Sgomberato il terreno
dei due zoppi caduti, e trasportati con improvvisata ambulanza l'uno al Caffè
dell'Antica Industria e l'altro all'Albergo del Gran Mogol, profittando del
trambusto suscitato al Sant'Oblio, il baroncino Svembaldo Svolazzini passò come
una saetta liberatrice per il cancello dell'Ospizio.
A Gilda fu come l'apparizione
di un arcangelo salvatore.
Ma per tutte le
ricoverate fu la scossa, che una rivoluzione politica produce in un ergastolo
scatenando i galeotti a terrore più della pacifica borghesia, che dei pavidi
guardiani.
Invece la guardiana
del Sant'Oblio, la povera superiora Suor Crocifissa sentì essa il massimo
terrore, che le fallisse improvvisamente per un cataclisma tellurico l'impresa
assunta a benefizio dell'umanità in nome di Dio.
Essa, ergendosi
inflessibile come una statua, si era energicamente opposta, a che si
ricoverassero nel suo Ospizio i corpi contusi e sanguinosi dei due combattenti.
Aveva fatto
telegrafare d'urgenza dall'ufficio di Passabiago al canonico Giunipero; e il
suo telegramma privato ebbe l'assoluta precedenza sui telegrammi ufficiali
anche di Stato.
Quando per
l'invadenza irresistibile del giovane Svolazzini, a cui indarno avevano cercato
di opporre argine l'ortolano ed i mezzadri, fu nuovamente ed affannosamente,
acutamente chiamata, essa accorse con la fretta, che quasi le dismagava
l'onestà. Si ricompose dignitosamente davanti la statua della Madonna; e
invocatone con uno slancio di cuore il Divino aiuto, si contorse, si contrasse
indietrando, ed appoggiando solidamente le spalle al piedestallo della statua.
Il nimbo stellare di questa le pioveva la speranza di respingere
vittoriosamente qualunque fosse invasione profana.
Corrucciando la
fronte rigata come carta di musica, gli domandò fieramente: ¾ Chi è
Lei?
Sono il barone Svembaldo Svolazzini.
Questo nome spianò la
fronte della Superiora con il ricordo della insigne beneficenza del barone
padre verso il Santo Oblio
¾ E che è
venuto a far qui? A che debbo l'onore di una sua visita non annunziata in
quest'ora molto avanzata, e posso dire impropria?
¾ Sono
venuto a pigliare quella ragazza lì... ¾, ed
accennava Gilda nel gregge delle pie pecorelle un po' sbattuto dagli
straordinarii eventi di quel pomeriggio, che nel crescendo delle vociferazioni
si erano allargati a notizie di carneficine da battaglia campale. Il baroncino
diede la sua spiegazione con una mutria così comicamente ingenua da indurre
anche la superiora a un tono umoristico. Essa imperniò alla punta del naso il
pollice della mano destra, facendola girare come ventaglio aperto:
¾ Sa, che
Lei mi sembra tocco nel nomine patris? Con qual diritto vorrebbe
pigliarsi questa ragazza?
¾ Semplicemente,
tout- bonnement per il diritto dell'amore.
¾ Lei
chiama diritto dell'amore la voglia del peccato.
¾ No! peccato,
perché sposerò Gilda legalmente e con i sacramenti della Chiesa. È un
giuramento del cuore, Madre!
La superiora ebbe uno
sbalzo di incertezza e tenerezza materna.
¾ Ma ha
forse ottenuto il consenso dell'onorevole barone Rollone suo padre e della sua
veneranda genitrice?
¾ Sarà un
dovere del mio cuore il ridomandarlo; ma ho compito venticinque anni; e posso
farne senza, secondo il Codice Civile; e tanto più, secondo i canoni della
Chiesa.
La superiora prese a
braccetto, quasi amichevolmente, il baroncino.
¾ Andiamo,
andiamo a pregare in chiesa.
Fatto genuflettere
Svembaldo daccosto a lei, genuflessa profondamente davanti all'altare maggiore,
essa si sprofondò in un abisso di calcoli e preghiere per la Madre Regina dei
Cieli, e per il sacro cuore di Gesù sacramentato.
Le sorrideva di un
raggio celeste la possibilità di rendere umanamente e santamente felici due bei
giovani. La interroriva la certezza della guerra furibonda, che avrebbe mossa
al Santo Oblio il già benefattore barone padre, con quelle mandibole da pesce
cane, ora fatto ancora più potente dalla sua elevazione a senatore del Regno.
D'altra parte potrebbe accrescersi, o salvarsi la riputazione del Sant'Oblio
con la dimostrazione, che ci si purificano e si preservano fanciulle popolane
degne di salire a nozze baronali. Con un matrimonio di tale fama si smentirebbe
la diceria, che l'Istituto fosse un ergastolo spirituale, da non uscirne che in
ispirito... Questo matrimonio potrebbe essere una tavola di salvezza per
tutti...
Essa sente che il
Sant'Oblio è già profondamente scosso dall'evento finora principale della
giornata, dal terribile duello succeduto proprio davanti al suo Cancello tra
due personaggi di così larga e chiara riputazione, come il conte Federico De
Ritz e lo scrittore Adriano Meraldi. Sì! Il matrimonio del baroncino Svolazzini
e della povera Gilda potrebbe essere una riparazione per tutti.
In quell'istante,
apparve cauto ed allarmato in modo spaventevole, il vecchio capo massaro dei
Rotellana, una figura di rospo intabarrato. ¾ Presto!
presto! Superiora. Le suore vogliono fuggire tutte.
Suor Crocifissa
trasse per mano Svembaldo imprimendogli una preghiera, e una promessa nei
polsi.
¾ Mi
aiuti! Ed io aiuterò Lei per tutto quello che la Madre Divina vorrà...
¾ Madre!
Che spettacolo si
parò davanti a loro nell'uscire dalla Chiesa!
Al fondo del prato presso
il muro di cinta, la cui ombra le riparava dallo spionaggio dei raggi lunari,
un formicolio di convittrici, che tentavano la scalata.
Era stato esagerato
l'allarme del vecchio capo massaro, che volessero fuggire tutte. Anzi era
visibile ed udibile la opposizione di parecchie, a cui il pensiero di
interrompere per un briciolo la monotonia di quella vita claustrale compariva
orribile come un fracassarsi macchinale del loro spirito. Esse inginocchiate
sull'erba, comprimendo ermeticamente le mani giunte, con gli sguardi, che
parevano volessero staccare la Madonna dal Cielo, imploravano: ¾ Oh!
Tornate indietro, sorelle! Se fuggite, farete peccato mortale... Non date mente
ai lupacci delle tentazioni mondane.
Ma le loro preghiere
non erano esaudite dalle compagne assillate dall'estro demoniaco, che
l'inopinato duello virile al cancello dell'Ospizio aveva ad un tratto
invespito, quasi inferocito, dopo tanti mesi di congiura incubatrice.
