Quando la Contessa De
Ritz, ottenuta la cittadinanza in un principato danubiano (vedi geografia
politica del tempo), divorziava dal marito accusatore e sposava il drudo
Adriano Meraldi, si sentì più proterva di prima, come se con un arbitrio turco
si fosse infischiata di tutta quanta la Cristianità.
Il nuovo marito ebbe
pure il suo accesso di superbia soddisfatta.
Lui, fiore di
speranza letteraria, Tota Nerina aveva lusingato e abbandonato.
Ed egli, fruttificato
a gloria europea, non solo aveva riattratta Nerina a sé, ma l'aveva inebriata
del suo profumo e del suo sapore insaziabilmente acuto fino al proposito
effettivo di rinunziare al titolo comitale e di accettare il suo nome borghese,
per goderlo ancora, per goderlo sempre.
¾ Senti,
signora Meraldi! Confessiamoci: ¾ Nel rito
cattolico la confessione precede il sacramento del Matrimonio. Però meglio dopo
che non mai. Io credo che Domine Dio è superiore diretto di ogni prete e di
qualsiasi religione non crudele. Faremo piacere a Dio, avvalorando con i buoni
propositi di una confessione la benedizione nuziale del Pope. E poi abbiamo qui
un nostro concittadino italiano, che è stato testimone delle nostre nozze con
l'aspetto di vescovo greco: il letteratissimo Marco Antonio Canini, un
milionario di parole, un matematico sfondolato delle etimologie capace di
estrarre le radici cubiche da trecento idiomi comparati, ed insieme un emporio
di poesie a tutti i gradi di latitudine e di longitudine. Egli ha voluto
celebrare le nostre nozze con una anacreontica, in cui si sente la barcarola
della sua natia laguna vogare dolcemente vincitrice sopra un Ponto Eleusino. Or
bene Marcantonio Canini è pure un vulcano di idee. Ieri sera ristrettomi a lui
con quella inesorabilità di mento barbuto, che pare ti inchiodi a sé, egli mi
confidò apostolicamente: ¾ L'Italia
ha ancora un gran re, Vittorio Emanuele II, un gran profeta, Giuseppe Mazzini,
ed un grande capitano popolare, il generale Giuseppe Garibaldi, e deve ancora
acquistare la sua capitale Roma. Manca il grande Ministro Cavour, che l'aveva
proclamata. Ma seguendo il suo indirizzo, mentre l'Italia acquista Roma,
liberandola dal potere temporale dei Papi, si renderebbe grandemente benemerita
verso la Cristianità spirituale, liberando dai Turchi Bisanzio, e poi la Terra
Santa. Mentre Vittorio Emanuele si incoronerebbe imperatore romano e re
d'Italia a Roma, noi a Costantinopoli innalzeremmo Garibaldi imperatore
d'Oriente. È un pensiero, che il Gioberti istitutore del Cavour chiamerebbe
pelasgico.
La Signora Nerina
Meraldi stridette in un risolino musicale da belle Helène di Offenbach: ¾ Tu parli
come il primo mio marito di felice memoria: Assurement il ne valait pas la
peine de changer de gouvernement.
Adriano Meraldi si
sentì smorzare l'idea pelasgica dallo spegnitojo del ridicolo. Intanto la sua
Nerina ardea per un pensiero di pelo assai diverso.
Quell'odore di corte
musulmana malamente cristianizzata nelle tradizioni diminuite da basso impero,
le aveva dato altezzosamente alla testa.
Essendo stata
presentata al principe danubiano per ringraziarlo della largita cittadinanza,
essa concepì e vagheggiò la speranza di sbalzare, sbancare una regina Milena o
Militza dal fianco di un re Milanovich, ed anticipando le prodezze e la fortuna
infinita di una Draga, tenersi avvinta una coorte di pretoriani, con cui
soggiogare perpetuamente la Sobranja, mentre il sapore incomparabile dei suoi
baci avrebbe tolta all'Antico Re ogni voglia di ripudiare mai la nuova regina,
di cui avrebbe riconosciuto che un solo bacio valeva cento troni.
Essa volle
guadagnarsi l'alleanza di Marco Antonio Canini, il quale con il capo nelle nubi
come un monte non vedeva e non iscorgeva le pozzanghere della valle.
Egli a sentirsi
lodare il suo milione di etimologie e il suo bilione di poesie erotiche
raccolte da tutti gli angoli della terra promise alla generosa signora la
collaborazione di quattro vescovi greci, di un convento copto, nonché della
Accademia di Iscrizioni e dell'Accademia degli Immortali di Francia, eccettuato
qualche membro floscio del partito dei vescovi cattolici e dei duchi
reazionarii. Ma alla preziosa e larga cooperazione Marcantonio poneva una
condizione, su cui non transigeva: l'impero d'Oriente riservato a Giuseppe
Garibaldi.
Più che la
collaborazione fantastica e fanatica di Marco Antonio Canini giovava alla
signora Meraldi la attraenza calcolata della sua beltà europea, la quale
esercitava una particolare seduzione in quella corte di non lontana influenza
asiatica. Tra quel tosco di odalische, che parevano natanti in un quadro ad
olio, ed esalanti sudori profumati, splendeva la sua leggiadria sana, che si
sarebbe detta di una purezza cristallina; una statua di schampagne ghiacciato.
La voglia di
inebriarsene era irresistibile. Già si apprestava un veleno alla regina Milena
o Militza; già una congiura di mammalucchi era pronta a sollevare Nerina I al
trono. Ma congiuravano pure per acchiapparla la massoneria e il gesuitismo
cospiranti da cunicoli sotterranei e sottomarini, che mettevano capo fino in
Italia.
Quando il principe
danubiano aveva posto il più alto prezzo politico ai baci della signora
Meraldi, mentre essa riposava in letto, dopo un bagno degno di Venere, venne
sorpresa circondata da una schiera di giannizzari rivali dei mammalucchi a lei
fedeli, che erano stati disarmati e allontanati.
Essa venne imballata
nelle finissime lenzuola e trasportata in una vettura chiusa, dove già
l'attendevano il marito imbavagliato, e Marcantonio Canini complice, interprete
e consolatore del loro ardire e del loro fallimento. La vettura a gran galoppo,
interrotto da brevi trottate e pause, andava, andava nell'ignoto.
Traversava la storia?
Traversava la cronaca? Traversava la gloria? Traversava la farsa?
A notte alta e cupa
la vettura rullò sotto l'androne di un albergo, donde sbucarono altri
giannizzari travestiti da lacchè a trasportare il dolce imballaggio della
signora tra le lenzuola in una tiepida stanza, dove essa riebbe le sue vesti.
Il marito venne
sbavagliato. E Marcantonio si sentì autorizzato a ricuperare il suo
scilinguagnolo poliglotta ed il suo scibile enciclopedico. Egli si riconobbe
nell'Epiro, un altro dei suoi regni ideali. Egli cantava, e cantando evocava,
rianimava in sé l'eroe Scanderberg.
