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Giovanni Faldella
Donna Folgore

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      • 7 - Lacrime di amanti, associazione di malfattori e polizia sanitaria dei costumi
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7 - Lacrime di amanti, associazione di malfattori e polizia sanitaria dei costumi

 

Il professore Losati e la Contessa De Ritz avevano fissate all'Albergo del Leon d'Oro due stanze vicine, che potevano comunicare internamente, senza far sapere esteriormente, che vivessero more uxorio. Ma quella sera indarno il professore tentò una comunicazione con la stanza della Contessa, la quale aveva chiusa la serratura dalla sua parte, ed aveva persino cacciato un cornetto di carta nella toppa per evitare uno spionaggio indiscreto.

Il professore prudentemente si astenne dal fare strepito per non suscitare uno scandalo tra i camerieri accorrenti. Ma egli profondamente patriota, che nel suo cuore aveva eretto un altare a tutte le benemerenze del Risorgimento Nazionale, e portava in palma di mano l'eroismo del Regio Esercito, quella notte si rodette di invidia, di odio, di gelosia, e di ingiustizia contra Piemonte Reale Cavalleria.

Egli applicava a quei baldi apollinei ufficiali le strofette pungenti contra il Cadetto Militare dedicate dal Guadagnoli appunto ad una Nerina; e li impersonava nell'attillatino vanerello, che correggeva l'architettura naturale qual femmina SYMBOL 190 \f "Symbol" \s 12¾ ristretto SYMBOL 190 \f "Symbol" \s 12¾ dentro al busto e colmo il petto. Onde esclamava, come il bernesco gonfaloniere, il quale aveva chiuso le porte d'Arezzo in petto a Garibaldi perseguitato nella ritirata da Roma:

 

Bella Italia! i grandi eroi

che vi fur prima di Voi

Non con veste che imbottita

Senza grinze il fianco serra

Difendean la patria terra.

 

Ma poco per volta il professore si persuase come era ingiusta l'applicazione della figura del Cadetto Militare, propria della fiaccona lorenese del 1829 a Piemonte Reale Cavalleria del 1873. Oh questi prodi non erano di quei tali, che l'amor consister fanno nel consumo degli stivali... Lo sente egli... purtroppo. Ma che purtroppo? Né meno si poteva dire del loro acciaro, che avesse macchia sol di ruggine.

Penetrando i primi albori nella sua stanza, lo specchio dell'armoire a glace fu per lui quale il magico scudo, che fece vedere la propria ignavia e turpitudine e le brutture morali di Armida a Rinaldo della Gerusalemme liberata.

Egli ragricciandosi in un angolo del letto vide l'abisso, a cui lo trascinava il folle amore di Nerina.

E dove poco prima nel furore della gelosia avrebbe voluto infilzare allo spiedo tutti quei formosi ed aitanti ufficiali di cavalleria, ora quasi li benediceva enfaticamente: ¾ Gloria e grazie a Voi, che avete concorso a liberare l'Italia, ed ora concorrete a liberare me!

Ruminando la suggestiva lettura di Formidabile nell'appendice dell'Eco di Trentacelle, sentiva ingrandirsi propositi di liberazione e di rivalsa.

Così potrà ancora lavorare energicamente per la patria, per la religione, per la civiltà e per la famiglia, (senza onestà personale privata non si possono compiere imprese gloriose ed oneste neppure per il pubblico). Così potrà ritornare beato, puramente beato dell'amore di sua moglie specchiantesi nella sua bambina Cecchina come la Madonna nel bambino Gesù.

Ah! Lorenzina, la sua unica Lorenzina!... che divario dalla contessa ecatomfila!...

Nella fantasia erudita gli ritornava un parallelo tra la sua fedele consorte, e la traditrice amante, a cui gli amori si potevano contare numerosi come quelli del Batillo di Anacreonte da lui stesso tradotto:

 

«Se contar tutti degli alberi

Ti è concesso i rami, e l'onde

Che mugghianti alle sue sponde

Volve l'ampio, azzurro mar,

Tu gli amori, per cui struggomi

Or t'appresta a numerar...»

 

«Trentacinque amori teneri in Atene; indicibili a Corinto... ¾ Tra le donne dell'Acaia ¾ sempre sua Beltà regnò ¾ Mille in Caria e in Ionia; mille altri in Lesbo e in Rodi». Si devono anche contare quelli di Canopo, della Siria, e della fertile «Creta, sacro onor del mare ¾ dove il Dio, che saettare ¾ gode l'alme, un poter ha ¾ cui devoti tutti inchinano nelle cento sue città». Da aggiungersi nella confessione i molti SYMBOL 190 \f "Symbol" \s 12¾ d'Oltre Calpe dolci amor SYMBOL 190 \f "Symbol" \s 12¾ e quei di Battro e India SYMBOL 190 \f "Symbol" \s 12¾ che mi albergano nel cor...

Che farne di quell'enciclopedia amorosa?... È una grazia avere il diritto di sbarazzarsene, e l'opportunità di farne un regalo gradito.

Sia sempre lodata l'ufficialità di Piemonte Reale Cavalleria...

Ma gli perdonerà Lorenzina, scoprendo il suo inganno? Gli ritornava un altro classico parallelo tra la bellezza di Nerina, una di quelle bellezze pagane, arroganti, che dalla vita impararono l'offendere e non il sopportare l'offese, e la bellezza della sua Lorenzina, bellezza di Psiche cristiana ed operaia.

Al peggio la moglie di Losati, scoprendo la prolungata offesa e la diserzione di lui recidiva, rassembrerà alla prima Psiche di Pietro Tenerani descritta da Pietro Giordani: «Ella viene in questo affanno fiero novissima, poiché era tanto inesperta di patire quanto di offendere, e nella mente confusa da questa prima ed improvvisa percossa, va cercando trasognata perché tante care dolcezze fuggirono. Ella taciturna e a capo chino, pensosa, spenta ogni allegrezza che riluceva in quell'angelico volto, né al Cielo né agli uomini chiede vendetta, neppure aiuto e pietà. E però maggiore pietà ne incuora la rea fortuna di questa cara innocente

Così una grande pietà assalse il professore Losati per la sua Lorenzina, a cui sentiva che lo riavvicinavano poderose correnti telepatiche, psicopatiche.