Gibigianna sentiva potentemente la nostalgia del caffè concerto. A Bimblana era
quasi passato l'orrore delle avventure nei giardini pubblici. La Contessa Cento
su 'na rama era naturalmente alla testa dell'evasione insurrezionale.
L'ortolano, uno
sbiobbo, si era mostrato valoroso come uno di quei proverbiali soldati del
papa, dei quali ce ne vogliono cento ad ammazzare una rapa. E sentendosi
inabile a ritrarre colle buone quelle ossesse dalla fuga, aveva pensato di
scappare prima lui a chiamar i carabinieri, senza sapere che questi non erano
obbligati a prestare il loro braccio secolare e la loro mano militare a
servizio di un reclusorio religioso.
Il massaro iuniore si
era recato col carrettone alla stazione di Clavario a caricare alcuni sacchi di
riso provenienti da Vercelli ed alcuni sacchi di patate provenienti da Aosta.
La posizione non pareva più sostenibile per le conservatrici timorate del
Sant'Oblio. Avrebbe trionfato la prevaricazione.
L'ultima ospitata,
una bardassa di dodici anni, già garzona ladra di un burraio lattivendolo di
San Crescenzio, sopranominata Margarina Scrematrice per le parole che aveva
sempre in bocca, portò trionfalmente la scala del pollaio. Invano l'opposizione
conservatrice tentò di strappargliela. Invano il vecchio capo massaro dei
Rotellana a dimostrazione di un eccesso di zelo, tentò con la retroguardia del
vecchio Simone curvo come mezzaluna guidare un attacco delle opponenti alle
fuggiasche. Queste rispondevano protervamente offrendo, promettendo calci,
graffiature, denari o carezze, pur di essere lasciate andar via.
La Contessa Nerina,
appostata la scaletta, già era salita sul piovente del muricciuolo, e col gusto
di soddisfare il milionesimo, l'ennesimo dei tanti suoi inauditi capricci per
pianoforte, proclamò: Dirigo e proteggo io la fuga fino all'ultima delle mie compagne
di schiavitù.
Era curioso allo
splendore lunare scorgere la sua bella persona fatta più morbida ed energica
dal riposo claustrale decollata sull'orizzonte, chinarsi artisticamente
dall'alto muricciuolo per dar la mano alla prima saliente Gibigianna, poi
coll'aiuto di costei sollevare la scala per posarla dalla parte esterna, e
rifare poi il gioco per tutte le altre fuggitive.
Avrebbe trionfato la
prevaricazione, se il baroncino Svembaldo non avesse squillato con una voce di
arcangelo: ¾ Che fa
mai, signora Contessa?... Per carità, signorine tutte... Ritornino indietro,
non vadano a perdersi nella notte... ¾ La
Contessa, occupata nella sua cella agli ultimi preparativi e complotti della
fuga, non aveva vista l'entrata del giovane barone all'Ospizio. Ed ora la voce
di lui, il suo aspetto di angelo e cavaliere arrobustito nelle caccie
dell'India le cagionarono una straordinaria, gradevole sorpresa. In lei poté
l'immediato eterno mascolino.
Le altre ricoverate,
che avevano notato il giovane patrizio parlamentare con la Superiora e poi
entrare con essa in Chiesa, credettero all'apparizione dell'arcangelo Gabriele.
Gilda poteva
confermare coscienziosamente: ¾ È veramente
il mio arcangelo.
¾ Sempre
disposta a mettermi sotto la protezione di un onorato barone! ¾ rispose
la Contessa dall'alto del muricciuolo.
Vinta dal nuovo
Capriccio essa scese dal muricciuolo, dopo averne fatta scendere Gibigianna, e
tradusse tutte le ribelli in ordinata schiera davanti al baroncino, senza
guardare la superiora, che gli stava dietro.
¾ Ci
rendiamo a discrezione dell'arcangelo, che vorrà salvo l'onore delle armi.
In quel punto esplose
la voce squarciata dell'ortolano sbiobbo, che annunziava: ¾ I
carabinieri non vengono; ma, o superiora, o superiora! C'è una nuvola di preti col
canonico alla testa... Verranno a pigliare il figlio del vescovo (additando il
baroncino Svolazzini).
Il Canonico Puerperio
ossia Giunipero era stato colto dal telegramma di Suora Crocifissa, mentre
presiedeva ad una conferenza privata di abati della Missione. Il telegramma
diceva precisamente così: ¾
Catastrofe sanguinosa. Nome Dio venga subito. Prego Provvidenza Divina.
Il telegramma
catastrofico non poteva essere l'inganno di un burlone, perché la censura
poliziesca non avrebbe lasciato passare una fiaba di tale gravità, e perché
esso conteneva un motto di intelligenza devota. Vista la gravità straordinaria
del caso, gli abati della congregazione si proffersero di accompagnare il
Canonico. La canonica di Passabiago darebbe loro alloggio da pernottarvi, senza
violare la clausura del Santo Oblio. A Passabiago sentirono dal procacciante
curatino, come l'onor. Conte De Ritz e il celebre scrittore Adriano Meraldi
erano stati raccolti presso il Cancello dell'Ospizio con le teste
rispettivamente fracassate, dando più poche speranze di vita.
Tutte le vetture del
luogo erano state requisite per ordine telegrafico dal Procuratore del Re,
dalla Regia Prefettura, dalla Curia Vescovile e dalle desolate famiglie, di cui
si annunziavano arrivi coi prossimi treni alla stazione di Clavario. Onde il
canonico e i suoi neri seguaci si affrettarono a piedi da Passabiago al
Sant'Oblio. Parevano corvi feriti, toccando come affannosi anitroni colle ali
la terra.
A vederli comparire
dal Cancello dell'Ospizio, Bimblana esclamò con meraviglia sofferente: ¾ O
Signore! O Signore! Sarà il castigo di Dio.
Quella minaccia
lamentosa sgominò il drappello delle ribelli pentite, le quali scapparono qua e
là per il giardino, come per fuggire una vendetta divina.
E Suora Crocifissa, e
il canonico, e gli abati, e il baroncino, a rincorrerle, ad acchiapparle, a
riunirle quelle disperse. Alcuni preti sembravano pigliare passere col cappello
sull'erba.
Gilda non ebbe
bisogno di lasciarsi acchiappare dal suo Svembaldo.
Fatto l'appello e non
trovata mancare nessuna delle pecorelle smarrite, rimessosi il nicchio sulla
fronte sudata, il canonico ordinò la processione di tutte e di tutti in chiesa.
Tuonò dal pergamo,
svolgendo religiosamente, cattolicamente il motivo oratorio di un avvocato
nord- americano.
