
prezzo dalla Ditta Israelitica quella gemma di antichità cristiana, e i circostanti
terreni. Tacitando e mandando a spasso i creditori delle oberate famiglie
Pressendina e Rotellana, i quali non isperavano oramai più niente dai giudizii
di graduatoria, si impossessarono dei due poggi laterali coi relativi versanti,
si può dire per un tozzo di pane. Di vero non vi era mai stato un candidato
così ambizioso, così chimerico e così scemo di piattaforme elettorali, che
avesse proposto un tracciato ferroviario per quella valletta abbandonata dagli
uomini e da Dio.
L'avvocato Pressendina
si ebbe una cattedra di diritti civili in un istituto tecnico di Torino, donde,
come è noto, salì al Consiglio di Stato.
La famiglia Rotellana
inoculata di nuove cognizioni rimase preposta all'agenzia agraria della
rinnovata Casa del Santo Oblio.
La Chiesa ebbe un
generoso restauratore in un patrizio eccellente architetto archeologo. La
facciata splendette come una paratoia di rivo conducente al Paradiso;
nell'interno le gemine colonne apparveno gambe di santi onestate di brache
luminose.
La vasta possidenza
venne circondata da un muraglione rivestito di edera, lungo come una cinta
daziaria, destinato, come una muraglia della Cina a separare il Santo Oblio dal
bulicame del mondo restante.
Per evitare gli
incameramenti di Rattazzi e dei ministri suoi successori la proprietà venne
acquistata privatamente in testa del Canonico Giunipero. Sovventori furono
principi plebiscitarii e pretendenti a ristorazione reazionaria, squarquoie
arricchitesi nel commercio della carne umana e candide colombe della nobiltà e dell'alta
borghesia. Avevano largamente concorso il comm. Vispi droghiere emerito,
l'emerito macellaio Baciccia Calzaretta, il marchese Stefanina, i conti De Ritz
padre e figlio, e il barone Rollone Svolazzini, non senza ragione di imbeccata
personale.
Il Canonico Giunipero
nell'estasi della riuscita impresa, ebbe un'ossessione immaginosa, come la
visita tentatrice del Diavolo.
¾ Sta
bene! ¾ egli
immaginò! ¾ Sta bene
in fondo alla valletta attaccato alla Chiesa il nido del Santo Oblio per le
spericolate e le pericolanti salve dai morsi e dai rimorsi del mondo.
¾ Ma là in
alto sui due poggi vorrei giganti fronteggianti due ganglii virili. Sopra l'uno
vorrei raccogliere uomini maturi, vecchi cadenti, sbattuti e rialzati per la
Santa Fede; sopra l'altro vorrei raccogliere un reggimento di giovani operosi
devoti alla santa forza! Ora che la soppressione degli ordini religiosi
necessita il rifarsi, rinverginarsi del monachismo insito perpetuamente alla
natura e ai destini dell'umanità, vorrei risuscitare i frati gramieri avamposti
dell'agricoltura intensiva, vorrei risuscitare gli Umiliati pionieri
dell'industria tessile e tintoria.
¾ Vorrei
in più, ¾ e qui
l'immaginazione vinceva le redini al canonico... ¾ Vorrei stazioni taurine di
eccellenti riproduttori.
Come se il diavolo
gli ridesse sfolgorando in faccia, egli fantasticava: ¾ L'imbecille civiltà ha creduto
distruggere un'impostura nociva, abolendo dei conventi; invece ha distrutto
utili verità, che fruttificavano sotto l'ipocrisia apparente... Oh! la bella
popolazione, che cresceva intorno ai conventi! Alla mia Laghetto da Po si
ammiravano ninfe delle risaie, che le migliori non avevano potuto dipingere i
classici pittori della Grecia, e ciò perché v'erano fratacchioni ben pasciuti
di corpo e di spirito a benedire con il loro amore le contadine: essi nel bacio
recavano non solo un vitale nutrimento, ma portavano un soffio di canti, studî
e sogni sublimi, come un intreccio raffaellesco di arcangeli e madonne.
