7 - Lacrime di amanti, associazione di
malfattori e polizia sanitaria dei costumi
Il professore Losati
e la Contessa De Ritz avevano fissate all'Albergo del Leon d'Oro due
stanze vicine, che potevano comunicare internamente, senza far sapere
esteriormente, che vivessero more uxorio. Ma quella sera indarno il
professore tentò una comunicazione con la stanza della Contessa, la quale aveva
chiusa la serratura dalla sua parte, ed aveva persino cacciato un cornetto di
carta nella toppa per evitare uno spionaggio indiscreto.
Il professore prudentemente
si astenne dal fare strepito per non suscitare uno scandalo tra i camerieri
accorrenti. Ma egli profondamente patriota, che nel suo cuore aveva eretto un
altare a tutte le benemerenze del Risorgimento Nazionale, e portava in palma di
mano l'eroismo del Regio Esercito, quella notte si rodette di invidia, di odio,
di gelosia, e di ingiustizia contra Piemonte Reale Cavalleria.
Egli applicava a quei
baldi apollinei ufficiali le strofette pungenti contra il Cadetto Militare dedicate
dal Guadagnoli appunto ad una Nerina; e li impersonava nell'attillatino
vanerello, che correggeva l'architettura naturale qual femmina SYMBOL
190 \f "Symbol" \s 12¾ ristretto SYMBOL
190 \f "Symbol" \s 12¾ dentro al busto e colmo il
petto. Onde
esclamava, come il bernesco gonfaloniere, il quale aveva chiuso le porte
d'Arezzo in petto a Garibaldi perseguitato nella ritirata da Roma:
Bella
Italia! i grandi eroi
che
vi fur prima di Voi
Non
con veste che imbottita
Senza
grinze il fianco serra
Difendean
la patria terra.
Ma poco per volta il
professore si persuase come era ingiusta l'applicazione della figura del Cadetto
Militare, propria della fiaccona lorenese del 1829 a Piemonte Reale
Cavalleria del 1873. Oh questi prodi non erano di quei tali, che l'amor
consister fanno nel consumo degli stivali... Lo sente egli... purtroppo. Ma
che purtroppo? Né meno si poteva dire del loro acciaro, che avesse macchia sol
di ruggine.
Penetrando i primi
albori nella sua stanza, lo specchio dell'armoire a glace fu per lui
quale il magico scudo, che fece vedere la propria ignavia e turpitudine e le
brutture morali di Armida a Rinaldo della Gerusalemme liberata.
Egli ragricciandosi
in un angolo del letto vide l'abisso, a cui lo trascinava il folle amore di
Nerina.
E dove poco prima nel
furore della gelosia avrebbe voluto infilzare allo spiedo tutti quei formosi ed
aitanti ufficiali di cavalleria, ora quasi li benediceva enfaticamente: ¾ Gloria e
grazie a Voi, che avete concorso a liberare l'Italia, ed ora concorrete a
liberare me!
Ruminando la
suggestiva lettura di Formidabile nell'appendice dell'Eco di
Trentacelle, sentiva ingrandirsi propositi di liberazione e di rivalsa.
Così potrà ancora
lavorare energicamente per la patria, per la religione, per la civiltà e per la
famiglia, (senza onestà personale privata non si possono compiere imprese
gloriose ed oneste neppure per il pubblico). Così potrà ritornare beato,
puramente beato dell'amore di sua moglie specchiantesi nella sua bambina
Cecchina come la Madonna nel bambino Gesù.
Ah! Lorenzina, la sua
unica Lorenzina!... che divario dalla contessa ecatomfila!...
Nella fantasia
erudita gli ritornava un parallelo tra la sua fedele consorte, e la traditrice
amante, a cui gli amori si potevano contare numerosi come quelli del Batillo di
Anacreonte da lui stesso tradotto:
«Se
contar tutti degli alberi
Ti è
concesso i rami, e l'onde
Che
mugghianti alle sue sponde
Volve
l'ampio, azzurro mar,
Tu
gli amori, per cui struggomi
Or
t'appresta a numerar...»