E così egli deliberò irremissibilmente la separazione definitiva dalla Contessa. Questa nell'ebbrezza dello sciampagna non si era accorta dapprima che si era sostituito l'uno all'altro ufficiale; onde essa avrebbe potuto ripetere la scusa di una anacreontica epigrammatica del Ghislanzoni insegnatale a memoria dall'avv. prof. Gioiazza: Ma qui fa tanto scuro, SYMBOL 190 \f "Symbol" \s 12¾ ch'io t'ho chiamato Arturo SYMBOL 190 \f "Symbol" \s 12¾ invece di Pasqual.

Invece della celia, essa provò un'iracondia maledetta.

Con gesti protesi da Semiramide imperatrice offensa, col veleno dell'aspide di Cleopatra, essa sibilò: ¾ Via! via! ¾ Per non suscitare scandali, cacciò lestamente, chetamente quel surrogante militare; poi fantasma fremente si avventò per ischiudere l'uscio del professore

Se la chiave della serratura era nella stanza della contessa, un nottolino era nella stanza del professore, ed egli aveva avuto cura di sprangarlo, appena fermata l'eroica risoluzione di licenziare Nerina. Ora come uomo, che felicemente piantato ripianta, mulinava con leggiero sarcasmo il verso di Dante:

 

Cotal qual io la lascio a maggior bando.

 

Inutilmente la Contessa si adoperava ad ottenere l'ingresso da quell'uscio con la raspatura di cagna famelica o con la graffiatura di cagna leziosa.

Il classico professore si manteneva inesorabile con il veto di un tribuno romano, con il non possumus di un romano pontefice.

Nerina si inchinò a chiamarlo al buco della serratura, e lo ottenne per isputacchiargli: ¾ Spirito del demonio! Piuttosto che averti amato, preferirei essermi prostituita...

Il professore, dapprima gravemente stordito, rispose: ¾ Non dica così! Chi sa che cosa può riservarle l'avvenire?

L'avv. Gioiazza in simile contingenza avrebbe risposto più lepidamente: ¾ Non dico «così sia!».

 

* * *

 

La Contessa trovò sul tavolino da notte un foglio dell'Eco di Trentacelle lasciatole da un ufficiale di Piemonte Reale Cavalleria; e lesse avidamente come una rivelazione l'appendice «Formidabile».

Il programma di santificazione dopo tanti peccati le parve sublime. Sentì un repetio per il Ritiro del Santo Oblio. Per fare una confessione generale avrebbe dovuto impiegare parecchi anni ginocchioni. Intanto è più comodo sentire una messa, che può valere Parigi.

Tratto dalla sua valigia un velo nero, essa si incamminò alla vicina chiesa di S. Cristoforo, che in quell'istante tra una funzione e l'altra era vuota. La visita a una chiesa solitaria all'anima predisposta l'impressione che gli archi convergano per lei, i ceri e le lampade ardano di tremula attraenza per lei. Invece alla inesausta peccatrice parve si avvicinassero le enormi culatte dei cavalli nella crocifissione di Gaudenzio Ferrari; e minacciassero di sprangarle calci sui denti; quelle grinte barbute di giudei lanceolati si ravvivano nello stupendo affresco per trafiggerla barbaramente.

Essa si inginocchiò tramortita, e vide scuramente: Dante credette; credeva Manzoni, cervelli sublimi; ed il mio cervelletto non sa, non può credere Dio, se c'è Dio, mi diede forme, voglie, capricci; e non mi diede cuore... Sono una bestia nociva da uccidere... Una serpe in gonnella da schiacciare... Ma finché viva...

E si allontanò dalla chiesa con una orrenda psicologia.

Ritornò all'albergo; e questa volta bussò all'uscio esteriore della stanza di Losati.

Egli venne ad aprire; e vedendosi comparire la traditrice col velo di devota, immaginò le maggiori insidie e si armò di fiere ripulse. Calcò la barba irsuta sul petto: i ricci dei suoi capelli parevano punte di porcospino. Infine lo si sentì dire con voce grossa: ¾ Anfen, mi d'chila, sora Contessa, i veui nen saveine!

Quelle parole furono pienamente intese dall'ottima di lui consorte, che in quel punto entrava come a miracolosamente premiarlo, seguita dal gigantesco signor Baciccia rispettivo padre e suocero. Questi portava in braccio quel bombonino, quell'amorino di Cecchina.

La Contessa, dopo aver finto di tentare l'uscio interno, uscì sbatacchiando l'uscio esteriore.

Il classico professore voleva dirle, come la botte all'erpice: senza ritorno.

Invece proruppe in un fiotto di lacrime.

Quella notte aveva già pianto nell'aspettazione dell'aurora del giorno, che si aveva in testa e nel cuore.

A somiglianza dei bambini, che in un bel prato di mattino vedendo le goccie di rugiada per riflessione brillare tanto di colori vaghi e diversi, si adirano seco stessi di toccare acqua e non perle, così egli aveva pianto lacrime adirate.

Ora invece sente di toccare perle e non acqua, piangendo lacrime di consolazione, marito ridivenuto angelicamente amante della amantissima moglie.

Oh il compiuto idillio che egli poté ritessere a Trentacelle!

A lui, a lei, al sor Bacciccia parvero più sacre le bellezze artistiche e storiche di Trentacelle, ora che potevano rigoderle nella pienezza di una riconsacrazione familiare con l'angioletta Cecchina. Il professore, che non poteva più capire nella pelle dalla galloria dell'essersi liberato di Nerina, volle pure celebrare un idillio nuziale con la sua, tutta sua Lorenzina nello stambugio di legno impiccatojo dell'antico tenente pensione Don Arrigosti.

Sor Bacciccia ordinò pasti luculliani al Leon d'oro, quantunque gli paresse, che non si mangiava più carne tenera e succulenta a Trentacelle, dopo che egli aveva rimesso il suo Macello gentile.

Alla cena della partenza venne invitato Don Arrigosti però in camera charitatis siccome quegli che era divenuto famoso per le sue sbornie, tanto che la via di sua abitazione da secoli detta dell'Arcivescovado, era stata popolarmente ribattezzata in onor suo Contrada delle scimmie. Ed egli bevve così allegramente e copiosamente da ballare sotto la tavola.