¾ Erano
depositi di stalloni umani per una razionale stirpicoltura e col celibato
religioso offrivano una buona soluzione al problema di Malthus pauroso, che le
popolazioni aumentino in proporzione geometrica, mentre i mezzi di sussistenza
crescono soltanto in ragione aritmetica.
¾ Invece,
ora, aboliti i conventi, lasciata la procreazione rurale soltanto ai mal
nutriti fisicamente e intellettualmente, sparvero le ninfe delle risaie; e loro
sottentrarono femmine verdognole dalle bocche di lucertola e di rana, facile
preda, gaglioffe e terribili alleate dei galeotti sfruttatori ed impresarii del
socialismo professionale.
In quel punto entrò
Suor Crocifissa solenne, pallida e pura, al pari di Santa Clara.
Il canonico, come se
avesse esposto a lei il discorso diabolico, le domandò: ¾ Non è la mia una concezione
dantesca?
Suor Crocifissa, che
mangiava poco o nulla di Dante ed adorava soltanto l'Immacolata Concezione,
fece un viso di voluta ignoranza e rimprovero.
Allora il canonico Puerperio,
cioè Giunipero, si sentì calare le ali diaboliche dell'orgoglio e del rigoglio
virile, e domandò a Dio perdono dei suoi peccati di immaginazione.
Egli allora si dedicò
unicamente alla nuova fondazione femminea del Santo Oblio.
Le prime reclute
furono una dozzina come gli apostoli, e primario agente di arruolamento fu il
padre Funari.
Passato il cancello,
in cui i ghirigori del ferro battuto delineano curve di nuvole a bambagia
d'angioli, si vede spaziare un prato, intersecato da redole di ghiaia minuta,
che partono dal piedestallo di una Madonna Stellata, come raggi da una stella.
La statua della Vergine Madre Divina lucente di ceramica bianca, ha sulla
fronte una stella metallica di doratura raggiante. Porta due iscrizioni sui quadri
del basamento. L'una: Ave, Maris Stella è il saluto dei naufraghi della
vita, che si salvano in quella casa del Sant'Oblio. L'altra: Hujus domus
regina significa quale sovrana devesi riconoscere dalle casigliane e dai
visitatori. Personificazione viva della statua è la superiora Suor Crocifissa.
Il suo ideale vivente ed attuoso appare più fulgido e più alto della stessa
statua. Dal beato Calasanzio al Pretore Martini è provato che l'abilità di
consolare ed avvincere beneficamente gli afflitti ed i derelitti è una
prerogativa personale straordinaria; non si può insegnare con regole; perché
varia secondo l'infinita varietà delle afflizioni e degli abbandoni.
Unica efficacia è
l'asseveranza di una irradiazione d'amore.
¾ Tu orfanella,
adunghiata, sputacchiata dalla matrigna, derubata dai costei drudi, non hai mai
avuto un bacio rispettoso. Ed io ti bacio nel Divino Amore.
¾ Bella
sartina, tradita dal sottotenente, a cui credevi dedicare il cuore e la vita,
mentre egli ti ha presa come un'appendice di camera mobiliata, come il
sopracaffè del mattino, ¾ vieni
qui; ché la Madonna ti assegna nella sua casa un posto di eguaglianza umana e
di fedeltà nell'amore Divino.
¾ Zitelle
e dame gonfie dal livore e corrose dalla gelosia, che è il reagente più torbido
e più corrosivo della chimica psicologica, venite qua dentro; e troverete nelle
pieghe del Manto di Maria Immacolata la più olezzante fiducia in Dio, che fa
sperdere persino la memoria dei terribili sospetti, per cui afferravate come
documenti di tradito amore finanche le carte destinate a fetidi recessi.
Oh! ben lo disse il
canonico Puerperio, cioè Giunipero. Anche nella mitologia vi erano simboli di
verità, che qui si realizzano. ¾ Qui in
quel Rio «Lavatojo» abbiamo realmente il fiume Lete, che travolge, sperde la
memoria di ogni male; e in quell'altro rivo «Ortolano» abbiamo realmente il
fiume Eunoè che coltiva ed accresce la memoria di ogni bene. La immagine matura
di Suor Crocifissa in mezzo al prato dirimpetto al cancello raffigura quella di
una cruda bambina che erige una pertica invitando a posarvisi le libellule:
«Signorine e signorone! Venite sul mio bastone».