Adriano Meraldi si
sentiva trascinato dolcemente dal sogno della vita in una viltà giustificata
dalla vita del sogno. Alla giustificazione concorreva la sua metamorfosi di
scrittore francese. Per un ricorso di letteratura storica si sentiva dominato
dalle eleganze muliebri del settecento, in cui gli anatemi alle voluttuose
libertà del senso parevano un non senso.
Era l'amabile
dottrina, secondo la quale Gian Giacomo Rousseau manteneva la sua devota
riverenza alla carezzosa e pacioccona madama de Warrens, malgrado i numerosi di
lei amanti precedenti, contemporanei e successori.
Il filosofo ginevrino
pareva dire ad Adriano Meraldi: ¾ Che
delitto, che peccato sarà godere e far godere, quando non si fa male a nessuno?
Lo scrittore
piemontese gallicizzato ripeterà a sazietà quella filosofia ginevrina a
giustificazione della sua viltà, finché lo incoglierà gravemente un male
veramente francese.
Intanto bisognava
pensare a provvedere, dove si disegnerebbe il giro delle incredibili avventure
e dei vili godimenti.
Marcantonio Canini
sempre infatuato dei suoi classici e puri sogni propose per orizzontarsi meglio
un'ascensione al celebre monastero delle Meteore.
A quell'ultimo nido
di aquile umane si ascendeva per una fune, a cui era attaccato un canestro da
aerostato. La fune tirata dal tornio, cui manovravano di sul promontorio due
frati, salì sballottando Adriano Meraldi, Marcantonio Canini, e la signora
Nerina, che per ingannare la clausura si era travestita da fraticello. Poco
mancò che la galante fraude facesse svenire i due fratacchioni al manubrio del
tornio, quando affacciandosi dalla garitta sull'abisso apparve loro, che
montasse vago vago l'Arcangelo Gabriele in tonaca monacale.
Essi abbandonando il
manubrio avrebbero abbandonato al precipizio i tre naviganti dell'aerea nave,
se non fossero accorsi a sostegno il padre guardiano ed il frate canovaio
attratti al ricevimento.
Allorché il canestro
areostatico afferrò al promontorio, sbarcandone i tre ascensori, sull'altipiano
del convento si palesò un'agitazione maravigliosa, come se abitanti di un altro
pianeta vi avessero data la scalata.
La devozione
eterizzata a superstizione a sei mila metri sul livello del mare propagò in
tutti i monaci la credenza che la signora Nerina fosse veramente l'arcangelo
Gabriele travestito da fraticello. Il volto della signora era veramente tale da
miracolo mostrare. Si determinò nei fratacchioni la follia collettiva di
adorarla, e la accompagnarono processionalmente al sublime altare della
chiesuola. Dall'altare essa domandò di ritirarsi ad orazione solitaria in
sacristia. Quivi, per un trucco combinato dalla fantasia orientale di Marco
Antonio Canini, essa traendo dal paniere laminato d'argento una vestaglia e un
velo femminile, comparve al Sancta Sanctorum trasformata da Madonna.
Ma una Madonna
procace. Onde il sospetto e il bisbiglio, che fosse una tentazione diabolica.
In quelle carni
fratesche addormentate e condensate dall'astinenza si risvegliò terribile il
furore erotico di cacciare il diavolo nell'inferno.
Come in una fossa di affamati
si avventerebbero al gettito di un pane per isbranarlo, si sarebbe fatto
scempio della signora Meraldi, se Marco Antonio Canini non avesse salvata la
situazione con il suo fascino di vecchio mago. Egli poté aggiungere un nuovo
portento al vanto di aver ucciso con un'orazione funebre un assassino. Si
dirizzò col mento grigio barbuto su quell'orda di energumeni envergondés assillati
dal Demone della libidine; e con voce tonitrua da Deus ex machina: ¾ Questa è
per Voi la Madonna; ed io sono il Padre Eterno. Guai a chi le tocca un
capello!... Rispettate, venerate! O vi getto nello spazio!
Cadde la minace
cupidigia dei fratacchioni sedati. Essi videro spiritualmente in Marcantonio un
Gesù invecchiato a Pater noster che proteggeva ex Coelis la ringiovanita Madre
divina; e parve loro di penetrare un lembo del mistero della santissima
Trinità.
Liberi i tre ascesi
poterono da quella elevatezza meteorica studiare il panorama dell'Europa da
percorrere.
I due sposi
disegnarono di risalire nella polita frigida Germania per ismorbarsi di quel
grassume e tepore d'Oriente. Però la signora Nerina prima di scendere volle
ancora confessarsi dal più gagliardo di quei monaci, e dopo la confessione
riconciliarsi alle ginocchia del più estatico ed idealizzato novizio.
Lasciato Marco
Antonio Canini diretto a Costantinopoli con i suoi sogni garibaldini di impero
orientale, i neoconiugi Meraldi si diressero a Vienna, dove sotto gli auspicii
della poesia metastasiana e all'eco lontana della musica di Cimarosa e
Paisiello, la signora Nerina volle ricominciare la sua grande opera dello
Studio comparativo di baci nelle Società indo- europee.
Per descrivere
quest'opera occorrerebbero le Memorie di una nuova signora Casanova di Seingalt.
Imperocché Nerina era alla più alta potenza di avventuriera erotica un redivivo
Giacomo Casanova di Seingalt. Ma all'inesauribile successo dello spirito
avventuriero erotico, e dell'intrigo diplomatico e scientifico, onde riescono
pornografiche e mirabolanti le memorie del Casanova, essa univa un predominio
assoluto.
Sempre più avvalorata
di una sensualità combustibile e comburente sopravanzava l'imperatrice Caterina
di Russia nello scegliere, comandare e licenziare i suoi amanti. Meritava di
pigliare il titolo di Terribile, come la fregata più costosamente
agguerrita.
Riusciva pallido il
paragone classico, che il professore Spirito Losati faceva di lei con l'Ecatomfila
di Leon Battista Alberti.
Essa era la
superdonna per un nuovo Nietzsche; era la Sultana che si riservava un variante
harem maschile.
Altro che metamorfosi
metastasiana!
Da Vienna sirena di
cabalette e madrigali per improsciuttire quegli arciduchi in tunica bianca,
essa passò a Berlino con l'elmo di Minerva armata di tutta la sapienza d'amore:
e alla sapienza d'amore univa il brivido fantastico della Dama Bianca. Dal
brivido fantastico di fatale spettro notturno essa usciva come una fanciulla
vestita da fiore, una fanciulla floreale, che tosto appassisce, se non è amata.
Pretendeva sempre
essere un fiore incarnato con i suoi amori prepotenti nella più grande varietà.