Non mancarono i commenti nella pettegola città di provincia sul cambiamento di moglie operato a vista dal professore esaminatore.

Ma l'Eco massonica tacque, cestinando un pepato bozzetto di doctor Malalingua, per essere il Losati fiore di liberale e patriota. E l'Aquila di Costantino, organo della Curia clericale, ringuainò gli artigli contro gli scandali di un missionario del Governo immorale ed usurpatore, per tema che si bocciasse il drappello di chierici e monache agli esami normali e magistrali.

 

* * *

 

La Contessa De Ritz, scacciata dai felici Losati, giocata, tradita dai baldi ufficiali di Piemonte Reale Cavalleria, si trovò discesa di un gradino nella sua vita avventurosa. Finora essa era sempre stata attiva nei tradimenti; ora cominciava a diventare passiva e ne sentiva l'umiliazione rodente. Da giovinetta aveva tradito la memoria della madre, il padre e numerosi amanti; maritata aveva tradito nell'indissolubilità cattolica un marito di fede adamantina, annichilendo un eroe liberale; aveva poi tradito un altro marito, che le si era congiunto nel rito greco scismatico, e in lui aveva spezzato uno scrittore di celebrità europea; e contemporaneamente aveva tradito e piantato amanti a iosa.

Ora invece servì involontariamente di giostra ad ignoto campione; e venne licenziata da un gramuffa stronzolo in presenza della costui lercia famiglia.

Oh! avere tutti i fulmini di Giove, da sbatterli come serpenti avvelenati sulle faccie del tradimento!

Essa si sarebbe data ai cani, pur di saziarsi nella vendetta. Si ricordava di un proverbio citato nelle noiosissime conferenze tête a tête di quel parolaio pedante: «Con la pelle del cane si sana la morditura, e vendetta di cent'anni ha ancora i lattaiuoli¾ Sì, pedante dei miei stivaletti, diventerò magari per te megera centenaria, pur di arrivare a stracciarti la pelle. Intanto va a farti scrivere te e i tuoi noiosissimi dialoghi di un cervello celebre con la penna, goffamente pretendendo di superare il Leopardi.

Quanto a Voi, baldi ufficiali, sono capace di riacquistare e riarmare l'un dopo l'altro, i miei mariti e spingerli alla vostra onta e strage. Così se la vostra Dea Reggimentale, la Formidabile per burla, facezia da prete, ha brindato: «Viva Piemonte Reale! e abbasso i mariti!» io canterò sulla sua bella faccia e canterò sulle vostre faccie brutte: «Viva i Mariti ed abbasso Piemonte Reale

La Contessa De Ritz non ebbe uopo di ricorrere ai mariti per risolvere quella sua situazione deserta del Leon d'oro. La sua bellezza, purché fosse per un istante ritenuta, esercitava ancora prodigii di attraenza. Ne fu prova il copioso epistolario di amorose dichiarazioni, che le piovve in quello stesso albergo. C'era da fare una nuova edizione del Segretario Galante.

Sono innumerevoli i deviamenti, che cagiona nella vita sociale l'attraenza della Bellezza viziosa. Strappa studenti agli studî e agli esami, rovina le economie dei padri, le sante speranze alle madri; a un agiato negoziante fa dimenticare la numerosa famiglia e vent'anni di probo commercio; fa che un vedovo spogli e abbandoni le figlie da maritare; deraglia tutti dai propri doveri.

Tutte le classi erano rappresentate nelle proposte di amore fatte alla Contessa De Ritz, la cui bellezza pareva perfezionata divinamente dai plasmi delle avventure ed acuita preziosamente dal mistero di una superiorità indiscussa.

Chi si era innamorato, ammirandola a teatro. Chi sarebbe caduto in ginocchi vedendola uscire di Chiesa.

In tutte quelle lettere gocciolavano lacrime calde commoventi di amanti sinceri.

Essa si fermò preferibilmente su queste pagine erotiche: «Fiore di bellezza, fiore dell'anima mia! Señora de mi alma y de mi vida señora de mis ojos y de mi alma, señora mia de mi corazon, señora mia de mi bida (Vedi Carteggio di Carlo Emanuele I alla Serenissima Infante sua Reale Consorte). Che cosa è questo cuore, che si rinvergina, questa macchina, che sussulta nell'ispirazione di una nuova aura floreale? Perché dopo le scettiche irrisioni, dopo gli sprezzi filosofici ritorniamo fanciulli? periodicamente fanciulli?

Fra le chiacchiere pornografiche dei buoni amici buontemponi si eleva il sentimento purificatore. Mi batte il cuore come in un idillio di Beatrice fanciulla.

Basta una figura sorridente di bellezza inaudita, non mai vista. Non so ancora precisamente chi ella sia.

So che è bionda e flessuosa, come una Dea del Settentrione e ha la gagliarda maestà di una bellezza schiettamente romana. Ella è una autentica matrona con lo slancio della modernità. È fiera ed angelica. Dapprima la commentai salacemente fra amici. Ma tosto quei commenti mi sembrarono irriverenti, sacrileghi...

Che stranezze! Dopo avere pienamente, intimamente conosciute altre beltà in tutte le loro forze, in tutti i loro abbandoni, un'emozione religiosa pur la vicinanza di una bellezza nuova straordinaria. Il nostro cuoricino emette il pigolio del rondinino, che lascia per la prima volta il nido volando tremulo, incerto sugli effluvii di maggio.

Ignoto la vidi accompagnata al Caffè, al Teatro, all'Albergo...

Ieri sera contemplandola sola alla Birreria, presunsi essere suo conoscente. Parendomi che Ella cercasse giornali illustrati, io mi permisi di offrirle il Fischietto da me tenuto in mano. Essa accettò graziosamente la mia offerta del foglio, e quando Ella volle restituirmelo, sentii che quel giornale tocco da lei l'avrei conservato per tutta la vita. E lo rubai alla Birreria. Che musica quella della sua voce nel dirmi grazie. Grazie a Lei, o bella Signora, che ha ridato un fiore alla mia anima, grazie al tuo sorriso, che mi ha ricordato un angelo forse intravveduto in una vita anteriore.