Ma la bambina
acchiappa le libellule per infilzare crudelmente una pagliuzza nella loro coda.
Invece Suora
Crocifissa offre a tutte le ferite, a tutte le offese del devoto femmineo sesso
il balsamo, pregustazione del Paradiso. Ai disordini della materia umana niun
riparo più sicuro, che un ordine spirituale, in cui si riflette umanamente un
raggio di ordine divino. La creatura bersagliata dal delitto altrui o dalla
propria passione ha perduto il contatto benefico con l'Universo creato. Può
riacquistarlo in una comunità religiosa.
Questo è il vero
socialismo ideale, per cui con gli altri vantaggi sociali si moltiplica il
tempo.
Come è difficile per
un individuo ed anche per una privata famiglia il fissare e mantenere un
orario! La mancanza di zuccaro nel caffè o il male di denti d'una sorella
possono assorbire o fare cadere nel nulla, come per un giuoco di mattoni, tutte
le ore della mattinata preziosa al lavoro. Invece in una comunità governa
inamovibile l'orologio di precisione. Quanto possa fare uno studioso libero
dalle cure domestiche, lo riconobbe il Taine deplorando lo strazio e lo
sperpero delle corporazioni religiose fatto dalla Rivoluzione francese. Simile
beneficio si può riconoscere per qualsiasi lavoro.
Alle cinque del
mattino la campanella sveglia per la preghiera. Il cronometro distribuisce il
tempo esatto per la religione, lo studio, il lavoro, e la ricreazione; dalla
Santa Messa, alla grammatica, all'aritmetica, alla inaffiatura dei fiori, alla
potatura, all'innesto, alla composizione italiana, al saggio di lingue
straniere, alle refezioni, alla raccolta dei frutti, alla macchina da cucire,
al telaio Iacquart, al lawn tennis e al missisippì ecc. ecc.
Nel nitore di un
paesaggio romito ed aprico, tra Terra e Cielo, Dio e Natura, studio, lavoro, ed
Amore Divino danno unicamente la pace umana.
Questa sentirono,
dopo l'abbraccio e il bacio di Suor Crocifissa le prime ricoverate, che non
sospettarono neppure di essere recluse.
Una figliastra
ritrovò la madre ideale; una tradita ritrovò fedeltà d'amor celeste, nove altre
vittime di gelosie o martiri di persecuzioni entrarono in quel porto della
rassegnazione generosa e persuasiva, persuadendosi che la partecipazione
accresce l'amore e la vera contentezza risiede nel volere di Dio.
Notevoli tra le prime
reclute le soprannominate Bimblana e Gibigianna.
Bimblana nata ottava
da una famiglia di schiavandari ad Ypsilon Novarese era stata battezzata coi
nomi di Ottavia Rosa Antonia. Era cresciuta come un rosolaccio; di bella
presenza, era mandata a servire in città, essendo già superflua la precedente
figliuolanza per la schiavenza in campagna.
Aggirandosi nel
mercato degli erbaggi veniva ammirata ed amata per le sue forme slanciate e
scultorie e per il suo andamento di maternità anticipata, che ai bambini e alle
bambine la faceva parere una superiora amorevolissima. Suo gesto favorito era
un ritmico allargare di braccia e scotimento di mani, con cui si direbbe avesse
voluto raccogliere e sollevare in Paradiso un asilo infantile. Per quella sua
andatura ondeggiante, quasi cascante di noncuranza estatica, aveva avuto il
nomignolo popolare di Bimblana. Un ardito scultore l'aveva voluta per sua
modella. Una guardia carceraria le diede prigioniero il suo cuore. Ma essa,
senza riuscire ad amare nessuno, si lasciava amare quasi da tutti.