Vi sono tempeste
morali, tempeste dell'anima. E come nelle tempeste fisiche, dalla grandine
materiale le contadine rifuggono al loro casolare con un sacco sulla testa, noi
ripariamo sotto il Manto della Madonna nella casa di Dio.
¾
Domattina confessione e comunione generale!
* * *
Quando il canonico
Giunipero si assicurò che tutte le convittrici erano andate a dormire nelle
loro celle e nei loro cameroni, ordinò la ritirata della sua coorte mascolina
alla canonica di Passabiago. Durante il breve tragitto, un abatino, Don
Pizzichini, che pareva un budello vestito della cotta nera, confessò
sbadigliando: ¾ Ho la
coscienza lunga.
¾ Non
anderai a dormire colla Madonna! ¾ lo
affidò il curatino Don Clementino. ¾ Il
nostro Priore provvederà.
Di vero il priore di
Passabiago, Don Alessio Lapesandi godeva la meritata fama di esercitare
l'ospitalità su vasta scala.
Domò sollecitamente
le proteste della servente o meglio cusinera Celestina, la quale
si acconciava come alla tempesta della visita pastorale di Monsignore
Vescovo.
Si rimedia anzitutto
con un grosso salame sbrucato in una frittata di dodici uova. Il curatino scova
in una credenza una insalata di lesso freddo affettato con le cipolle; e fu un
trionfo.
Detto il benedicite
e fatto il segno della santa croce si muove all'attacco dell'imbandigione,
con quella ilarità e vêrve passionale, che i preti mettono nel cibo e
nella bevanda a compenso della loro castità professionale.
Svembaldo non dava
loro soggezione, sembrando ai loro occhi già luccicanti un angelo bagnato nel
vino bianco di Canelli.
Bbbeivvv...! io sento
nel suono della campana maggiore... diceva l'abate Trippone: Bbbeivv! e faceva bronzire
(sbronzè) la voce.
A me invece,
soggiungeva il curatino, quando vado a celebrare nella Confraternita una messa
di sedici soldi, sembra di sentire, che la campanella mi canti: Beiv pochin,
beiv pochin!
(Ilarità strepitosa
inaffiata da una enorme bevuta).
Quindi i preti, come
usano, quando trincano fra loro, si abbandonarono a caricature pretesche.
Don Iginio Lampanti,
vivace ingegno con tendenze demo- cristiane, rifece il
verso di un predicatore napolitano al Duomo di Casale Monferrato: ¾ C'era
uno villanu, che aveva malata la porchetta, unico tesoro suo; la alzò, la
strinse fra le braccia, e la votò alla Madonna, pregando: O Madonna,
dispensiera di grazie, salvatemi la porchetta mia, unico tesoro mio... La
Madonna gli fece la grazia di guarire la porchetta sua, l'unico tesoro suo... E
così sorgette il Santuario della Santissima Vergine della Porchetta... ¾
(sfrenata ilarità, per cui il cerchio delle mani doveva contenere le pancie
sbellicanti).
Il curatino volle
emulare quel successo con la predica dialettale recentissima del pievano di
Montecatino Monfrà, che supera quella del pievano di Montemagno dei secoli
scorsi: Vardè, matasse; cherdé pa' da deila d'intende con la vostra
bertavela a Nost'Signour. Al giudissi Universal ij sarò mi ai pe' del
trono di Dio, e i dirò: Santissima Trinità, Catlina la stiroira a l'è tut aut
che na santificetur, come vorria fesse paresse adess... I so mi, ch'a fatta
l'amour da scondon antl la stala con Pero d'l'Osto... E il Signor a m'à scutrà
mi, e nen voiace lengasse polide come 'l baston del gionch, e a ordonrà a
Bergnif de piesse la bela Catlina sui brich, e d' campela drinta la caudera pu
bujenta d' l'Infern...
L'abate Trippone
prevede, che ci vorranno due diavoli a portare la Contessa de Ritz all'Inferno,
se non la salverà la Santissima Vergine della Porchetta.
Poi accusando uno
stomaco di ghiaia asciutta, ricordava papa Martino del Torso, quello delle
anguille annegate nella vernaccia, e ne ripeteva la conclusionale di ritorno
dal Concistoro: Quanta mala patimur prae Sancta Ecclesia Dei Jesus...
bibamus.
Il priore anfitrione
con il polso tuttavia fermo sta per versare un'altra bottiglia, quando scocca
la mezzanotte e tronca automaticamente la cena per il digiuno della messa
mattutina.
Recitato con
improvvisa compunzione l'agimus tibi gratias, la seduta è sciolta.
E il baroncino
Svolazzini, tirando su i cernecchi biondi dalla fronte, che una volta era
apparsa erroneamente cretina, meditò: ¾ Che
danno recano alla Società i preti, se anch'essi mangiano e bevono, senza fare
del male a nessuno, anzi si sostengono per fare poi della carità al
prossimo?!
* * *
Il Conte De Ritz ed
Adriano Meraldi vennero con molte cautele trasferiti il primo al suo Castello
di Ripafratta, e il secondo alla casa paterna e materna di S. Gerolamo; ambidue
con le migliori speranze di guarigione, che possono dare le cure terrene,
avendo ambidue l'assistenza dei rispettivi genitori.
Nonostante le
inchieste giudiziarie, amministrative ed ecclesiastiche, la grande tempesta
addensatasi sull'Ospizio del Santo Oblio parve per il momento sciogliersi in un
bicchiere d'acqua.
Ringraziando la
Provvidenza Divina del miracoloso favore, Suora Crocifissa volle mantenere la
promessa di aiutare il baroncino Svolazzini nella sua testarderia matrimoniale.
Indarno il canonico Puerperio, ossia Giunipero, bofonchiava: ¾ Adagio,
adagio a ma' passi.
Svembaldo, proprio al
Sant'Oblio, riuscì a sposarsi religiosamente la sua Gilda di Simone,
confermando i nodi allo Stato Civile di Passabiago. Per assicurarsi
l'indipendenza economica, egli aveva ottenuto un posto in una acciajeria a S.
Pier d'Arena. Il suo matrimonio, secondo le previsioni del Canonico protettore,
fu certamente un passo falso calamitoso per l'Ospizio. La baronessa madre ne
ricevette tale colpo da parere stecchita con gli occhi di ceramica e i denti
lunghi di smalto. Il barone padre, che per lustrare la sua nobiltà napoleonica
a quella delle Crociate, faceva le smorfie a recarsi in senato a Roma tolta al
Santo Padre, ora precipitò a giurare a Palazzo Madama, e fece presso il governo
usurpatore i maggiori sforzi per la soppressione del Sant'Oblio, e
avutone il destro con l'alleanza di una principessa dell'Aristocrazia Nera non
risparmiò le sue sollecitazioni all'Augusto Prigioniero del Vaticano, perché
fulminasse di scomunica quell'istituto di mezzaneria sacrilega. Onde
all'Ospizio fondato da Suora Crocifissa e dal Canonico Puerperio ossia
Giunipero si preparava la sorte del prete martire Tazzoli impiccato
dall'Austria e sconsacrato dal Papa.