Musica allegra e dignitosa della tua voce, chi sa se ti sentirò ancora? Se ti parlerò...? Dipende da te, da Lei.

Forse sarebbe per me più prudente, terminare qui tosto questo romanzo più che ideale; contentarsi del fiore, senza aspettare il frutto che marcirà. Ma è possibile restare ideali, anche a costo che il riconoscimento della nostra idealità ne renda ridicoli a noi stessi?

È mio destino terminare una lettera lealmente patetica con un tentativo di felice umorismo.

Devo recarmi a Genova a ricevere un bastimento di medicinali e coloniali.

Vuol venire con me? Io sono il suo ardente servitore

Doctor Malalingua

Chimico farmacista Evasio Frappa»

 

Nerina soffusa di curiosità capricciosa diede la preferenza all'umorista foderato di patetico. Ma è dunque inesauribile la serie dei Capricci per pianoforte?! Eccole dinnanzi la specialità inesplorata dell'amore maledico. Amare una malalingua, un umorista di celebrità provinciale, inedita per il resto del mondo. È una varietà di Gioiazza, una varietà più cinica, anzi più brutale, in quanto che nella scala dei bruti il porco sia superiore al cane.

Difatti l'intercalare passionale di Evasio Frappa era: ¾ Dimmi che sono un porco.

Ma nella brutalità eravi pure l'ingenuità animale. Non quelle promesse di amore eterno proprie della menzogna umana.

Tanto meno il disegno pazzo di un nuovo matrimonio, annullati i precedenti in oga magoga. Anzi il farmacista Frappa a Genova nell'attesa dell'imminente bastimento di coloniali e medicinali, cenando allegro in un ristorante dell'Acquasola, e lodando lei della natura allegra, le regalava la primizia di questi Paradossi Idrostatici del Doctor Malalingua autore delle Cacature di Mosca: «Il matrimonio è un'indecenza (lo si capisce con evidenza apodittica pel suo scopo intimo palese). Il matrimonio è una schiavitù; sarebbe come obbligare una persona a mangiare per tutta la vita nella stessa trattoria. Il matrimonio è un'impostura solenne, perché copre con la lustra di un contratto civile e di una santa benedizione il sottointeso di perenni porcherie, che finiscono di stomacare anche gli stomaci meno deboli».

Nerina, che si era meritato da doctor Malalingua il complimento di natura allegra, con la sua volubilità di risorse non mai finite si rannuvolò di un tratto, ed uscì dalla nuvola come una preziosa compunta d'amore riportando con un sospiro la definizione della mascherata linguistica: ¾ Ah! il matrimonio è l'amour permis.

Il farmacopola spaventato che gli si spiegasse dinnanzi la carte du tendre, si affrettò a levar le berze da quella geographie d' l'amour; ed annunziato, che gli era finalmente arrivato il bastimento carico di generi coloniali e medicinali, da cui per suo conto ritirava e spediva a Trentacelle due sacchi e quattro pacchi, si affrettò a scortare la spedizione. Ma prima con quella serietà di precisione contabile, che è prerogativa di certi buffi, volle delicatamente liquidare i suoi conti con la contessa.

Con una sostenuta politezza e franchezza, la pregò di accettare per suo piccolo ricordo un ciondolo di rarità numismatica, una pezza d'oro di lire cento del quarantotto recante il motto: Italia libera SYMBOL 190 \f "Symbol" \s 12¾ Dio lo vuole.

E visto accettato il dono senza smorfie, egli stesso sentì una divina liberazione, per cui postergando anche lui il rammarico di staccarsi da tanta bellezza straordinaria, volle tuttavia aggiungerle il regalo del suo cinismo linguacciuto: ¾ Cara Nerina, gli idealismi sono spostati in questa epoca, in cui si va perdendo il senso morale, onde sparisce il rimorso del mal fare. Ci incamminiamo a tale epoca, in cui le più felici coppie, i matrimonii meglio assortiti saranno assolutamente associazioni di malfattori.

Nerina, forse per la prima volta convinta da un uomo e da una situazione, accettò la pezza da cento lire, non come ciondolo, ma come moneta.

Essa finora era vissuta, come i personaggi della Divina Commedia di Dante, senza preoccuparsi dei quattrini. I quattrini per lei aveva primieramente provveduto il padre suo, poi il primo marito, poi l'amante secondo marito in partibus infidelium, quindi all'uscita del Santo Oblio di nuovo il padre, che non voleva ella rimanesse a carico dei buoni Losati. Spese enormi avevano fatto per lei ricchi perdutamente di lei innamorati in varii gradi di latitudine e longitudine terrestre. Ma, quantunque il ticchio della lautezza borsuale non le fosse mai mancato con una istintiva accortezza, cionondimeno non c'era mai stata ombra apparente di mercimonio.

Ora con l'accettazione della pezza da cento si sentiva discesa di un altro gradino. E si vedeva dinnanzi molti altri gradini da scendere, per la prosaica necessità del pane e del companatico quotidiano.

I personaggi di Dante, eccetto il conte Ugolino e complice, non mangiano. Essa sì; ed anche si veste, cosa di cui parecchi peccatori e parecchie peccatrici della Divina Commedia fanno a meno, o si aggiustano, senza ricevere la nota del sarto o della sarta per le cappe aurate di piombo ecc.

Per mangiare e vestire a questo mondo ci vuole pecunia. Ricorrere al padre no; perché il padre è tomo da ricacciarla in un chiostro anche lontano. E questo programma è troppo pericoloso per la libertà dei suoi capricci, a cui sempre più vorticosamente essa ci tiene.

Costituirsi sotto il giogo coniugale del primo o del secondo marito farebbe maggiormente a pugni con la vocazione del libertinaggio spinto oramai agli estremi limiti.

Nella infinita processione del suo cervello passa come un'orezza l'idea della Beltà, valore giuridico, industriale.

Se per i bisogni indeclinabili della natura umana, anche i sacerdoti di Dio si fanno pagare, perché non si dovranno pagare i favori delle Dee?

La lettura del profilo di Formidabile, Dea Reggimentale, fu molto suggestiva per lei; e vieppiù suggestiva la conoscenza dell'autore. Ma non ella inquadrerà i biglietti da cento.

Per vestirsi pagando onestamente la sarta, bisogna svestirsi disonestamente a pagamento.