La sua letteratura
erano le avventure di Ol Carlin e la so dona a Milan, anche
tradotte dal dialetto milanese al piemontese. Ma essa orgogliosa di aver
appreso il meneghino, in modo da non disimpararlo più, realizzava pur troppo il
distico originale: Te pacjria tuta SYMBOL
190 \f "Symbol" \s 12¾ E mi me lassi pacià. Piegava la testa pudibonda,
e lasciava fare e si lasciava baciare.
Ottavia Rosa Antonia
era on tocc da marcantoni da bon, che tirava i baci stagn.
Non di rado aveva
verificato nella vita i dialoghi del suo libro galeotto: ¾ Sa
gh'avii Carlin! SYMBOL
190 \f "Symbol" \s 12¾ Sont scia ch'a va mangi coi
eucc. A sii na gran bella forlana vidii...! Sanforment! SYMBOL
190 \f "Symbol" \s 12¾ Lassem no Carlin!... lassem
no! Salveves mia col... sentimento...
Essa aveva più
docilità muta, che espressione di sentimento. Vittima dei capricci di fantasia,
da cui sperava forse qualche tesoro del Caso era caduta d'una in altra disgrazia,
fino a parere una bella e grossa mela fracida da buttare sul letamaio. Una
notte la folata di giovani briganti esteti, che terrorizzano quella cittadina
rurale, rimanendo impuniti, perché figli di avvocati o nipoti di canonici, con
cui il deputato non vuole assolutamente disgustarsi, dopo avere ubbriacandosi
fraternizzato con i garzoni da caffè e rotto il naso al busto del generale
Garibaldi nei giardini pubblici, avevano attirato Bimblana sulla panca più
scura del viale per godere in combutta il distico: ¾ Bimblana! a va paci da sbalz...
mi SYMBOL 190
\f "Symbol" \s 12¾ E vu paciem... SYMBOL
190 \f "Symbol" \s 12¾ E mi va paci SYMBOL
190 \f "Symbol" \s 12¾ E mi me lassi pacià... traduzione bestiale, note alla
Spirito Losati, traduzione bestiale dell'angelico invito pronunziato dagli
inquilini danteschi nella Stella Venere: Tutti sem presti al tuo piacer,
perché di noi ti gioi.
La lasciarono con le
vesti oscenamente stracciate.
Così turpemente
abbandonata essa pianse a dirotto... In quello stato miserabile non osava più
presentarsi ai padroni e ai genitori. Voleva gettarsi nel Canale. Ma un filo di
luce la salvò: la fama dei capelli della madonna, posseduti dal Santone padre
Funari. Fece otto miglia a piedi per portarsi da lui; e fu condotta alla Casa
del Santo Oblio.
Vi era allora in
visita apostolica il canonico Giunipero, il quale, veduta la rifugiata e
sentitine i casi, appartossi nella libreria, si fregò gli occhi, come per
un'aspra visione ed esclamò in un soliloquio silenzioso, che sarebbe stato
forte, se pronunziato in un teatro filodrammatico di venerando seminario:
¾ Manzoni!
Manzoni! Dove hai conosciuto la tua immacolata ingenua Lucia Mondella?... Oh!
tipi di campagnuole oneste ed istruite offerte ad imitazione da Cesare Cantù e
Felice Garelli!... Perché, perché la verità è così diversa? Soltanto la musa
stenografica, fotografica porca villana o villana sporca è la sincera
interprete dell'anima femminile popolare, se non la salva, se non la purifica
Religione.
Con questa
esclamazione in pectore Egli si curvò sull'inginocchiatojo a pregare per
la salvezza dell'eterno femminino popolare.
Nei primi giorni del
suo ricovero Bimblana si sentì non solo salva, ma felice. Ravvisando un
godimento senza peccato, sentendosi amata, senza essere goduta, né sprezzata né
vituperata, confessò ingenuamente: ¾ Non sono
mai stata così bene a questo mondo. Mi pare di essere in un paradiso terrestre.
Di meno facile
contentatura si palesò Gibigianna, che irruppe nel Santo Oblio come una meteora
annunziatoria di fulmine maggiore.