Non rimase in
panciolle la Massoneria. E non tardarono a manifestarsi sintomi gravi di
quell'agitazione contra il pio istituto. Anzitutto apparve un tremendo articolo
sulla Gazzetta del Popolo di Torino nella rubrica del Sacco Nero allora
destinata a mazzerare preti, frati e monache. Se ne attribuì con qualche
approssimazione la paternità al dottore Giambattista Bottero, patriota, padre,
cane guardiano del liberalismo progressista irreducibile da ogni riserva
conservatrice, tetragono ad ogni seduzione clericale o clericaleggiante.
Senza titolo, tra due
sbarre, come una necrologia, l'articolo si conficcava, si incastrava, saldo al
pari di un mattone o di una lastra tra le colonne del giornale.
Cominciava: «Avremmo
voluto intitolare queste righe Cose Medioevali, se la trascendente
novità non fosse Cosa dell'altro mondo».
E l'articolo
procedeva velenoso, come se rigirasse, invece di caramelle, uno scaglione in
bocca all'articolista.
«Metteva il conto che
con la firma di un re da noi battezzato GALANTUOMO, si promulgassero le leggi
di soppressione degli ordini religiosi, e che con la sottoscrizione promossa
dal nostro giornale si innalzasse l'obelisco Siccardi per l'abolizione del foro
ecclesiastico, meritava che si versasse tanto sangue di martiri e soldati, si
consumasse tanto fosforo di pensatori, e si spandessero tanti inni, o se
vogliamo, ragli di poeti, per la libertà politica e religiosa, quando le leggi
dello Stato Italiano diventano come gli antichi ordin d'Turin, ch'a duravo
da la seira a la matin, e quando i voti migliori del popolo italiano
vengono proprio considerati dall'alto come ragli d'asino indegni di salire in
Cielo? Non si potrebbe con insipienza più asinina né più supina tollerare e
forse fomentare ciò che si tollera e si fomenta dal nostro sgoverno a favore
della Santa Bottega gesuitica. Mentre la sana Germania con il suo cancelliere
di ferro ricusa di ritornare a Canossa, vi si incammina la bigotta, pellagrosa
Italia con la sua politica di polenta fatta di mais avariato a implorare
perdono di essersi lasciata condurre in Campidoglio tirata per un orecchio e
spinta a calci nel preterito. Si domanda perdono delle balossade confessate
da un fossile bigottismo. Nel più bello del Piemonte, che si direbbe
inutilmente inaffiato dal sangue di Andrea Vochieri, si lasciò formare e si
lascia prosperare e spadroneggiare un nuovo nido claustrale di infezione
loiolesca. Tutto l'armamentario dell'antica inquisizione con i cavalletti, i
trabocchetti e gli in pace, è congiunto al comfort moderno
parigino- americano, dernier crì d' la mode, fin du
siècle. Si parla di vere corride di tori ecclesiastici, e di caccie
muliebri esercitate coi cappelli da prete, come si trattasse di lucciole o
farfalle, orgie di sacerdoti di Bacco e sacerdotesse di Venere. Un orrore di
lue sanguinosa alla tenera infanzia, da spaventare la fantasia di Mefistofile
perforatrice degli angeli. Impedita violentemente la fuga delle recluse
stomacate; un succhionismo adoperato larghissimamente sulle ricchezze
peccaminose e sulle disgrazie cordiali; manipolati i matrimonii di giovani
ricchi e imbecilli con le serve dell'istituto a disperazione di nobili madri, a
corruccio ed onta di alti benemeriti intemerati patrioti. Insomma un
pervertimento di antico e nuovo genere tale e tanto da attrarre un onorevole
rappresentante della nazione e genuino eroe dell'epopea garibaldina, e un
valido campione della stampa internazionale a rompersi definitivamente la testa
contro il cancello di questo nuovissimo Eden infernale. Noi osserviamo
semplicemente che tutto ciò non è tollerabile con le tradizioni morali del
nostro antico e forte Piemonte, a meno che non lo si voglia convertire in una
casa di tolleranza cattolica. In altri tempi noi abbiamo condannato
irremissibilmente le circolari reazionarie del ministro Pernati, come circolari
per... natiche; ma ora non siamo disposti assolutamente a permettere che le
leggi liberali del Regno d'Italia siano considerate realmente, come leggi
per... natiche. Nei giorni nefasti delle sconfitte e delle fughe del 48 e del
49 noi non indarno abbiamo minacciato due dita nella gola ai generali
traditori: siamo disposti a ripetere il gioco davanti a un'amministrazione
traditrice della libertà. Lo si senta bene anche in alto. Se esistono ancora
membri non bacati del Gabinetto, non si lascino corrompere dalla fetida
Consorteria caduta sul lastrico di Torino insanguinato da lei vilmente. Uno
sgoverno avvisato può essere ancora un governo mezzo salvato.»
* * *
A questo articolo del
Popolo di Torino, rispondeva la Perseveranza di Milano con un'articolessa
degna della marchesa Paola Travasa. L'articolo dell'organo magno della
consorteria lombarda era firmato dottor Bambagino; e venne erroneamente
attribuito a Ruggero Bonghi. Certo in quella prosa si scorgeva una pretesa
involuta, accartocciata di sottigliezza rosminiana ed arguzia manzoniana nella
superbietta sofistica della Magna Grecia; una pretesa di far sentire il sonito
della chioma sulle spalle dell'Apollo omerico con i rari e corti ricci
spioventi da una pallida calvizie e una risata stridente di pavone. Ma dopo lo
sfogo della critica letteraria, salviamo, districando, la sostanza delle verità
avviluppate.
Ecco un sunto del
lungo articolo intitolato: Anacronismo di Giacobini spostati.
Il dottor Bambagino
cominciava col deplorare schiettamente lo sciupo di forze fuori di tempo e
fuori di luogo: anacronismi ed anatopismi. Senza inchinarsi eccessivamente alla
gazzetta cosidetta veterana della libertà costituzionale e dell'unità
nazionale, era disposto a riconoscere che il dottor Bottero aveva potuto
fare qualche bene al servizio del Cavour, e potrebbe ancora farne, rievocandone
gli ammaestramenti. Se non si era potuto andare a Roma coi mezzi morali
prescritti dal gran Conte, si dovevano applicare per rimanervi; e non già con
una revulsione antitetica del cavourrismo risuscitare quel giacobinismo ostile
non meno alla morale che al diritto della libertà, mentre sarebbe più opportuno
divulgare un manuale del perfetto girondino.