La ricchezza
borsuale, di cui non si era mai scordata nelle follie erotiche (anche da
fanciulla sotto la rilassatezza del regime paterno si era fatto un ben pinzo borsot),
le permetteva lo sfogo economico dei suoi capricci, che oramai erano più
che per pianoforte, erano da organo mastodontico. Ed Adriano Meraldi, il
novello sposo, ben poteva tenerle bordone, poiché corrispondente ricercato dai
più lucrosi giornali francesi ed inglesi non solo empiva l'Europa delle sue
brillanti lettere europee ma gonfiava il suo portafoglio delle più
rilevanti ed accreditate banconote.
Così la signora
Nerina Meraldi, ex contessa De Ritz poté figurare in Russia, come una vergine
Nichilina ammirata dai più intellettuali nichilisti non che dai più
alcoolizzati arciduchi rispondenti ai nomi di Nicola, Alessio e Sergio. In
Danimarca appariva una pazzerella fluida Ofelia, che univa al bruciore delle
ghirlande di ortiche il profumo balsamico dei gelsomini lattemiele dei fossi.
In Ispagna passava dal tamburello della gitana al crocifisso di Santa Teresa
d'Avila modellata nelle più procaci curve dalla bianca lana. In Inghilterra era
una perfetta lady, con una gorgiera da Maria Stuarda, a Parigi rappresentava la
Dea Ragione per i pronipoti di Robespierre, e una floreale regina Ortensia per
la Corte decadente del piccolo Napoleone.
Vittor Hugo le
dirigeva dallo scoglio di Guernesey un'epistola in versi con un clangore di
epopea dei secoli, i cui distici alessandrini coglievano al volo concetti,
sentimenti ed antitesi rimando baleni sopra una lavagna azzurra di cielo.
Ma quell'epoca
erotica spaziante per tutta l'Europa non la appaga ancora. Essa sente
reincarnata in sé Ur- Teufelin la più antica diavolessa, la
Hölle Rose, la Rosa dell'Inferno, la bandiera dell'eterno diabolico
femminile, quella che fu già Erodiade e Kundry, Kundry, che vide il Redentore
in croce e ne rise, e ne porta con sé lo sguardo di rimprovero omnipresente.
Onde il bisogno di una lavanda spirituale nel Giordano.
Lesto lesto essa
propone un viaggio in Terra Santa.
***
Lo stesso Meraldi
rotto a tutte le avventure del romanzo e della vita non può nascondere una
ripugnanza di profanazione.
Ma Nerina dopo tante
avventure profane vuole assaporare l'avventura sacra. Come i raggi diffusi
dalla Croce avevano redento il genere umano, essa vuole ricondurre alla
originale sorgente benefica del Calvario non solo Erodiade, che pretese la
testa di S. Giovanni Battista, non solo Kundry condannata pel sogghigno al
patimento del Redentore, non solo Aasvero condannato per la crudeltà di
negargli un attimo di sollievo dalla Croce ma altresì Medea furiosa, Fedra
tiranna tragica, Giocasta incestuosa col figlio, Mirra incestuosa col padre e
tramutata in vacca, tutte le bellezze insidiose insidiate, superbe, abbiette,
crudeli, tutte le nequitose o brutali bellezze del mondo classico profano in
lei impersonate; e con un supremo compenso spirituale di dedizione e devozione
intensificata ottenere l'assoluzione di tutti i vizii, che abbiano sollazzato
protervamente od inaridito teneramente il genere umano.
Essa comprese in una
ascensione areostatica dalla brutalità, che troppo volgare è la filosofia del
piacere umano, ristretto alla formola di empir la pelle, vuotar la pelle e
fregare la pelle. Tale filosofia è significata eziandio dall'asino in
panciolle, che si culla, sgambetta e raglia trionfalmente sfregacciando il
dorso sull'erba rasa. Invece alla Terra Santa si va umanamente divinizzandosi
anche la bestia più zoliana.
Con la sua potenza
miracolosa di trasformismo psicologico essa si santificò immediatamente di
volontà tanto intensa, che non solo si dichiarava, ma si sentiva offesa allo
spettacolo dell'imbottatura, che un Trust turco- nord-
americano faceva eseguire dell'acqua del Giordano per distribuirla
con un'etichetta commerciale alle varie parti del mondo.
Così anche i figli
dei Nababbi della City a Londra e di Wall Streett (Via dei Milioni) a Nuova
York potevano battezzarsi nelle acque del fiume, dove dal Precursore San
Giovanni Battista venne originalmente battezzato oriundo del presepe il divino
redentore del mondo... Profanazione, abbominio per la santità improvvisata
della pellegrina signora Meraldi già Contessa Vispi De Ritz!
Essa sospirava
evocando un bel principe giudio cristianizzato, il Ben Hur del colonnello
diplomatico americano Lewis Wallace, che con una spada di Arcangelo sfondasse
quelle botti.
Essa si era
costituita nelle condizioni psicologiche più opportune per entrare nella ragna
tesale fino colà da Suora Crocifissa.
Mentre il Gesuitismo
rappresentato da una rappresentante di Suor Crocifissa aiutava la conversione
della signora Nerina al Santo Sepolcro, la Massoneria rappresentata da un
Console, agente della compagnia di Esploatazione delle acque del
Giordano lavorava per il distacco di Adriano Meraldi da lei.
Ambedue le
rappresentanze delle suddette forze, che si dividono l'impero sociale del mondo
civile ed incivile, riuscirono nel comune intento.
Suora Ermellina
Diotamo, l'ambasciatrice di Suor Crocifissa, avvolse nell'estasi più vellutata
quella grande, splendida convertita, che voleva applicare a se stessa i versi
manzoniani: maggiore altezza SYMBOL
190 \f "Symbol" \s 12¾ al disonor del Golgota SYMBOL
190 \f "Symbol" \s 12¾ giammai non si chinò.
Per compire il
miracolo, Suora Ermellina, che era una stupenda gerosolomitana scalza, assunse
una voce da arpa davidica:
¾ Senta,
signora! Vi è in Piemonte, nell'onda dolce del caldo Monferrato una valletta
fresca e romita, una Tempe arcadica, dove il bacio di Dio scende con
predilezione e ne sigilla con una delizia, che invano si cercherebbe altrove.
Che sono mai le battaglie, le vittorie, le ricchezze, le lautezze, le voluttà
di questo mondo, se non si riallacciano alla Misericordia Divina, ossia alla
Immensità dell'infinito nel tempo e nello spazio? Sono miserie di zanzare e di
mosconi, io sono figlia di un rajah indiano e di una principessa armena signora
di cento monasteri. Nacqui nell'immagine terrena della celeste Gerosolima,
avrei potuto lisciare la barba più azzurra al mitrato più fulgido di perle;
pulsare sul cuore del più glorioso guerriero. E volli consacrarmi a Dio, senza
offendere il mio volto con un ferro rovente come fece la martire giapponese per
rendersi accetta al cenobio e senza imbrattarmi di fetore, come fece il gesuita
per salvare la sua castità dalla moglie del Putifarre indiano. Che merito
consacrarsi a Dio, quando siamo repellenti presso l'umanità?