Intanto dessa la
bella Gibigianna faceva notevole riscontro alla bella Bimblana. Questa
purificava le sue meneghinate; quella guardando nella lampada della chiesa
rattizzava il fuoco errante dei suoi occhi e lo splendore vago dei suoi
capelli, che le avevano fruttato il nomignolo fin da bambina.
Come un raggio
riflesso da un piccolo specchio, che si muova o si rompa, coagula sopra una
volta grummi di luce, che vanno e vengono con l'agitazione di uno staccio o
setaccio, fenomeno, dai toscani detto occhibagliolo, la vegia dai
piemontesi, e dai lombardi gibigianna, così era la biondezza di Lia Lei,
una biondezza da traveggole. Si conformava a tale biondezza la grazia mobile
del capo chino arieggiante alla filigrana pendula di argento dorato, che adorna
la testa alle fattoresse lomelline. La piccola Gibigianna sarebbe riuscita una
Vespina, una svelta ed onesta cameriera da commedia di Tommaso Gherardi Del
Testa, se il padre non l'avesse menata agli stravizii. Il padre suo, Teodoro,
tramviere, dopo parecchi mestieri ed uffici abbandonati, aveva fatto girare la
testa alla maravigliosa signorina figliuola di un causidico da mandamento rurale,
e se l'era sposata o piuttosto rubata. Con una faccia innamorativa da impostore
aveva fatto sognare castelli in aria alla sposa; e l'aveva condotta in una
soffitta. Ma egli si ripagava delle strettezze domestiche nei pubblici
esercizii. Questi gli parevano la vendetta sociale dei proletarii, che nei
caffè e nelle trattorie si trovavano eguagliati da una illusione di Corte,
facendosi servire da camerieri in coda di rondine come diplomatici. Teodoro
aveva educato, addomesticato all'ubbriacatura dei pubblici esercizii non solo
la moglie maravigliosa, ma altresì la piccola innocente Gibigianna. Gli
esercenti, anche socialisti, non sono gratuiti; e adottano il cartello dei
vecchi osti: oggi non si fa credito, domani sì.
Teodoro il
tramviere,
con quel bel titolo e con la posa attraente da teatro diurno, aveva sempre
difficile il quarto d'ora di Rabelais, cioè quello di pagare il conto; ma
riusciva a superare le difficoltà, facendo la corte alla padrona con occhi
lampeggianti, o chiudendo un occhio, se il padrone faceva la corte alla
maravigliosa di lui metà. Ognora egli aveva dimenticato il borsellino a
casa; o non aveva voluto uscire con un biglietto di grosso taglio; ed ordinava
che si registrasse il suo debito. Ma una sera, in cui Teodoro accompagnato
dalla inseparabile mogliera e figliuola dopo avere preso il caffè e sopracaffè,
aveva ordinato una bottiglia di barolo, e poi ancora il ponce, il trattore del Cannon
d'oro dichiarò a se stesso: basta!; e poi venne a proclamarlo davanti alla
triade, che si indugiava a libare nei lieti calici, mentre gli altri avventori
avevano già lasciato l'esercizio. L'esercente del Cannon d'oro si era offeso,
accorgendosi, che Teodoro in una momentanea uscita gli aveva abbracciata l'aurea
moglie intronizzata al banco. Della moglie di Teodoro egli non sapeva che
farne, egli che possedeva una cannonessa d'oro. Quindi: ¾ Alle
strette! Teodoro, sono stanco di riempire il mio gran libro dei tuoi puffi.
Stassera, o mi paghi; o ti rinchiudo in questa stanza, e faccio chiamare le
guardie vicine, perché arrestino te come un gargagnan e tua moglie come
una Venere Vagabonda.
¾ E la
piccina? ¾ domandò
Teodoro.
¾ La
piccina ¾ rispose
il trattore, sarà condotta dalla Questura in qualche ospizio, dove starà meglio
che a casa tua.
Teodoro si era
rivolto indarno a fiammeggiare uno sguardo per implorare la padrona che non si
lasciava vedere. ¾ Discese
invano uno sguardo sulla propria moglie per illustrarne le offerentisi
bellezze.