Omnia tempus habet. Secondo Pindaro, il tempo a
tutto è padre. Anche il giacobinismo distruttore semplicista ebbe la sua ora
locale. Quando l'oscurantismo clericale era una selva selvaggia aspra e forte,
fu buona la scure. Ma ora è un peccato, che si sciupino armi, strumenti e
valori di altri tempi. Ora abbiamo bisogno di costruire, vivificare, e non di
fare nuove carneficine, produrre nuove ingombranti macerie. Quando l'eccessiva
Rivoluzione francese uccise i preti a torme, come gibier noir, incarnava
e preparava peggiori tirannidi.
La nostra immacolata
evoluzione italiana, acquistando Roma, non solo ha dato una capitale alla
nazione, ma ha risolto il problema più delicato e geloso del mondo civile,
togliendo il potere temporale al Sommo Pontefice del Cattolicismo e lasciandone
nobilmente, puramente libero lo spirituale.
Bisogna svolgere gli
effetti dell'importante avvenimento con le massime cautele della libertà
sperimentale. Allorché si abolisce una istituzione corrotta, non si ha a
credere distrutto il germe, che ha dato ragione alla sua vita sana. L'umanità
per non abbrutire avrà sempre necessità della religione, che la colleghi ad un
Ideale Eterno. L'anima religiosa avrà sempre uopo della ritiratezza per
salvarsi dalle insidie e crudeltà mondane. Non forziamo vocazioni; non
combattiamo la Natura onesta, per astringerla a disonestà. Sia anche permessa
la propaganda contro il celibato forzoso dei preti. Insomma riformiamo ma non
distruggiamo. E soprattutto riconosciamo lealmente che negli strati sociali,
che si passano della religione, ha luogo maggiormente lo sfruttamento della
dissolutezza, la speculazione sul vizio, sale of dissipation, come
dicono i buoni nord- americani, che veggono con orrore
evangelico dilagare mondanamente l'industria dell'immoralità. Noi cattolici
abbiamo molto da imparare dai protestanti. Qui il dottor Bambagino, citando
l'Inghilterra maestra di libertà costituzionale, recava a cagion d'onore l'esempio
della baronessa Burdett- Coutts, la quale con la penna di
Carlo Dickens rivolse un cordiale invito alle donne perdute nella notte,
affinché accettassero da lei un ricovero di onesta sorella: «Vi è, scrisse per
lei il romanziere della buona arte e del buoncuore, vi è in questa città una
signora, che dalla sua finestra ha veduto tante donne andare come voi in mezzo
alla notte, e il suo cuore si è rattristato nel vedervi. In questa dimora, che
sorge in un ameno bel paesaggio, sarete ricevuta con affetto... Condurrete
vita, sana, lieta, attiva. Apprenderete dei doveri, che è bene conoscere; e
dimenticherete tutto quanto avete appreso di cattivo... Incomincerete una vita
nuova... Venite, o mia sorella.»
Ebbene la baronessa
Burdett- Coutts sarà nominata, la prima fra le donne, pari
d'Inghilterra su proposta di Gladstone; prima fra le donne avrà onoranze
funebri nell'Abbazia di Westminster tra i grandi benemeriti del Regno Unito; e
tra onoranze vitali avrà potuto campare quasi centenaria, ciò che le auguriamo
di cuore.
Invece noi
distruggeremo, calpesteremo, disperderemo l'opera similare di Suora Crocifissa;
e la faremo morire immaturamente di crepacuore. È questo, domandava concludendo
il dottor Bambagino, è questo il vostro programma, o crudele dottor Bottero?
No! Le vostre crudeltà vogliono essere soltanto chirurgiche. Mandate i
ferrovecchi al Balon. Guardate coi vostri formidabili occhiali al
presente e all'avvenire. Dottor Bottero, già utile messo cavouriano in Sicilia
e in Calabria! La lancia, o la lancetta, o meglio la penna in resta per la
libera Chiesa e il libero Stato del Conte Camillo Cavour.
E soprattutto adelante
Don Giovanni dott. Bottero, adelante con juicio!
* * *
Il Ministero stette
un po' in tentenne senza risolversi a che pesci pigliare. Ma, oltre il
desiderio di non parere arretrato di fronte ai progressisti, che volevano
scavalcarlo, si aggiunse l'intransigenza clericale a determinare la politica
rigidamente anticlericale, per cui andò insigne la Destra moderata al Potere.
Figuriamoci, che
nello stesso Piemonte da secoli devoto alla Dinastia di Savoia, casa di beati e
di Santi, i nuovi vescovi ricusavano di domandare il R. Exequatur. E il
Governo, impadronitosi delle loro laute mense, costringerli a vivere a
stecchetto in seminario.
Per l'Ospizio del
Santo Oblio si cominciò ad ordinare una severa inchiesta, la cui commissione
presieduta dal comm. Accademone prefetto di Torino era composta di un
magistrato dell'ordine giudicante (il consigliere d'appello conte Roberto
d'Altavilla) di un sostituto procuratore generale (barone Ernesto Monasteri) di
un ispettore demaniale per la parte economica amministrativa (cav. uff. Michele
Pagliazzi) e per la parte didattica di un professore, che era il nostro Spirito
Losati.
A lui voleva tenere
compagnia la moglie per impulso di appagare una cordiale, se non legittima
curiosità, e rendere possibilmente qualche sorellevole servizio all'amica
Contessa Nerina.
Il marito le obbiettò
a lungo, che in un governo costituzionale tutto teso sui limiti dei varii
poteri era impossibile la larghezza patriarcale dei governi paterni, che
comunicavan i poteri in famiglia.
Ma il comm.
Accademone, antico borbonico, funzionario facilone che si vantava di idee e
maniche larghe, divisando eziandio di procurare uno svago estetico alle fatiche
incresciose dei commissarii, pensò di aggregare la signora Lorenzina Losati
Calzaretta quale ispettrice referendaria dei lavori femminili. E chi sa,
aggiungeva in comitato segreto con una avvedutezza da presidente Ajossa, chi sa
non ci aiuti a cavare meglio il verme dalla superiora?
Spirito Losati, che
si era votato, precipitato al suicidio per il matrimonio di tota Nerina con
Federico De Ritz, Spirito Losati, che era stato salvato dalle acque per la
vigile pietà di Lorenzina Calzaretta sposa donatale da Dio, ora attendeva a
studi profondi sui santi padri del Risorgimento Italiano per trovare la via di
uscita rettilinea ai destini d'Italia e del cattolicismo dopo la liberazione di
Roma. Poiché nel disegno di legge per guarentigie al Sommo Pontefice si era
stralciata letteralmente una profezia del Rinnovamento giobertiano, egli
avrebbe voluto compire l'opera; alla libertà esteriore della Chiesa cattolica,
fare corrispondere una riforma interiore di essa. Questo il binario della nuova
via: una libertà attiva per i patrioti cattolici e per i galantuomini e
scienziati universali.