¾ Suora
Ermellina! Voi siete divinamente bella; ed io mi lascierò condurre da Voi al
Santo Oblio, che mi predicate. Ma io nacqui schiava e regina degli Dei
Capricci: tutti i pianoforti suonati a questo mondo, dopo la loro invenzione ad
oggi, sommati insieme non hanno ricevuto sulle loro tastiere la percussione di
tanti capricci musicali, quanti ne accolsi e vibrai io sola. E sono venuta qui
apposta per liberarmi da tale schiavitù e per rinunziare a tale signoria. Sono
venuta apposta su queste rive miracolosamente redentrici. Senza che mi sia
laureata dottoressa, io veggo il miracolo nella storia: che poveri ed umili
pescatori e battezzatori di queste acque, sotto l'influsso di un vero, ma
sconosciuto e crocifisso figlio di Dio, abbiano potuto cambiare faccia e
fondamento ad una progredita, elevata civiltà umana. Queste acque, che hanno
redento il mondo, potranno redimere anche me, ed affrancarmi dai miei capricci.
Ma, suora Ermellina, ancora di grazia, mi permetta lo sfogo di un capriccio, in
cui annegare tutti gli altri. Mi sia concesso detergermi in queste acque
originali del Giordano. E tu, suora Ermellina, siami gemella nel bagno sacro.
Suora Ermellina nella
lavanderia del Monastero gerosolimitano chiusa da grate verzicanti fece rizzare
due botti piene dell'acqua del Giordano destinata all'esportazione nel Canadà.
Scoperchiatine i
mezzuli superiori, la maestra e la catecumena entrarono nel rispettivo
cocchiume, come immersione di anime bianche.
A un tratto la
signora Nerina emerse, come gentile bàbau da una scatola a sorpresa, e gridò: ¾ Non
basta, non basta! Non basta ridursi a giocattoli di Norimberga per attuffare nell'oblio
la ricchissima collezionista di amanti e mariti, che sono stata io. Bisogna
rinnovare all'aperto il miracolo, che ha lavato e levato i peccati del mondo.
Voglio lavarmi con te nel fiume sacro, libera, libera come la Natura e
l'Immaginazione. Sai nuotare?
¾ Sì!
¾
Nuoteremo insieme.
Si radunò un concilio
di badesse e patrassi per consultare, se si poteva concedere quell'ultimo
capriccio idraulico.
La bocca fiorita di
un colto, giocondo e santo francescano, padre Alessandro Bassi, rivendicatore
di Emaus, perorò favorevolmente, citando l'esempio del Poeta Divino, che sulla
sommità del Purgatorio si era autorizzato un bagno nei fiumi Lete ed Eunoe con promiscuità
di sessi (Matelda, Dante e Stazio) davanti le virtù Cardinali e teologali,
davanti la stessa Teologia Beatrice e davanti una interminabile processione di
luminari della Santa Fede.
Fu arriso un consenso
a quel Capriccio della signora Nerina, tanto era l'interesse spiegato dal
gesuitismo per attrarla al Santo Oblio.
Furono prese le
disposizioni dal governo Turco con i consoli cristiani e venne scaglionato alla
debita distanza un servizio di giannizzeri, perché nessun occhio profano
potesse intorbidare il lavacro di quelle bellezze sante o destinate a
santificarsi, come nella leggenda di Santa Godiva si chiusero ermeticamente
tutti gli usci, le finestre e gli abbaini per la nuda cavalcata della pietosa,
che a tale prezzo affrancava la terra dalla esosa imposta.
Dove l'onda del
Giordano è più tiepida e romita sotto l'ombra verdeazzurrata degli alti palmizi
e dei cedri, la signora Nerina, che aveva preteso la scioltezza delle chiome ad
entrambe, volle la mano di Suor Ermellina. Plasmate da un velo bianco di
vergini martiri cristiane entrarono nel primo solco delle acque; e si diffusero
nel gorgo, come se menassero un ballo in tondo acquatico. La signora Nerina
guidava la danza subacquea; Suora Ermellina si piegava al capriccio. Le chiome
diffuse, parevano alghe natanti, seguaci cappelliere alle rose divine dei volti
di ninfe.
La signora Nerina
provava una letizia sovrumana nel rompere coi seni floreali quelle onde somme
nella storia religiosa della umanità. Essa aveva provato con un principe romano
il pizzicore salubre mordente delle acque albule nell'originale laghetto
d'Averno; essa aveva provato con un arciduca russo l'ebrietà esilarante di un
bagno in una vasca ripiena di vino spumeggiante ed aromatico di Sciampagna.
Ma tali sensazioni
erano state un nulla di fronte all'estasi divina procuratale dal bagno nel
Giordano. Le pareva da una valle di baci divini vogare a un oceano di baci
divini.
Là dentro sentiva
annegarsi definitivamente la sua numerosa collezione di mariti ed amanti umani,
là dentro affogarsi per sempre i suoi capricci per pianoforte. Essa diveniva
cosa di Dio, persona di Dio, spirito di Dio. Neppure la satiriasi cattolica di
Barbey d'Aurevilly sarebbe capace di abbarbicarla. Essa scomunicava le immagini
degli eresiarchi, che la fantasia le portava sulle rive del Giordano per
accivettarla ancora. Via Eutichio antecessore di Strauss e di Renan nello
spacciare che in Cristo sia soltanto la natura umana! Via Eutichio della
castagna! Ad Ario altr'aria! Via straccio di Strauss! Via, rinnegato di Renan!
Via Stefanoni! Via asino, asinone di Podrecca!
Indarno le balenavano
ancora diaboliche tentazioni di inciprignire le gelosie tra le potenze
protettrici del Santo Sepolcro; scagliare nuovamente la Germania contro la
Francia, escludere maggiormente la già sempre esclusa Italia... aggrovigliare
le unghie dei carmelitani nelle barbe dei cappuccini...
La signora Nerina
emerse dalla santissima onda, in cui era trascorsa allargatasi beatamente lieve
come spola, emerse con la chioma stillante come se avesse espuntato dalla
superficie dell'acqua un fascio di raggi solari, emerse sentendosi capace di
vincere in armi, lettere e scienze l'imperatore Giuliano l'apostata.
Con tale sentimento
di capacità essa si consegnò spirito e corpo a Suor Ermellina, perché la
traducesse al Santo Oblio.
Il distacco dal
novello marito, che pareva crisi di gran momento, invece fu cosa agevolmente
naturale, come lo spicchio di due castagne da un riccio maturo calpesto da un
bove.