Addolcito dal vino,
egli aveva più che le prepotenze e le viltà del gargagnan, l'amenità del
brillo.
¾ O cannon
d'oro! Che credi di guadagnarci? Io non ho in tasca un cito. I gioielli,
che porta mia moglie, sono di princisbecco.
Il trattore del
Cannon d'oro con uno sguardo d'acciaio da banchiere crudele aveva avvistato che
non erano di princisbecco gli orecchini di Gibigianna.
¾ E questi
qui?
¾ Questi
sono un regalo del nonno procuratore, che sarebbe capace di mandarti in galera,
se tu li toccassi.
¾ Non temo
la galera. Dammi alla buona in pegno questi orecchini. Ed io, anziché
molestarti e minacciarti, faccio portare due altre bottiglie di barolo
stravecchio ch'a rangiu lo stomi e per addolcirti ancora più la bocca
alla fine ti darò un passito di Caluso, che non hanno i Cardinali... E berremo
anche in compagnia della mia signora moglie, che farò venire per te... Vieni
qua, Madama, Madamona Catlonessa!
Fu la stessa Cannonessa
d'oro, che tolse gli orecchini del nonno a Gibigianna, dei quali padre e
madre non furono inconsolabili; Gibigianna sì.
La fanciulla, dopo
una notte fremente, ebbe alla mattina da una compagna di scuola un filo di
salvezza; andò in una sacrestia, si confessò a un prete; e venne anch'essa
destinata al Sant'Oblio con il consenso dei genitori, ai quali venne regalata
una cesta di bottiglie. Onde lo spensierato Teodoro, quando gli domandavano
della figlia scomparsa, rispondeva: ¾ Sta bene
al caldo! Me la sono bevuta.
* * *
Qualche volta il
protettore canonico Giunipero e la superiora Suora Crocifissa, contemplando
quell'onda di vivezza giovanile, che corrispondeva ai raggi del sole, sentivano
il rammarico di imprigionarla là dentro fuori della vita mondana.
Ma loro si
affacciavano i fantasmi dei persecutori dell'innocenza: faccie torbide, ferine,
culari e patibolari.
Via da loro gli
angeli della terra. Bisogna sottrarre dall'empietà, salvare gli angeli della
terra.
Gli è vero, che
bisognava ripulire le ali di questi angeli da molte brutture.
¾ Bisogna
convenirne, mia cara, mia santa Suor Crocifissa. Un presidente nord-
americano ci chiamerebbe muck rakers, frugatori di fango. Però
anche il fimo giova alla buona semente, che per noi è la Parola di Dio.
Proseguiamo senza ribrezzo nell'opera buona e necessaria. Il materialismo
moderno troppo sequestra l'Umanità dalle speranze celesti, fondandosi
sull'ignoranza precisa dei Cieli, che pure indubbiamente esistono. Noi
purghiamo le anime avvelenate, noi preserviamo le creature vergini, pascendole
del più puro azzurro. I nostri sono serbatoi e traiettorie, che mantengono il
contatto, sia pure forzato, dell'Umano con il Divino.
Il Canonico Giunipero
e Suora Crocifissa intrecciando le mani alzate come in una figura di ballo
celestiale, formavano un arco mistico, sotto cui invitavano a passare tutte le
minacciate od offese da brutali persecutori, tutte le guaste dalla corruzione,
tutte le tocche dalla follia contemporanea.
¾ Venite,
passate alla salvezza del regno di Dio e della Madre Divina. Vieni Regina delle
Gambe, rappresentante delle Risaie, ai tempi delle laute abbazie. Vieni Fiorina
Lucy, vieni Tilde, vieni Maria, vieni Eugenia, vieni bastarda, vieni, purissima.
Vieni anche tu, conferenziera socialista, anarchica, Solima Del Lago, che i
curati e i sacrestani chiamano limo del lago. Vieni a zampillare fresca,
purgata dalla contemplazione delle verità divine.