Da questo binario
rettilineo accennò di farlo deviare la prima vista della Contessa Nerina
rinchiusa nel Santo Oblio.
Essa gli rivolse uno
sguardo implorante di martire.
E fece il resto e più
gettandosi nelle braccia della ottima signora Lorenzina.
Noi non vogliamo in
un romanzo riferire gli atti testuali di una Commissione d'Inchiesta, che
pubblicati in una edizione ufficiale costerebbero all'Erario dello Stato una
sessantina di mila lire, forse compresa la discreta mancia alla intramettenza
di qualche onorevole perito di tariffe. Ci basta darne il sugo.
L'indagine principale
versava sulla libertà personale delle maggiorenni ricoverate.
Dimostrandosi violata
questa garanzia statutaria, il ritiro del Sant'Oblio, secondo la logica
giacobina, non aveva titolo per sussistere, se non era una prigione dello
Stato, o un manicomio autorizzato.
Il Sant'Oblio non era
evidentemente né una cosa, né l'altra. Ergo...
¾ È una
istituzione religiosa! ¾ affermò
la superiora Suora Crocifissa.
¾ Di
quella religione cattolica ¾
soggiungeva il canonico Giunipero ¾
contemplata nel 1° articolo fondamentale dello Statuto del Regno...
Il Commissario conte
Roberto d'Altavilla oppone la scuola storica di Savigny, per cui articoli di
leggi e di statuti cadono di fatto come foglie secche. Così è stato della
coccarda azzurra, così sarà della guardia nazionale...
¾ Ma ¾
rintostava il canonico Giunipero: ¾ Ma ci vogliono
dichiarazioni autentiche di caducità... Se no, sottentra l'arbitrio dei
funzionarii, i quali dovrebbero soltanto applicare le leggi notoriamente
promulgate e non cassate. Si ritorna ai colpi di bastone ad arbitrio di Sua
Eccellenza.
La logica canonicale
offese non poco la dignità dei magistrati inquirenti.
Ma più grave danno a
sé e al Santo Oblio produsse nei suoi responsi la superiora Suora Crocifissa,
la quale possedeva il genio della carità dittatoria, non la pieghevolezza per
salvarsi dalle circuizioni di una ostilità inquisitoriale. Il quesito decisivo
era quello rivolto alle ricoverate maggiorenni: se erano entrate nel Ritiro di
spontanea volontà, e se non preferivano uscirne.
Quasi tutte si
sentivano penetrate dagli sguardi della Superiora, le cui pupille dilatate e
vibranti raggiavano e dardeggiavano come stelle. Per quel fondo di sincerità
generosa, che si trova in tutte le anime non omninamente distrutte, le
poverette sentirono l'impulso di salvare quella Madre Spirituale che si era
consacrata alla loro salvezza; e risposero che nessuna costrizione esteriore le
aveva condotte là dentro, e ci rimanevano volontieri per la salvezza delle
anime proprie e per dare gloria a Gesù e a Maria.
¾ Ma ¾
osservava l'alto e membruto prefetto comm. Accademone presidente della
Commissione, scotendo sulla pancia la catena dell'orologio, la quale collegava
le due tasche del panciotto: ¾ come va,
che ci è stato un tentativo di evasione spontanea?
¾ Ciò non
vuol dir nulla! ¾
controsservò il commissario barone Monasteri studioso della nuova Scuola
Antropologica positiva: ¾ Il germe
patogeno della rivolta incosciente può essere stato portato dal vento in questo
ritiro, come le statistiche dimostrano, che è portato periodicamente in
qualsiasi comunione umana, anche governata dalle norme e dalle personalità più
caritatevoli e più savie.
Le suddette risposte
e le suddette spiegazioni avrebbero dato del filo da torcere ai
maleintenzionati contra il Santo Oblio, se la superiora con la sua rigidità
intransigente non si fosse data da se stessa della zappa sui piedi.
Alla domanda, se le
ricoverate maggiorenni potevano mai uscire liberamente dal recinto, essa
rispose categoricamente: no!
Da quel no inchiodato
non valsero a svellerla le ciglia inarcate di tutti i commissarii.
¾ E perché
no, assolutamente no?
¾ Perché
lo scopo del Sant'Oblio è appunto di preservare le ricoverate dalla
contaminazione del mondo.
Le esigenze morali
della superiora, che avrebbe voluto la moralità anche nelle galline e nei
piccioni, non le permettevano di transigere sulla regola del suo Istituto.
¾ E chi vi
dà il diritto di limitare la libertà personale a cittadine non colpite da
mandato di cattura e sprovviste di fede medica per il Manicomio?
¾ La Santa
Fede.
¾
Ritorniamo ¾ volle
dire il canonico Giunipero, ma con la sensazione di mettere un piede in fallo: ¾
ritorniamo all'applicazione del primo articolo dello Statuto.
¾ Basta! ¾ impose
il Presidente della Commissione, oscurando il volto, come se spegnesse i lumi
al suo proscenio.
Era rimasta da
esaminare la Contessa Nerina De Ritz- Vispi, la quale
rinchiusasi nella sua cella in preda alla più commovente emozione ricusavasi ad
ogni interrogatorio ufficiale e gemeva, che non voleva altra compagnia fuorché
quella della sua amica, sorella di cuore, signora Lorenzina Losati
mandatale visibilmente colà dalla Divina Provvidenza.
I commissarii si
dicevano troppo cavalieri per violare la consegna, e forse il segreto di una
gentildonna; e incaricarono la signora Losati delegata per l'ispezione dei
lavori femminili ad essere sottoinquirente intima di quella spettabile
reticente.
La nota direttiva
finale di Nerina persisteva nel parere vittima ed essere carnefice.
Perciò adottò il
sistema dell'abbandono per essere sollevata; e adoperò la più feroce eloquenza
con le tacite lagrime ed i singhiozzi compassionevoli.
¾ Soffre,
soffre immensamente. ¾ Fu la
relazione conclusionale della sottoinquirente signora Losati. E questa
conclusione fu presso la Commissione più efficace di qualsiasi dimostrazione
diffamatoria.
Non tardò ad uscire
il decreto ministeriale, che scioglieva il ritiro detto del Sant'Oblio nel
Comune di Passabiago Monferrato, e si incaricava dell'esecuzione il Prefetto
della Provincia di Torino con incarico di far tradurre per mezzo di funzionarii
della Pubblica Sicurezza le ricoverate presso le rispettive famiglie, o in
difetto, al Comune di origine, e, se povere, alle Rispettive Congregazioni di
Carità.
Figuriamoci, come
potevano provvedere, rimediare a quella cacciata certe congregazioni di carità
con l'unica rendita consolidata di 75 o 50 lire all'anno!