Adriano Meraldi,
sebbene serbasse una perennità copiosa di orgasmo, lutulenza e flatulenza nella
attività letteraria, era un cervelletto rammollito, un cuoricino rammollito.
Aveva adottata la filosofia dell'intrepido maresciallo di Francia
settecentista, che avendo colta la moglie nel boudoir tra le braccia del
cavaliere servente, chiese scusa di non aver bussato alla porta prima di
entrare e levò l'incommodo. Così, se egli avesse sorpreso la moglie carolare
nel Giordano non con la candida suora Ermellina, ma con un bronzeo e barbuto
monaco armeno, avrebbe reso il saluto militare e se ne sarebbe andato in altra
parte.
La Massoneria
mercantile gli diede occasione di allontanarsi. Speculando sulla sua prodigiosa
forza di reclame, lo associarono al Trust per l'esportazione
dell'acqua del Giordano, e lo incaricarono di una perlustrazione boschiva in
Anatolia e poi in Persia a fine di realizzare una vistosa economia nella
confezione delle botti.
* * *
Ritornando in
Occidente sulla fregata o meglio vaporiera mercantile Stella d'Oriente con
la dolce e serafica guida di Suora Ermellina, la signora Nerina si paragona
trionfalmente a quella principessa del Boccaccio, che navigando sposa venne
rapita dai corsari, e dopo averne fatte più che Carlo in Francia e subite più
che Taide nella Suburra reddì a casa per vergine.
Come di primavera i
poggi brulli e secchi dall'inverno trasudano, esprimono una nuova lanuggine di
verde verginale, così essa sentiva rinverdire, ringemmare, rifiorire l'anima
sua di una virginità rifatta. L'ago dell'anima sua segnava definitivamente una declinazione
magnetica verso il Santo Oblio, mentre il Suo ultimo marito ed amante Adriano
Meraldi zoppicava arditamente verso le agognate foreste vergini dell'Anatolia,
della Persia e forsanche dell'Indostan.
Per tal modo allo
spirito della signora Nerina si presentava in ombra una commedia o tragedia
spirituale intitolata I due zoppi, degna di essere scritta da Spirito
Losati: due zoppi calanti per diverse bande dal sommo dantesco emisfero di
Gerusalemme.
A Genova la Signora
Nerina venne ricevuta in un abbraccio da Suora Crocifissa. Alla peccatrice
pentita e redenta sembrò di sentire in quell'abbraccio la gloria della Santa
Croce Cristiana.
Condotta nel
Monastero della Visitazione, vide aspettarla in un angolo della foresteria la
figura ingrandita di suo padre, che aveva messo pancia.
Il Comm. Atanasio
Vispi, che aveva risoluto di scontare nell'ultima parte della sua vita i
soverchi capricci concessi nella prima parte alla figlia, per riuscire nel
magnanimo intento aveva assimilato l'energia democratica del macellaio Baciccia
Calzaretta, la cavalleria romantica e l'inflessibilità puritana del suo genero
Federico De Ritz, ed egli droghiere emerito di Augusta Taurinorum (direbbe
l'abate prof. Vigo Razzoni) si sentiva investito della patria potestà come un
antico cittadino romano.
Invano Nerina si
prosternò davanti quella arcigna figura. Egli non si curvò a sollevarla. Solo
la ammonì: ¾ Sii
costante a purgare nella penitenza e nella santità il tuo, il nostro disonore.
E scenderà ancora sulla tua fronte il bacio di tuo padre con il perdono celeste
di tua madre. E forse, forse...
Così dicendo, egli
guardava dall'alta finestra nel basso della via, dove pareva sostasse in attesa
il fantasma di un cavaliere mortalmente offeso e tradito. Quel fantasma si
sollevava, come in una nube ossianesca; era il conte Federico De Ritz
proclamato deputato al Parlamento dal suo cappellano maggiore professore Vigo
Razzoni; era una camicia rossa di Garibaldino; sotto l'ascella sinistra la
gruccia di Mentana; nella mano destra la spada per colpire la moglie infedele,
e liberare Roma serva del maggior prete, che deve tornare alla rete. Papà Vispi
fece comprendere poco opportunamente all'anima spontaneamente avvinta della
figlia, che, se essa fallisse al ritiro del Santo Oblio, c'erano le succursali
regie Carceri per una rea di adulterio e bigamia, malgrado l'oscillante
giurisprudenza del caso.
Accompagnata da Suor
Crocifissa e da Suora Ermellina la signora Contessa Nerina fece il suo
auspicato ingresso nell'Ospizio del Santo Oblio. Era stata lungamente
annunziata a quel popolo preceduto di spirituali recluse. La più sardonica di
esse, una sbiobba, quasi per vendicarsi d'essere stata soprannominata dessa supa
mitonà, l'aveva preconizzata come una contessa d'coule ch'ai na sta sent
su na rama. E contessa cento su na rama fu il nomignolo preparato al
Sant'Oblio per la Contessa De Ritz.
La capricciosa
avventuriera, che aveva fatta una indigestione di amori mondani, ora provò
l'estasi del digiuno carnale.
In quell'estasi come
le parvero abbietti i romanzi sensuali scritti e perpetrati nella bassa vita!
cronache, lenocinio di concubiti! Ma come mantenersi alta nell'estasi?
Fanciulla inginocchiata davanti al padre e davanti al busto di gesso della
mamma non aveva giurato di divenire una moglie onesta? E come aveva mantenuto
il giuramento?
Opportunamente al
Santo Oblio avevano introdotto l'adorazione perpetua del Santissimo Sacramento.
Non mai dovevano
mancare due adoratrici genuflesse davanti all'altare di Gesù Sacramentato,
sotto il lumicino della lampada mantenuto perpetuo come il fuoco delle Vestali.
Si era assegnato il turno alle ricoverate; e la signora Nerina, oltre il
proprio turno, richiedeva e volontieri soddisfaceva il turno delle compagne
indisposte.
Quell'abbandono
prosternato ad un punto altissimo, immenso, infinito le riempiva l'anima.
Un'altra
soddisfazione liberatrice le era dato dal godimento del paesaggio. Quella vita
verginale le aveva acuito, raffinato il senso delle bellezze naturali, come se
la signora Nerina in quel ritiro avesse acquistato la squisitezza artistica dei
paesisti Corot e Fontanesi.
Essa sentiva, gioiva
estremamente la bellezza della primavera nelle delicatezze ceramiche e
profumate, con cui fiorivano il biancospino, il pesco, e il ciliegio; godeva e
sentiva estremamente il mantello lionato delle messi estive; godeva e sentiva
estremamente di primo autunno l'azzurreggiare, il rosseggiare o l'ambrare dei
grappoli di uva, zinne vegetali per l'ilarità umana; e nell'ultimo autunno,
quando le brine tessevano filigrane danzanti sulle ragnatele delle siepi, e il
sole mattinale le risvegliava in brilli di diamante, essa inneggiava a Dio
artista.