È una idea di infamia granitica economica, che si eleva sulle antiche sofferenze e crudeltà cardiache, da cui Dio scampi pure il prossimo!

Fino allora essa non aveva considerato l'amore come cosa seria; lo aveva tenuto in conto di un divertimento, come il giuoco, come l'andare a teatro o a passeggio. Ora concepisce l'amore come una serietà finanziaria, che si accorda con il materialismo storico, per cui anche le rivoluzioni più ideali si addebitano a movimento di interessi, e si accorda con la norma dei costumi, per cui anche il rispetto più sacro, quello dovuto ai genitori, si commisura alla ricchezza e all'apparenza della ricchezza. Nerina, che si era primieramente maritata per una presentazione fattale al Caffè San Carlo, ricorda precisamente che Teodoro Mandibola, divenuto basso profondo acclamato a Torino, ricevette molto sostenutamente tra gli specchi dorati di quel Caffè il padre suo contadino, che mediante sacrifizii lo aveva fatto studiare, e quando lo ebbe congedato, disse ai compagni bellimbusti: a l'e il me massè! (il mio mezzadro).

Dunque lusso, ricchezza for ever, per sempre. Onde procacciarsi ricchezza e lusso occorrono intermediarii anche alla bellezza mercantile. Coloro che vogliono escludere affatto le mediazioni dai negozii umani, non conoscono la compagine della umanità, che è tutta una trama di infiniti rapporti. Le mediazioni devono riempire le crepe, far ponti, e non far gobbe; ma sono necessarie alle transazioni umane e anche a quelle d'amore.

Il ruffianesimo, se ha un posto distinto nell'Inferno di Dante, è nella vita tra le più riguardevoli fonti di ricchezza. Esso si intreccia ad altri baratti e se ne fa coperchio.

A Genova alla Salita dell'Imalaja, N. 69 rosso, interno 12, fioriva una cospicua Agenzia, che in altro tempo e in altra località si era pure occupata di ingaggiare ingegni e studi letterarii per lo sfruttamento attivo del Signor Gravet- Negrier. Ed era precisamente dessa, che aveva spedito il letterato Adriano Meraldi alla fortuna letteraria di Parigi. Ora funzionava in ispecial modo nel ramo erotico, occupandosi principalmente di procurare coppe d'amore alla sete ardente degli ammiragli lussuriosi e dei baldi ufficiali di marina che stazionavano nel porto, dopo una lunga navigazione.

L'ammiraglio inglese Sir James Thoptson aveva il ticchio di rifare il celebre Nelson non solo nelle vittorie navali, ma altresì nelle conquiste amorose.

Vide, come in un baleno, la Contessa De Ritz alla passeggiata dell'Acquasola, e gli parve di veder sfolgorare Emma Liona rediviva. Si persuase di potere con Lei disporre di regni... E si rivolse all'accreditata agenzia della Salita dell'Imalaia.

Il direttore dell'agenzia fece il caso molto difficile. Si trattava niente meno che di una bellezza europea ed asiatica, moglie separata di un eroe garibaldino, nobile conte ed onorevole deputato al Parlamento Italiano, e moglie scismatica di uno scrittore di fama mondiale. Anche non ci fosse stato di mezzo il matrimonio scismatico ricordiamo: non si gloriava il visconte Boissy d'Anglas pari di Francia, non si gloriava di presentare la Contessa Guiccioli sua moglie in seconde nozze come ci- devant maitresse di Giorgio Byron?

L'ammiraglio inglese offriva come prezzo morale inestimabile la gloria di un nuovo Nelson. L'agente traccheggiò fino a che riuscì a conteggiare immoralmente un determinato centinaio di sterline, di cui la maggiore parte restò attaccata alle sue unghie.

L'ammiraglio Thoptson era un eccentrico, che oltre alla gloria marinara, pregiava altamente la forma della Diva e la franchezza del costei spirito.

Avendo domandato a Nerina: «Siete maritata?» si sentì rispondere: «Non più! I matrimonii sono associazioni di malfattori. Ed io sono onesta

Questa risposta al buon ammiraglio parve il non plus ultra della sublimità spiritosa. Avrebbe voluto impiccare per lei alla più alta antenna della nave ammiraglia il più eloquente oratore del Regno Unito.

Dovendo egli salpare dal porto di Genova per il Canadà, profferse di condurre con sé Nerina offrendole l'impero della bellezza del Nuovo Mondo ancora da Lei inesplorato.

Nerina, già conquistatrice di Europa e di Terra Santa, avrebbe accettato il patto del miraggio.

Non la tratteneva la tribù dei minuti amanti, che erano pullulati intorno all'albero gigantesco dell'amore ammiraglio. Lacrime d'amanti non sono diamanti. Anzi erano diventate ridicole, incalcolabili ossia da non calcolarsi, quantités negligeables, le lacrime di questi piccoli amanti, pesciolini di rimpetto a una balena.

Che importa uno studentello, precipite da un tetto, suicida di forsennato amore per lei? Che importa davanti alla prospettiva di divenire grassa gigantessa di ciccia soda, ed essere comperata a peso d'oro da un principe di Kabul, come Lola Montes, la zingara fattucchiera d'amore?

Che importa se qualche impiegatuccio, qualche mozzo muore di fame per pagarsi un po' di Lei? Essa pretende che i suoi umili adoratori le dicano: Ave Cesarina; i morituri ti inchinano. N'è dolce il sacrifizio di morire di fame per te.

Avanti, ammiraglio! Ti seguo nella traversata dell'Atlantico, anche se l'oceano ondeggi tutto di lacrime dei miei amanti abbandonati alla disperazione per me.

Chi la trattiene a Genova non è un amante né all'ingrosso, né al minuto. È un dispettoso del suo amore. È il baroncino Svembaldo Svolazzini, la cui Gilda, di origine artigiana, si era perfettamente baronificata, come se discendesse da una baronia delle Crociate.

Che modelli di coniugi (marito amante della moglie e moglie amante del marito) erano Svembaldo e Gilda!

Svembaldo era Direttore amministrativo della Acciajeria Amaldi di San Pier d'Arena; e rappresentava a perfezione il tipo del padrone delle ferriere romanzato da Giorgio Ohnet. In tanta desolazione di fallimenti morali ed amorosi, è consolante fermarci su questa immagine reale di idealità.