Allorché il delegato
di Pubblica Sicurezza avv. Egidio Lapislazzuli seguito da una squadra volante
di questurini si presentò al Santo Oblio per l'esecuzione del decreto, Suora
Crocifissa pareva disfatta dopo aver voluto baciare e benedire tutte le
bandite, che essa invano aveva sperato restituire da un Paradiso terrestre al
Paradiso celestiale. Essa si era raccomandata al Canonico Giunipero, affinché si
facesse in pezzi per trovare un appoggio, un altro ricovero onesto alle
disgraziate. Essa stessa per suo conto si era fatta centimane a scrivere
lettere di raccomandazione a tutte le vecchie contesse, marchese, banchiere,
industriali di sua conoscenza, a tutti i generali e magistrati giubilati, che
avendo già un piede nel sepolcro si sentivano vicini a rendere conto a Dio e
inclini a fare del bene al prossimo.
Ma essa sempre sperò,
che la Misericordia Divina allontanasse il giorno dell'esecuzione del decreto.
Quando venne il giorno fatale, essa inginocchiatasi davanti l'altare maggiore
della sua chiesetta pregò pregò tutte le sue preghiere. Ma dai meccanici Pater
ed Ave esalava un sentimento storico: ¾ O chiesa millenaria, che da Carlo
Magno a Napoleone hai viste tante invasioni e tante sventure, tante liberazioni
e tanti sollievi, che hai guarita la pazzia del conte Orlando e hai dato
conforto ad artigiane tradite e maestre licenziate, o chiesa di Dio, concedi
tuttavia un ristoro a questo abbattimento.
Invece la superiora
cadde svenuta.
Il canonico Giunipero
additandola al delegato di Pubblica Sicurezza, mentre essa rinveniva per le
ultime cure delle sue beneficate, uscì in questi termini:
¾ Signor
avvocato, e forse cavaliere! Noi inermi non possiamo lottare contro la vostra
forza armata. Ma notate: se io divenissi infame, come tante rispettate persone,
che so io, ed in questo fabbricato legalmente mio, che Voi fate forzatamente
sgombrare di tante anime pie, io domandassi di istituire un postribolo secondo
i vostri regolamenti, un postribolo- villeggiatura, io
sarei tollerato e non solo tollerato, ma protetto, privilegiato... O vergogna
della civiltà liberale!
Appena si vide nel suo
fabbricato vuoto delle disgrazie umane e della vita spirituale, che egli e
Suora Crocifissa avevano voluto addensarvi, egli per l'educazione classica
sentì quasi un sollievo nella visione del Giove oraziano, pater deorum,
rubente dextera sacras iaculatus arces.
Esula dall'euritmia
del nostro racconto il seguire le varie sorti delle numerose espulse, di cui
alcune troveremo tuttavia nell'orbita della protagonista. Di essa dobbiamo
principalmente occuparci.
La Contessa Nerina,
perpetua Dea dei Capricci, dopo avere provate le emozioni claustrali ed
essersene liberata, si vide ancora dinnanzi una lunga gamma musicale da suonare
per esaurire il programma della sua vita: Capricci per pianoforte,
programma quasi consono al fortiter et suaviter dei gesuiti.
Perché il trapasso
non fosse troppo dissonante dal ritiro del Santo Oblio al ritorno mondano, essa
vagheggiò di ripigliare la parte di infermiera, che già aveva sostenuta così
bene a Firenze, quando il suo primo marito era curato della gloriosa ferita di
Mentana. Anzi ora essa fantasticava di progredire nella carriera e diventare
una infermiera scienziata, come una nurse inglese. Se non che intendeva
applicare la sua scienza pratica non più al primo marito, i cui genitori
d'altronde non l'avrebbero ricevuta, ma al secondo, che essendo un celebre
scrittore l'avrebbe rimorchiata alla posterità.
A San Gerolamo, dove
Adriano Meraldi degente aveva la migliore cura dalla sua semplice maman e
dal suo bravo papà, Nerina avrebbe rivissuto gli idillii giovanili, che impropriamente
essa chiamava innocenti, poiché la tenera Aracne vi aveva tessuta la ragnatela
per acchiappare i moscerini, non ancora emancipati da lei, benché divenuti
mosconi. Il padre di lei si oppose irremovibilmente a quel divisamento.
Nella sua testa di droghiere
consumato si era assodata la convinzione, che l'unica riparazione di certi
enormi peccati o misfatti mondani era nella segregazione giudiziaria o
religiosa dal mondo.
¾ Adunque,
Nerina, dato che tu eviti la prigione per la tua bigamia, almeno rinserrati in
un chiostro. Se mancano in Italia, chiostri non mancheranno all'estero.
Gli ottimi coniugi
Losati credettero di rappresentare, in mancanza di meglio, la Divina
Provvidenza offrendo essi ospitalità generosa all'amica contessa. La loro
modesta, ma intemerata casa, sarebbe naturale e logica transizione, tra la vita
del chiostro ed il ritorno alla vita familiare.
Nerina accettò con
uno slancio di riconoscenza quell'offerta, che le permetterebbe di penetrare a
fondo un ambiente di borghesia modello e probabilmente guastarlo come un
giocattolo.
Sì! Vero modello di
borghesia: il nonno per antonomasia, macellaio emerito, che serbava un
passo e un vocione da far tremare i vetri, e non aveva ancora bisogno degli
occhiali per leggere Il Diritto, organo della Democrazia italiana;
la moglie Lorenzina,
l'anima popolana più rettilinea, che sia entrata nell'intelligenza e nella
virtù borghese;
la bambina Cecchina
di tre anni, un fiore per le guancie e pei capelli, una luce per gli occhi
furbetti e carezzosi, una civettuola innocente per gli inchini, un amorino,
un'angioletta in tutto;
e lui, il padre, il
marito esemplare, il prof. Spirito Losati, che dalle crudeltà infantili, e dal
vulcano esplosivo di una passione d'adolescente era uscito redento, temprato in
un equilibrio di studio, amore e sanità. Serbava a lungo il calore come una
pietra di fornace. Senza mancare per nulla alla sua cattedra di professore,
alternava lo studio rigoroso e passionato del problema religioso e civile, dopo
la breccia di porta Pia, alla amena cura di una 2a edizione della
sua fortunata, benché scabra, traduzione di Anacreonte.
Fu Anacreonte, che
produsse un'incrinatura al metallo corinzio del vaso di sue virtù?
Certamente la
filosofia e la poesia pagana non è fatta per serbare immacolata la purezza dei
sentimenti cristiani. Quando egli studiava l'immenso Vincenzo Gioberti, feroce
anche contro i vizii illustri del Byron, Spirito Losati si sentiva nell'anima flavilli,
ch'aveano spirto sol di pensier santi.