D'inverno la neve le
dà il riposo del candore, che confonde ogni cosa nella purezza abbacinante, il
riposo del candore, quanto diverso dal riposo, che dà il verde, in cui pullula
l'annunzio di nuova vita!
Quando la serenità
invernale consentiva agli occhi suoi il nitido panorama, essa indugiavasi a
godere il diadema delle Alpi, marosi arrestati dal Dito di Dio: sulla pianura
del Po e dei confluenti suoi, dai piedi delle Alpi ai candidi poggi monferrini,
spaziava, dilagava la nebbia. Allora alla romita contemplatrice pareva di
contemplare lo spettacolo da una specola sopra le nubi, da un altro pianeta,
dal Paradiso.
Il sole saettava la
nebbia padana, la illustrava e diradava a fiocchi di bambagia, che principiava
a lasciarsi traforare dai campanili; poi negli screpoli, nelle radure
comparirono chiese, interi villaggi, isole; poi tutta la pianura del Po
scintillante nei solchi e nelle punte, come un'argenteria libera
dall'imballaggio. E la Contessa, resasi suora del Santo Oblio, batteva le mani
e benediceva all'omnipotenza del Creatore.
Prosa non
ispregievole dopo tanta poesia. A compire la felicità della reclusa, essa
accorgevasi, che la rinunzia al lusso e alla lussuria le aveva anche
impreziosito il gusto dei cibi semplici e delle bevande schiette.
Ma non ancora è
spenta la razza dei diavoli di Dante e della Basvilliana, che si contendono le
anime.
I diavoli di Nerina
sono i capricci. Soddisfattone uno, spregiarlo, e intraprendere la serie degli
altri. Che fate, angeli tutelari di Nerina? Dormite?
Dormi, anima della
madre sua? Dormi un sonno marmoreo, come nel busto del Cimitero di Torino, o
sei ingessata, come il modello nel salone di San Gerolamo?
Svegliatevi!
Provvedete! Non mirate voi, quale sconvolgimento si prepara, quale
pervertimento si opera nella psiche complessa, multipla di Nerina?
Essa era ormai stanca
di regnare su quel piccolo mondo di segregate.
Supa mitonà, Bimblana, Gibigianna, Gilda
ecc., le preparate a schernirla come Contessa Cento su 'na rama, erano
state facilmente avvinte al carro della sua solitudine religiosa, e la
riconoscevono regina di rarissime virtù. Ma che diventa mai la solitudine, se
l'anima interiore non è riempita dalla grazia di Dio?
Dopo una piova
primaverile, Nerina contempla sitibonda la pianura del Po, che si rimbarba di
verde. E sente poco per volta vuotarsi l'interno dell'anima sua, e incrostarsi
la superficie di nuovi desiderii e prudori voluttuosi.
Che è mai un eremo
alla sua nuova vista? È un buco, un vuoto schiacciato, seppellito, dimenticato
dalla Natura, maledetto, escluso dalla Vita; si chiami il convento delle
Meteore o l'Ospizio del Santo Oblio. Peggio le pare un'ingiuria, una ritorsione
della Natura, che nessuna forca può espellere.
La reclusa del Santo
Oblio sente il bisogno irrefrenabile di riallacciarsi alla vita mondana.
E rapidamente
accumula in sé tanta energia di elettricità psicologica, da superare l'orrenda
riverenza delle pitonesse nella mitologia antica, o la forza medianica sorgente
in Eusapia Paladino. È la precorritrice di una stazione radiografica
ultrapotente per una telegrafia senza fili, per una trasmissione telodinamica
del pensiero e della volontà femminile.
La sua possa di
magnetismo animale, per le correnti maravigliose, che la scienza ha già
lealmente riconosciuto, sebbene non sia ancora riuscita a spiegarle, arrivava,
toccava persino il suo secondo marito nel penultimo Oriente.
Adriano Meraldi,
lasciando ai colleghi affaristi del Trust per l'esportazione delle acque del
Giordano la ricerca del legname più resistente e più economico per le botti, si
era dato alla caccia della pantera e della iena con una passione scientifica da
imitare il naturalista Michele Lessona, e con una felicità artistica da
aspirare a Nembrodt del fucile e della penna.
Dalla Persia era
calato nell'India sacra, dove aveva incontrato la truppa signorile dei battifolli
torinesi in cui era incorporato il baroncino Svembaldo Svolazzini, angelico
rampollo del fiero neofeudatario di S. Gerolamo.
Le accoglienze oneste
e liete, che si fecero il letterato e il baroncino dello stesso paese
d'origine, ricordano quelle di Virgilio e Sordello nel purgatorio di Dante. A
tanta distanza da S. Gerolamo sparvero le differenze sociali tra il figlio
dell'economo cadastraro e il figlio del nobile Mecenate. Che importa, se il
professorino aveva nelle ripetizioni delle vacanze annoiato con i latinetti il
baroncino? La carità del natio loco, il dolce suon della comune terra livellava
in quella lontananza plebeo e patrizio, Chirone ed Achille, lasciando soltanto
emergere i vincoli dei soavi ricordi ed affetti.
¾ Illustre
professore! ¾ disse il
baronetto saltando al collo di Adriano Meraldi. ¾ Dolce tirone! ¾ gli
rispose Meraldi, stringendoselo al petto.
Il professorino
Meraldi a S. Gerolamo aveva trascurata la popolana Gilda per correre dietro
alla capricciosa tota Nerina. Ed il baroncino Svembaldo aveva raccolta
per sé la purissima popolana; e come un giovane Dio se ne era fatto l'altare
della sua religione. I ricci, gli occhi, la luce della fronte e dell'anima di
Gilda erano per lo Svembaldo tesori impagabili, non surrogabili.
¾ Umanità!
¾ egli
esclamava a se stesso: ¾ Rispetta
le pure simpatie dell'amore, che sono tramiti divini.
Egli si era afforzata
la sua fede amorosa nelle fatiche del viaggio e della caccia alle Indie.
L'incontro e la presenza di Adriano Meraldi gli rinfocolò nel cuore un braciere
non mai spento.
In quella vegetazione
feconda di tutto l'amplesso dell'acqua e del sole, egli, come se possedesse il
pennello e la poesia di Tullo Massarani, divinizzò l'immagine di Gilda a nuova
Sacuntala.
Clemente Corte,
artiglieria piemontese fusa nel coraggio e nel genio garibaldino, studiava le
conquiste inglesi nelle Indie ad ammonimento e correzione delle velleità
coloniali d'Italia. Svembaldo Svolazzini anelava ritornare in Italia per la
piena, santa, perenne conquista della sua Gilda.