Per un rarissimo privilegio di tempra adamantina egli aveva potuto conservare nella virilità i purissimi ideali dell'adolescenza. Aveva creduto vedere, che Gilda, solo Gilda sarebbe stata la degna collaboratrice della sua vita; e in tale fede si confermò con la più salda ed immacolata costanza.

Bisogna dire, che Gilda fece di tutto per associarsi a lui in quel tipo di coniugio. Bambina si era un po' indugiata a guardare il girasole di Adriano Meraldi. Ma ora è profondamente persuasa, che Svembaldo è un sole in paragone di quel girasole.

Egli, benché figlio di ricco e superbo barone, ha prediletta lei povera figliuola di un umile falegname; ed ha continuato ad amarla con un attaccamento maraviglioso, benché spedito alla caccia nell'India per lo scopo di allontanarlo da lei; egli l'ha rintracciata al Ritiro, alla purificazione del Sant'Oblio, e l'ha estratta di , per farla sua, per farla consorte del più esemplare barone della cristianità nella modernità operosa. Gilda ha nella sua coscienza una rettitudine superiore a quella della pialla e della squadra di suo padre; e sente, che sarebbe un mostro orribile di stortura, se mancasse per un bruscolo a quel dovere colossale di riconoscenza. Per ciò si studia di farsi ogni giorno più bella, più elegante, più savia e più spiritosa all'unico fine di allietare i giorni del suo sposo, e quando può annunciargli con sicurezza la prossimità di un lieto evento, gli promette: voglio fartelo così grazioso, così bombonin, da intenerire la dignità di tuo padre e il contegno della tua signora mamma.

Egli le gittò le braccia al collo, e la baciò con estasi lunga, proclamandola santa, santa, santa.

Quella beatitudine coniugale gli rendeva più lucida la mente, più solido il carattere, più elastica l'attività, lo rendeva un valore aureo crescente anche nell'acciajeria. Lo sollevava più nobile col blasone del lavoro.

Soltanto il vero, degno, santo amore resiste alla seduzione dei sensi peccaminosi.

Indarno Nerina imperatrice dei sensi peccaminosi cerca di accivettare Svembaldo; indarno essa ha rinunziato alla conquista dell'America per conquistare lui. Egli si mostra incorruttibile, come l'angelo più vicino alla Divinità; imprendibile come una fortezza fatata.

Eppure Nerina non rinunzia ad avvincere anche lui. Niun personaggio della vecchia Europa e dell'Asia Minore le ha finora resistito. Che il giovane Svembaldo rimanga unico invitto nella vecchia Europa? che egli sia maggiore dell'Asia minore? Gli manda messaggi difilati, sinuosi, ardenti, uncinanti, appiccaticci.

Affitta un quartierino dirimpetto all'alloggio di lui; lo specula; lo occhieggia; lo occhialineggia; lo persegue; gli fa da sentinella; gli soffia motti audaci, inviti affascinanti, paroline tenerissime. Lo rasenta fino a fargli tastare la sofficità calda, pungente del suo plasma di Dea. Invano, sempre invano.

Pur Nerina non cessa dall'assedio e dalla persecuzione.

La giovane baronessa Gilda sta per uscire armata di tutta la forza, che le il diritto più sacro alla difesa. Ma il marito la scongiura a non insudiciarsi al contatto di quella perduta; e per liberarsi dagli incessanti attentati dell'impudica persecutrice, minaccia di ricorrere alla Questura; pensa che deve finire col ricorrervi.

 

* * *

 

Fu una coincidenza, poiché per lo stesso soggetto, per cui pensava di ricorrere alla Questura una perla di galantuomo, si rivolgeva una schiuma di lerci ribaldi alla Questura, che nel regno d'Italia era legalmente incaricata non pure di tutelare la pubblica sicurezza della civile cittadinanza, ma di organizzare e costringere il più turpe e barbaro carnaio del vizio.

Una volta si muovevano la Massoneria e il gesuitismo per restituire la Contessa Nerina al padre e al marito legittimo. Ora è succeduta la fatale combinazione della probabile denuncia di un perfetto gentiluomo e della trama di sordidi malfattori. Mentre gli onesti procedono spesso apertamente isolati, i malfattori si associano nell'ombra. Vere associazioni di malfattori si addensavano per acchiappare nella più vergognosa ragna la contessa Nerina, ed attrarla all'ultima perdizione.

Essa con la sua audacia capricciosa tende ad evolversi, evolversi, per innalzarsi infinitamente. E non si accorge di precipitare nella più cupa e fetida profondità.

Siccome il vero romanzo è una storia dei costumi, ed il romanziere verista deve lasciar parlare le persone e gli avvenimenti e, secondo una nota formola, deve guardarsi dallo scoprirsi, a similitudine della Corona nel governo costituzionale, così invece delle nostre considerazioni, riportiamo un ristretto delle dispense scolastiche di Ilarione Gioiazza, che è pure un personaggio del nostro racconto.

Egli non trovando mai il tempo di divenire ammalato, oltre a tenere uno studio fiorente di avvocato, anzi di avvocatissimo, vinse un famoso concorso di dottore aggregato alla facoltà di giurisprudenza della Università di Torino, e da libero docente promosso a straordinario ebbe indi a poco quale titolare la cattedra di medicina legale all'Università di Catania. Ma non gli convenne accettarla; e seguendo l'andazzo legale di accrescere i corsi liberi per ispremere maggiore quantità di quattrini dagli studenti coatti moralmente; egli inaugurò un corso speciale sulla polizia sanitaria dei costumi nella stessa capitale delle antiche provincie.

Noi diamo appunto un tratto delle sue relative lezioni stenografate e poligrafate.

«Lo dirò, anche avessero a gongolarne i clericali e gli altri nemici dell'Unità e della Libertà Italiana, che (si intende i nemici) il Diavolo se li porti. Il vero, sì, che nel 1859 e nel 1860, durante l'orgasmo di fare l'Italia libera ed una, gli italiani e le italiane si amarono troppo, si amarono tanto che produssero una spaventosa diffusione di lue venerea specialmente nel regio esercito e nel corpo dei volontarii.