Ma quando ripassava
il suo Anacreonte, uno sciame di genietti lascivi lo tormentava, come nel
prologo del Faust; alcuni di quei folletti gli scantuffiavano i ricci neri
della testa poderosa; altri gli pesavano plumbei sopra un ginocchio o sopra un
piede da farlo arrancare. Egli si provava a cacciarli con una minaccia da
Mefistofele napolitano. Con fiotti torrentizii di bile giobertiana scomunicava
l'amor socratico, l'amor platonico, come idealizzazione, glorificazione di
ignominiosa pederastia. Pure era così artisticamente leggiadro quel Batillo di
Anacreonte... E quella Ciprigna dal rosato seno!
¾ Oh! con
Batillo Ganimede, che mi porga il nappo di nettare, avendo a lato Ciprigna dal
rosato seno,
cinto
il crin d'edera
bruna,
sdraiato
calco
coll'animo
tutto
il creato.
La contessa Nerina in
casa gli era il commento vivente, seducente di Ciprigna dal rosato seno. Con
sapienti scuciture della serica veste sul busto scultorio, scuciture, che si
scordava risarcire, con il calorico estasiante di fortuite necessarie
vicinanze, essa gli comunicava desiderii peccaminosi, rovelli incendiarii. Gli
scompariva dinnanzi l'onesta bellezza di quell'ambiente famigliare. Quando si
era vicini a dare in tavola, e il nonno impaziente di avere la bambina sua
subordinata commensale ordinava: ciamela, coula benedeta masnà, deje 'na
cichinada, la comparsa di Cecchina era come la vista di un fiore
ordinario da fieno ed inodoro per lo straniato papaloto.
L'antica servitù più
non lo contentava. Egli che già poteva dirsi servo dei servi sul serio, mentre
il papa si firmava tale per finta, ora aveva frequenti cose a ridire contra la
vecchia cuoca brofferiana Marcolfa, contra la cameriera Barberina, e contro il
domestico carrozziere Bertrame, personale inamovibile, secondo lo statuto
patriarcale, passato dalla casa Calzaretta alla casa Calzaretta Losati.
Che più? Egli si
sentiva svanire l'amore per la sua penelopea consorte. La consuetudine smaga
l'estetica; le necessità uxorie sono prosa, che elimina la poesia dell'amore. E
quando l'amore viene meno, allora sfiorare un seno di ninfa è come toccare una
palla di gomma elastica od una pera di guttaperca; premere un piedino di dea, è
come manomettere un soprascarpe di cautciù.
Invece
nell'accensione erotica per la Contessa, ogni materialità di questa gli
diventava un poema ideale; i legaccioli degli stivaletti di lei, anche
impolverati, gli diventavano un cinto di Venere, un laccio di amore, un laccio
da strangolarvici dentro, se egli non fosse giunto a possedere la Diva
sullodata.
La sua virtù oramai
zoppicava maledettamente. Egli si sentiva pervertito anche nella
interpretazione dei suoi classici prediletti.
Egli, che già
aspirava all'alta gloria di dare alla Patria Italiana e all'Umanità un valente
filologo, un filosofo riformatore religioso e un virtuoso cittadino, ora si
sentiva invasato dall'ossessione brutale di possedere Nerina. Egli rimpiangeva,
rievocava i tempi, in cui coltivava la sola parte spirituale di sé; sentiva
fastidiosi i legami, onde il suo spirito era avvinto al corpo, e anelava
sciolto dai terreni impacci, di ricongiungersi al sommo Bene.
Ma Nerina nel ritiro
del Santo Oblio aveva accumulato tante energie di elettricità amorosa, che la
sua batteria era inoppugnabile.
La voglia di lei
entrava come succhio afrodisiaco anche nelle più serie e sante di lui letture.
Spirito Losati
profanava, applicando a Nerina con doppi sensi salaci da Nice del Guerrin
Meschino, la sua assidua, quotidiana lectura Dantis, il
suo breviario poetico.
Così nelle sue
procaci speranze, la mossa spirituale della santa Contessa Matelda è profanata
in un programma di facile conquista della porca contessa Nerina:
Come
anima gentil che non fa scusa
Ma
fa sua voglia della voglia altrui,
Tosto
com'è per segno fuor dischiusa.
E già Nerina è per
lui
La
bella image, che nel dolce frui
Liete
faceva l'anime conserte.
Ma così audace
nell'oscenità dei doppi sensi letterarii egli trovasi impacciato, più di un
seminarista nel fare realmente la corte a Nerina.
Basti dire, che incredibile
dictu! egli era vergine prima del matrimonio.
Deve Nerina, somma
sofista del cuore, casista inesauribile del sentimento, egoista raffinata dei sensi,
intraprendere direttamente la seduzione di Spirito Losati.
Un giorno, in cui la
signora Losati con la sua Cecchina si era recata nel gabinetto di un prezioso
dentista, per cui aveva fissato l'orario tre giorni prima, e la servitù di casa
era tutta occupata altrove od altrimenti, il prof. Losati si sprofondava
caldamente nel suo studio a rileggere i Prolegomeni al Primato Civile e
Morale degli Italiani di Vincenzo Gioberti. Al profondo e focoso lettore
balenò la visione che il conte Federico De Ritz dei migliori tempi
rappresentasse l'ideale giobertiano dell'uomo pelasgico innestato nel
cattolico, avente per contrassegno speciale «il genio virile, la gioventù del
cuore, il fiore dell'età maturati dal senno, l'operosità, la maschiezza, che è
quanto dire la natura umana nel colmo delle sue forze e della sua perfezione».
In quel punto apparve
la Contessa Nerina davanti la libreria, come Venere sorta da un mare spumante
di idee. E sembrò comicamente aristofanesca la situazione del prof. Spirito
Losati forse costretto a tradire l'uomo pelasgico cattolico, immediatamente
dopo l'apoteosi.
Nerina con un gesto
da Beatrice e Laura fuse in un solo invito di paradiso terrestre gli offre e
porge una delle prime rose sbocciate in quel tardo aprile.
Losati accalappiato
con il capo chino confuso ardisce baciare quel fiore. Nerina desiosa di essere
baciata fin dentro le carni, sorride dentro l'anima con disprezzo di quel
pusillo, che si crede audace; ed ammagliandolo dagli occhi grandi e luminosi
mostra sulle proprie labbra lo sboccio di un bacio, come il fiore più bello del
Paradiso celeste.
Losati coglie
avidamente il bacio.
Nerina con un gemito,
un sussurro confidente, imperioso, supplice: ¾ Qui no!
Spirito Losati, dopo
avere accettato e prolungato il primo bacio peccaminoso, sente tale palpito di
rimorso profondo da soffocargli il cuore, tale mortificazione intima e
cervellotica, da farlo vagellare nel proposito ossia nello sproposito di
emigrare in America.
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