Meraldi e il
baroncino, sulle rive del sacro Gange, come per un contagio spirituale,
risentono insieme gli stimoli dei primi amori di S. Gerolamo; e tali stimoli
vengono maggiormente acuiti da una inopinata comparsa.
Sbarcava, col suo
manto di madonna gerosolomitana, con il collo lungo, che pareva tornito da
Fidia, e con il profilo greco non scismatico, Suora Ermellina Diotamo, che dal
Santo Oblio veniva a dirigere un Collegio di Dame inglesi a Calcutta.
Quando essa si era
accomiatata dalla Contessa Nerina, questa con una prosternazione, che
mascherava la lampeggiante voglia di un tradimento, la aveva pregata: ¾ Madre
santa, se Ella vede quel... signore, gli dica, gli dica... ¾ E di più
non aveva detto.
Suora Ermellina
riportò ad Adriano Meraldi il profumo tentatore della diavolessa lontana, i cui
tentacoli per vie incognite ritornavano direttamente imperiosi a lui. Provò a
disperdere quel profumo nella danza serpentina di una bajadera. Inutilmente
desiderò l'incolumità di un fachiro. Egli soggiacque alla terribile ripresa di
malore ignobile; per cui si rinnovò la minaccia dell'amputazione chirurgica
della gamba sinistra. Ed egli pure dovette adottare l'uso d'una stampella.
Invece quale balzo di
elasticità angelica darà l'orgasmo di Svembaldo Svolazzini, allorché apprenderà
da Suora Ermellina, che anche Gilda è assicurata al Santo Oblio?
Appena potranno,
Svembaldi e Svolazzini partiranno in guerra contro il Santo Oblio.
Ma d'altra parte, che
dovrebbe importare irosamente del Santo Oblio a Federico De Ritz? Perché se ne
cruccia e se ne tormenta?
Che desidera di più?
Egli con una votazione magnifica, quasi plebiscitaria, è stato eletto deputato
al parlamento Nazionale dal suo ligio feudale collegio di Ripafratta.
Si sarebbe detto un
compenso popolare alla sua sventura matrimoniale, solatium uxorium,
friggeva a se stesso, per paura che l'aria lo sentisse, l'abate prof. Eleuterio
Vigo Razzoni, primo cappellano della sua corte, e suo grande, eminentissimo
elettore.
L'on. Conte nel
palazzo dei Cinquecento a Firenze, per votare sì, alzava la gloriosa stampella,
come faceva l'eroico Benedetto Cairoli. E l'alzata era più animosa, quando si
trattava di sollecitare la liberazione della madre Roma; ciò che induceva a
bisbigliare qualche gufo clericaleggiante: ¾ Veh!
l'idea nazionale di Roma o Morte si regge sulle grucce. I buzzurri
andranno a Roma di gamba zoppa in die judicii.
Crepi l'astrologo
clericaleggiante! rispose la Fortuna d'Italia; e l'Italia al 20 Settembre del
1870 compiva il suo fatale ingresso a Roma per la breccia di Porta Pia.
Federico De Ritz non
imitò Enotrio Romano che fece squacquerare le oche del Campidoglio contra
l'Italia, come se questa vi salisse a scappellotti e calci. Non mostrò il
contorcimento di budella mostrato da Giuseppe Mazzini, per la nobile invidia,
di non averla condotta lui l'Italia a Roma. Federico De Ritz con il suo buon
senso e con il suo buon cuore sentì che l'Italia compiva a Roma il miglior
ingresso patriottico e cristiano con la maschera guerriera e gianduiesca di re
Vittorio, con la probità catoniana del flebotomo Giovanni Lanza e con la
scienza moderna di Quintino Sella, anzi che con i sonagli della vieta retorica
e con i barili di fiele dei profeti in malora.
Federico De Ritz ne
provò una così sana ed alta soddisfazione, da poter rinunziare alla stampella
destra, surrogandovi un bastoncino.
Ma come la
liberazione di Roma aveva tolto al partito avanzato italiano il programma, per
cui combatteva, e inflittagli la necessità di cercare un altro programma di
riforme progressive, così a Federico De Ritz quell'estrema soddisfazione
patriottica e politica riapriva l'animo ad altre cure personali.
Le corna rodono! ¾ Rodono
le corna! lo avvertiva un proverbio romanesco sonettato dal Belli. E gli
rivogava in seno tutta la complessa filosofia delle corna. Non si addiceva a
lui la filosofia allegra, con cui Massimo D'Azeglio terrificava il nipote
prossimo ad ammogliarsi: le corna sono la pace di casa, perché la moglie fedele
fa scontare la sua fedeltà con le bizze domestiche, mentre la moglie infedele
copre la sua infedeltà con le moine al marito. Né meno gli entrava l'erudizione
latina, che avrebbe potuto confermargli l'abate Vigo Razzoni: significare le
corna presso gli antichi romani forza, potenza. Onde la laude oraziana del vino
«addis cornua pauperi», aggiungi corna, cioè forza al povero che
in grazia sua più non trema davanti le Altezze reali e le baionette del Regio
Esercito, è una laude, che più delle preghiere cristiane può far parte del
programma minimo dei socialisti. Se non che quell'eterno buffo dell'avvocato
Ilarione Gioiazza applicava il precetto oraziano «adde cornua pauperi» al
ricco padrone di casa, che si godeva la bella mogliera del povero portinaio.
Appunto per ricreare,
rifiorire l'anima, Federico De Ritz si rivolse all'amico avvocato Ilarione
Gioiazza, domandandogli: ¾ Ed ora,
che dobbiamo fare, dopo la presa di Roma?
¾ Per me, ¾ gli
rispose Gioiazza, a cui le maggiori batoste maritali dell'amico De Ritz non
avevano tolto del tutto il rimorso pella supposta primizia peccaminosa di
Capri, ¾ per me
lasciami fare l'avvocato. Commetti pure un delitto o un crimine. Ed io ti
difenderò volontieri davanti al Tribunale Correzionale o la Corte d'Assisie.
Commetta un delitto il papa, ne commetta il Re fuori della costituzione; ed io
li difenderò volontieri davanti il Senato costituito in alta corte di
Giustizia; ma lasciatemi fare l'avvocato.
Una simile domanda
Federico De Ritz rivolse al prof. Spirito Losati; e ne ottenne questa risposta:
¾ Tolto il
potere temporale al Papa bisogna studiare, se occorra togliergli il potere
spirituale, o piuttosto spiritualizzare il Papa stesso. Finora non ho risolto a
quale appigliarmi delle due corna del dilemma.
Federico De Ritz
ragionava non potersi dire di lui, che portasse magnificamente le corna, poiché
era riuscito ad internare la moglie in un luogo di santità immune.
Anzi quasi quasi
vantava la gloriola vendicativa, crudele del secondo marito della Pia dei
Tolomei. Ma ad ogni modo della sua già empia, ed ora Pia, gli ritornava
l'ossessione.