Se ne impensierì lodevolmente quel testone del Conte di Cavour, che badava a tutto; ed incaricò l'intemerato ed oculato sifilografo prof. Casimiro Sperino di allestire alla lesta un regolamento sulla Prostituzione, che è il famigerato regolamento del 15 febbraio 1860, contro cui si appuntano i picconi demolitori dei moralisti, degli igienisti, dei giureconsulti e degli apostoli d'ambo i sessi.

È perniciosa la schifiltà dei giornali in pantoffole, che vorrebbero mettere la sordina alle verità più strepitose. Noi proclamiamole salutarmente.

Si disse che la Natura è più forte delle Leggi, e si direbbe meglio che essa stessa è la legge più forte fra le leggi. Poiché Dio Creatore ha dato l'amore naturale come mezzo indispensabile a continuare la sua creazione, un Governo, il quale deve governare ogni funzione sociale per evitare il maggior male e fare un po' di bene non può prescindere dalla funzione primigenia della massima importanza vitale. Perciò il tessuto connettivo del Governo va dalla santa nobiltà del matrimonio alla abbiettezza peccaminosa della prostituzione.

Ma il Governo non deve mai procedere a casaccio, bensì secondo i casi, che offre il perpetuo svolgimento della sfera di vita umana.

La Storia dei Costumi ci mostra, come agli stati nella maggiore potenza, e probabilmente a cagione della medesima, (tanto è breve il tratto dalla potenza alla prepotenza e alla strafottenza, dalla retta volontà al folle arbitrio) accadde un pervertimento, una rivulsione sessuale. Così alla Serenissima Repubblica di Venezia occorse provvedere contro al dannoso predominio della masturbazione e della pederastia. Lo stesso pare ricorra nel sottosuolo immorale della granitica Germania pervasa dalla omosessualità. Che fece la Serenissima verso la fine del 1400 per richiamare la sua maschia gioventù alle vie indicate dalla natura figlia di Dio? Ordinò alle sue cortigiane di affacciarsi spettoracciate allettatrici dai balconi. Così Pompeo Gherardi Molmenti nella sua Storia della Vita Privata di Venezia 21a ediz. pag. 321. Anche a Lucca nel 1448 si instituì l'Ufizio dell'Onestà a punire i peccati contro natura e a ravvivare gli amori naturali.

E se non capitò al punto di un eccesso diverso forse fu ingiusto l'interdetto ricordato da Dante alle sfacciate donne fiorentine SYMBOL 190 \f "Symbol" \s 12¾ d'andar mostrando con le poppe il petto.

Ad ogni malattia il suo rimedio.

Napoleone I, genio della guerra, per amore e necessità dei soldati, coniò il regolamento celtico, sottomettendovi le femmine da conio.

Cavour, genio della nuova Italia, riparando all'epidemia celtica, che devastava le schiere giovanili accorrenti al compimento della libertà e dell'unità italiana, faceva rimodellare quel regolamento agli urgenti bisogni della nazione.

In che consiste sostanzialmente il suddetto regolamento?

Nel matricolare le femmine prezzolate per gli sfoghi sessuali ed astringerle a visita medica periodica, e se riconosciute infette, ritirarle dal commercio sottoponendole a cura coercitiva.

Fin qui il regolamento non fa una grinza; il relativo diritto va diritto a fil di spada. Se per la salute pubblica si proibisce al macellaio di vendere carni infette, a fortiori si può applicare la proibizione alle femmine contaminate, che la voce del popolo chiama coi nomi di vacche, troje ed altre bestie da macello.

Oltre ai benefizii della salute fisica, non manca chi ravvisa nella prostituzione ordinata i benefizii della salute morale. A questo proposito mi cadde sott'occhi nell'appendice di una gazzetta circondariale 'Paradossi idrostatici' (speciosa verità, dove vai qualche volta a ficcarti?) una bizzarra laude di un Doctor Malalingua a Santa Raab patrona delle meretrici. È dedicata ad una nuova Ninon de Lenclost 'amica sincera, amante infedele'. Con il ritornello 'per cinque lire' in quell'inno si loda (non ricordo precisamente i versi) Raab, meretrice di Gerico, e non solo per i meriti patriottici militari, per cui Dante, lasciata Taide puttana nell'inferno a graffiarsi con le unghie merdose, sublima, imparadisa Raab nel cielo luminoso di Venere facendola scintillare come raggio di sole in acqua mera.

Nell'inno non solo è vantato il merito storico di Raab che ricettando in sua casa gli esploratori favorò la prima gloria di Jousè in su la Terra Santa; ma è celebrato il suo merito attuale sociale.

Lo studente, il garzone vede in te rifulgere la bellezza di Eva nel Paradiso Terrestre; acqueta un'estasi per cinque lire.

E se ne parte senza responsabilità, scossa la polvere dai sandali, scossi i grilli dal cerebro, per cinque lire, aggiunta alla portinaia ruffiana la mancia di moneta invalida.

Così è risparmiata la virtù della innocente figlia dell'onesto operaio, e della giovane sposa del vetusto Conservatore delle ipoteche per cinque lire. Si evita una fabbrica pestilenziale di corna con cinque lire.

Quanto invece costa una seduzione! Spesso gronda lacrime e sangue. La corte di una damina si prolunga rovinosamente più dell'assedio di Troia. Crudeli infanticidii, fughe sciocche e calamitose, madri aspettanti nella preghiera o nella disperazione, padri che si inginocchiano o maledicono ai figli! suicidii, delitti... Tutti i disastri, che si evitano con cinque lire.

Fin qui l'inno. In prosa un prode e virtuoso generale, Alfonso La Marmora non credeva certamente, che la morale se ne andasse ad magnam meretricem, quando nel rapporto degli ufficiali, li consigliava paternamente: Fieui, andè a magne. Badate che i test...i non vi pesino mai di più che la testa.

Il senatore Giambattista Borelli, chirurgo di salutare prestigio, divisava nettamente l'alto benefizio di una Aspasia sensuale, intellettuale e spiritosa, che riposa, snebbia, consola e rallegra gli spiriti e i corpi affaticati dei grandi lavoratori della patria e dell'Umanità, e rintegra la forza sociale del maschio con la dolce e santa ebbrezza dell'eterno femminino, senza piagnistei di amanti, senza trafitture di gelosia e senza pezzuole ributtanti e puzzolenti di levatrici e nutrici.