E vieni
nell'abbraccio della Croce, o Gilda, nell'abbraccio della più bella croce, che
possa piallare, intarsiare e scolpire il buono e curvo Simone tuo padre.
Non aveva costato
molto al prefetto emerito barone Rollone Svolazzini il sequestrare babbo Simone
e relativa figlia, a fine di preservare il proprio Svembaldo allontanato.
Il falegname Simone
era un'anima di vassallaggio medievale; aveva insita nel sangue la fedeltà alla
Chiesa e all'Impero rappresentato dal nobile barone. Era pure medievale nella
sua abilità tecnica. Invece del macchinario a vapore per l'impazienza moderna,
egli aveva la curosa lentezza della commettitura e dell'intarsio manuale. Pella
concorrenza del giorno e dell'ora egli sarebbe rimasto senza ordinatori;
sarebbe languito nell'abbandono ad intagliarsi la cassa da morto.
Di questa prospettiva
si rese presto capace l'angusta e rispettosa mentalità dello stipettajo rurale,
a cui parve una Terra promessa dalla Sacra Bibbia la dimora e la pensione
vitalizia al Santo Oblio. Con la minuzia consentita dalla massima larghezza del
tempo, senza disturbo di sollecitazioni, egli finirebbe armadii di sacrestia,
cassepanche da sancta sanctorum, stalli da coro, cofani da Suore;
incrosterebbe di fiori lignei, sottili come carta, la nicchia della Madonna...
Oh se potesse lui fabbricare la custodia per le ali dell'Angelo Custode!
Intanto egli era
relativamente felice, perché la sua Gilda sotto i suoi occhi paterni sarebbe
custodita, sarebbe riparata dalle insidie, dalle seduzioni e dalle pretese
sproporzionate del mondo.
Gilda si mostrò
restia dinnanzi alla facile contentatura del papà; oppose lacrime e lacrime; ed
entrò al Sant'Oblio irrorata di lacrime, come un passerotto bagnato dalla
pioggia, il quale si rincantucciasse sprofondandosi sotto una gronda.
Volgeva gli occhi
spauriti, come se spiasse tra i fili della gabbia un'evasione.
Suora Crocifissa
sentiva difficoltà ad ammansarla, asciugarla, e intepidirla del suo fuoco
sacro. E temeva, che l'operazione del prosciugamento venisse compita invece da
un terribile vento, che pur si aspettava.
Il vento della
Contessa De Ritz...
Sorridendo con ironia
celeste il canonico Giunipero aveva notato, che la Contessa De Ritz era
destinata al Santo Oblio dal Clericalismo e dalla Massoneria. Ma pigliarla
quella contessa! Qui stava il busillis... Si erano tese le ragne in
Europa e nell'Asia Minore.
Fino allora era stato
come tendere la rete per acchiappare un vento.
Le informazioni
secrete dei gesuiti e della Massoneria recavano avventure strabilianti. C'erano
di mezzo corone di re e corone da rosario, scimitarre, pugnali e bisturì.
Le informazioni
massoniche facevano capo principalmente al conte De Ritz; e le informazioni
gesuitiche al Comm. Vispi padre della Contessa. Ma gli stimoli e i reagenti, e
le direttive, e le curve strategiche si intrecciavano, quando non si
intralciavano.
Ostinate forze
congiuravano ad attrappare finalmente quell'indomita potenza della bellezza e
del capriccio femminile.
¾ Ci
riusciranno? Ci riusciremo? ¾ si
domandavano il canonico Giunipero e Suor Crocifissa; e le loro stesse persone
diventavano due punti interrogativi ripiegati tra il desiderio e il terrore.
Che beneficio sarebbe
salvare quell'anima: un beneficio grande per l'anima da salvarsi, e un beneficio
ancora più grande per le innumerevoli vittime, di cui è ancora capace quella
furia allettatrice di pervertimenti!
Ma che pericolo per
il Santo Oblio! Alle reminiscenze classiche del Canonico Giunipero pareva, che
neppure Eolo sarebbe capace di incarcerare quel vento di lussuria. E con un videmibus
infra si chiudeva la longanime aspettativa del Santo Oblio.
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