Desiderava
mortificarla con amplessi tirannici carcerarii, ripugnando al suo carattere
nobile il sistema del terribile Orsenigo (novellato da Vittorio Imbriani), il
quale Orsenigo uccise di lenta vergogna la moglie con amplessi retribuiti a
similitudine meretricia.
Il Conte Federico
domanda al suocero papà Vispi il consiglio, se visitare Nerina; e papà Vispi
gli risponde romanamente: no! ¾ Nerina
isolata nel ritiro può divenire una santocchia per un'altra vita. Ad ogni
contatto di questa vita si disfarà, come la materia, che resiste sotto la
campana pneumatica, e si scioglie al minimo soffio d'aria.
Federico De Ritz
domandò il permesso di visitare Nerina al Canonico Puerperio, cioè Giunipero.
Questi, che aveva già dovuto soffiare: «la Contessa è un diavolo, anzi una
donna da perderci l'anima», gli rispose amabilmente, dimostrativamente di no: ¾ Senta,
veda... ciò che è capitato a un mio collega direttore spirituale ed amministrativo
di un manicomio, ossia casa di Salute. Vi era stato ritirato per necessità di
decenza un giovine signore, già valoroso ufficiale di artiglieria. La giovine
signora volle pietosamente visitarlo. Il marito violò la moglie. Che ne
nascerà? Non vorrei accadesse il rovescio a Lei, perché la sua signora contessa
è stata certamente una pazza morale o meglio imm... Lasciamola alla guardia di
Dio e della Madonna Salvatrice!
Tutte queste ripulse
non domarono le voglie di Federico De Ritz verso Nerina.
Forse le basse voglie
gli sarebbero state vinte da una ripetuta, quasi violenta chiamata telegrafica,
che il partito gli fece al Parlamento. Se non che dal Parlamento, dalla smunta
politica italiana lo distorse la notizia pubblicata dai giornali di Torino: che
vi era giunto l'egregio scrittore piemontese Adriano Meraldi divenuto celebrità
europea.
La notizia perveniva
pure al Sant'Oblio, dove la contessa Nerina, acquistando sul personale
un ascendente, da disgradarne quello della superiora suor Crocifissa, aveva
organizzato un perfetto servizio postale clandestino a suo comodo, e mediante
la speciale abilità di un affascinato curatino si procurava il frutto proibito
di giornali freschi, sotto la specie di nocciolo di gomitoli o modelli di
vestiario. A quella notizia la Contessa Nerina si sentì secretamente invasata,
trionfata dal suo antico carattere meccanico divenuto simbolico: il carattere
capriccioso deleterio della signora di Challant, macina di maschi, secondo il
novelliere vescovo Bandello, e secondo il poeta drammaturgo Giacosa, Venere
sanguinaria, che prometteva e dava mille deliziose agonie, e spingeva l'un
contra l'altro armati gli amanti, e baciandole, fatava le spade, che
vicendevolmente li trafiggessero.
¾ Ah!
Meraldi a Torino! Come lo cercheranno, lo ustoleranno, se lo disputeranno, se
lo divoreranno quelle smorfie di signore torinesi, cagne, gatte, carogne!
Essa spedì
immediatamente due biglietti.
L'uno: All'eg.o
scrittore Sig.re Adriano Meraldy celebrità europea SYMBOL
190 \f "Symbol" \s 12¾ Torino «Sempre tua Nerina sposa
amante.»
L'altro: ¾ All'on.
sig.re Conte avv. Federico De Ritz SYMBOL
190 \f "Symbol" \s 12¾ Torino «Tua pentita, penitente Nerina,
ma sempre tua, tua per sempre.»
* * *
Adriano Meraldi aveva
divisato di partire quella mattina per isciogliere il più santo voto del suo
cuore, recandosi ad abbracciare i suoi vecchi genitori a san Gerolamo.
Invece il biglietto
di Nerina gli diede un altro dirizzone.
Il Conte Federico De
Ritz nell'accostarsi all'Ospizio del Sant'Oblio sopra una timonella del signor
Barolla di Passabiago noto concessionario di vetture pubbliche, si sentiva
scalpicciare di dietro un altro veicolo più veloce.
Discesero quasi
contemporaneamente Federico De Ritz ed Adriano Meraldi al cancello del Santo
Oblio; ed ambidue licenziarono le rispettive vetture.
Si posero di fronte,
ambidue appoggiata l'ascella sinistra sopra una gruccia; e si guardarono.
Balenò loro l'esempio di quei due eminenti letterati e patrioti subalpini,
rivali anche nella poesia e nella politica, i quali una sera si trovarono sullo
stesso pianerottolo, davanti lo stesso usciolino di una famosa e distratta
principessa cosmopolita, da cui avevano avuto un appuntamento alla stessa ora
precisa? Quei due cavalieri moderni, mostratisi i biglietti come uno scambio di
poteri, e filosoficamente persuasi, che niuna bellezza di questo mondo vale la
spesa di un rancore, tirarono a sorte chi dovesse entrare. Ma la farsa
filosofica qui non era possibile. Invece di una principessa cosmopolita, che
dispensava le sue grazie benefica a tutti, come il sole, si annidava al Santo
Oblio Nerina dotata dell'incantagione, per cui le serpi affascinano mortalmente
gli uccelli. Invece della farsa essa esige la tragedia.
Il Conte Federico De
Ritz, premendo sulla stampella, alza il bastoncino e grida fieramente ad
Adriano Meraldi: ¾
Difenditi! ¾ Ecco i
due zoppi di fronte ad avvelenarsi con gli occhi, prima di percuotersi coi
bastoni; i due zoppi: Federico azzoppato da Marte per l'amore della patria e
dell'umanità; Adriano azzoppato da Venere o più precisamente da lue venerea.
Era un vespro del
caduco autunno; e l'atmosfera pareva impregnata di vapori e versi ossianeschi
cesarottiani.
I belligeranti,
fiancheggiando la muraglia del Santo Oblio, combattevano sotto una pianta di
fischianti foglie. Il loro piede zoppo diveniva piè di vento per
scavalcarsi e saltalenare a mo' dei galletti.
Ma essi combattevano
come i primi uomini, che con la clava si contesero le prime donne (non di
teatro); combattevano come i primi uomini selvaggi. E si bastonavano, come
burattini al teatrino Gianduja.
Nerina accoccolata,
contorta, mentre si sbattocchia la battaglia tra Meraldi e De Ritz, grida a se
stessa: ¾ Che
colpa è la mia, se Dio mi ha creata serpe? ¾ Poi
geme: ¾
Sant'Oblio! Sant'Oblio! Soffro, perché sento qualche cosa spegnersi in me. Saranno
mortali le bastonature dei due zoppi?
Se non di bastone,
c'era da morirne di vergogna.
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