Signori Studenti! Non bisogna però mai esagerare, e tanto meno tirare a generalità lo specialissimo sollievo di alcuni celibi necessarii come le api operaie.

Con tali esagerazioni ci dimostreremmo dammeno del ragionamento collettivo degli imenotteri fabbricatori di miele. La Società è profondamente complessa; la verità è infinitamente poliedrica; e la scienza deve procurare di rifletterne il maggior numero di faccette. Per la santa meretrice Raab della Sacra Scrittura o per la profumata esilarante intelligenza di Aspasia greca o di una principessa cosmopolita, non dobbiamo trascurare le giuste e sante nozze, fondamento della Società, seminarium reipublicae.

La prostituzione, tutto al più male necessario, ha i suoi effetti perniciosi, che bisogna ridurre ai minimi termini. I Regolamenti, che si proposero di riparare alla maggiore pernicie, ci riuscirono?

Pare di no, se ascoltiamo il grido di dolore e di protesta che si eleva e circola contro di essi dalla Patagonia alla Scandinavia.

Da noi si è pronunziata nettamente contro il Regolamento meretricio la Reale Commissione per lo Studio delle Questioni relative alla Prostituzione e ai provvedimenti per la Morale ed Igiene Pubblica, composta dei signori: Peruzzi comm. Ubaldino, deputato al Parlamento, presidente, ¾ Bertani dott. Agostino, deputato al Parlamento, ¾ Bianchi prof. Francesco consigliere di Stato, ¾ Casanova comm. avv. Giuseppe, capo di Divisione al Ministero dell'Interno, ¾ De Renzis barone Francesco, deputato al Parlamento, ¾ Giudici comm. Vittorio colonnello medico, deputato al Parlamento, SYMBOL 190 \f "Symbol" \s 12¾ Lucchini prof. avv. Odoardo, deputato al Parlamento, SYMBOL 190 \f "Symbol" \s 12¾ Mazzoni comm. prof. Costanzo, ¾ Patania dott. Carmelo, deputato al Parlamento, ¾ Pessina prof. Enrico, senatore del Regno, ¾ Villari prof. Pasquale, senatore del Regno, ¾ Pellizzari prof. Celso, segretario. Non si potrebbe immaginare un conserto più competente di ingegno, studio, ed amore del bene, dall'accortezza delle antiche repubbliche mercatanti alla fiamma di Gerolamo Savonarola, dal civilista al penalista, dall'ambulanza garibaldina alla tenda del R. Esercito, dall'eleganza del proverbio martelliano alla burocrazia più inchiostrata, dal numero all'idea, dal fucile al microscopio, dal Consiglio di Stato al laboratorio di Chimica, da una buona Camera a un bel Senato.

Ebbene tutto questo conflato di osservazione, di scienza e di coscienza è unanime nel denunziare gli orribili abusi, di cui fu capace l'applicazione del Regolamento.

Mentre lo Statuto del Regno e il Codice Civile garantiscono la libertà personale dei maggiorenni che non siano condannati al carcere e al manicomio, mentre si è persino abolita la cattura per debiti civili e commerciali, mentre si è tanto gridato contro la schiavitù negra d'America, ecco autorizzata dal nostro governo liberale e Nazionale, protetta dalla sacra maestà del braccio regio la tratta e la coercizione delle schiave bianche, lavoratrici organizzate della bellezza, lavoratrici del piacere, lavoratrici dell'amore. Onde il romanziere moralista Vittorio Bersezio può rettamente deplorare l'harem libero, che la civiltà europea consente alla libidine ricca di procurarsi specialmente nella miseria delle classi povere.

Abbiamo le meretrici di stato tra gli altri monopolii dello stato, come i sali, i tabacchi, la polvere pirica, i pallini da caccia, i francobolli, i tarocchi, e le altre carte da gioco; come potremo avere le ferrovie di Stato e il chinino di Stato. Intanto abbiamo l'infezione di Stato. Imperocché i sifilicomii governativi sono definiti dalla Regia Commissione centri di lenocinio, scuole di corruzione, fomiti di libertinaggio, esercizii di tribadismo, scarica di malanni, sentina di febbri, ergastolo fecondo di tifo e scabbia, sordido ricetto di bestie immonde.

L'infezione tocca pure i pubblici ufficiali, che impiegati a trattare turpitudini si deturpano. Nei sonetti del Fucini si contemplano le guardie briache addormentate in un casino, mentre in pescheria accadono zuffe mortali.

La maggiore turpitudine è segnalata nella recluta delle prostitute. Si comprende alla stregua del semplice buonsenso, che una donna maggiorenne, la quale voglia fare commercio del proprio corpo, sia assoggettata a certe regole di igiene, di cura e di decenza, e che si freni la spocchia di un pistoiese Canonico Pacchiani (vedi Guadagnoli dello Stiavelli) che sorpreso di notte a far gazzarra nella pubblica via con una donnaccia volle proclamarsi uomo libero con donna libera in terra libera.

Ma che per offrire carne fresca ai provetti consumatori, per fornire macchine di piacere ai loro organi viziati, l'autorità governativa dia forza legale ad associazioni di malfattori per la retata e la coscrizione di innocenti creature nell'esercito della mala vita, è un orrore. Inorridite, continenti! Inorridite, stelle, davanti a questo bolide. Il Comm. Bolis, benemerito e compianto direttore generale della Pubblica Sicurezza, attestò alla R. Commissione che si erano forzate alla disciplina delle meretrici vergini certe, che da tenenti postriboli si è mercanteggiata la verginità di fanciulle quindicenni e, più orrenda lacerazione della Natura, vennero insanguinate a prezzo dalla libidine fanciulle tuttavia acerbe, ignare del fiotto mestruo.

Oh! Società di sepolcri imbiancati, o menzogne convenzionali della Civiltà, o Italia, non donna di provincia, ma bordello

Neppure, secondo l'eloquenza dell'avv. prof. Ilarione Gioiazza larga di umorismo e di invettive, Nerina verso il termine dei suoi capricci per pianoforte poteva considerarsi vergine martire.

 




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