«Trentacinque amori
teneri in Atene; indicibili a Corinto... ¾ Tra le
donne dell'Acaia ¾ sempre
sua Beltà regnò ¾ Mille in
Caria e in Ionia; mille altri in Lesbo e in Rodi». Si devono anche contare
quelli di Canopo, della Siria, e della fertile «Creta, sacro onor del mare ¾ dove il
Dio, che saettare ¾ gode
l'alme, un poter ha ¾ cui
devoti tutti inchinano nelle cento sue città». Da aggiungersi nella confessione
i molti SYMBOL
190 \f "Symbol" \s 12¾ d'Oltre Calpe dolci amor SYMBOL
190 \f "Symbol" \s 12¾ e quei di Battro e India SYMBOL
190 \f "Symbol" \s 12¾ che mi albergano nel cor...
Che farne di
quell'enciclopedia amorosa?... È una grazia avere il diritto di sbarazzarsene,
e l'opportunità di farne un regalo gradito.
Sia sempre lodata
l'ufficialità di Piemonte Reale Cavalleria...
Ma gli perdonerà Lorenzina,
scoprendo il suo inganno? Gli ritornava un altro classico parallelo tra la
bellezza di Nerina, una di quelle bellezze pagane, arroganti, che dalla vita
impararono l'offendere e non il sopportare l'offese, e la bellezza della sua
Lorenzina, bellezza di Psiche cristiana ed operaia.
Al peggio la moglie
di Losati, scoprendo la prolungata offesa e la diserzione di lui recidiva,
rassembrerà alla prima Psiche di Pietro Tenerani descritta da Pietro Giordani:
«Ella viene in questo affanno fiero novissima, poiché era tanto inesperta di
patire quanto di offendere, e nella mente confusa da questa prima ed improvvisa
percossa, va cercando trasognata perché tante care dolcezze fuggirono. Ella
taciturna e a capo chino, pensosa, spenta ogni allegrezza che riluceva in
quell'angelico volto, né al Cielo né agli uomini chiede vendetta, neppure aiuto
e pietà. E però maggiore pietà ne incuora la rea fortuna di questa cara
innocente.»
Così una grande pietà
assalse il professore Losati per la sua Lorenzina, a cui sentiva che lo
riavvicinavano poderose correnti telepatiche, psicopatiche.
E così egli deliberò
irremissibilmente la separazione definitiva dalla Contessa. Questa
nell'ebbrezza dello sciampagna non si era accorta dapprima che si era
sostituito l'uno all'altro ufficiale; onde essa avrebbe potuto ripetere la
scusa di una anacreontica epigrammatica del Ghislanzoni insegnatale a memoria
dall'avv. prof. Gioiazza: Ma qui fa tanto scuro, SYMBOL
190 \f "Symbol" \s 12¾ ch'io t'ho chiamato Arturo SYMBOL
190 \f "Symbol" \s 12¾ invece di Pasqual.
Invece della celia,
essa provò un'iracondia maledetta.
Con gesti protesi da
Semiramide imperatrice offensa, col veleno dell'aspide di Cleopatra, essa
sibilò: ¾ Via!
via! ¾ Per non
suscitare scandali, cacciò lestamente, chetamente quel surrogante militare; poi
fantasma fremente si avventò per ischiudere l'uscio del professore
Se la chiave della
serratura era nella stanza della contessa, un nottolino era nella stanza del
professore, ed egli aveva avuto cura di sprangarlo, appena fermata l'eroica
risoluzione di licenziare Nerina. Ora come uomo, che felicemente piantato
ripianta, mulinava con leggiero sarcasmo il verso di Dante:
Cotal qual io la
lascio a maggior bando.
Inutilmente la
Contessa si adoperava ad ottenere l'ingresso da quell'uscio con la raspatura di
cagna famelica o con la graffiatura di cagna leziosa.
Il classico
professore si manteneva inesorabile con il veto di un tribuno romano,
con il non possumus di un romano pontefice.
Nerina si inchinò a
chiamarlo al buco della serratura, e lo ottenne per isputacchiargli: ¾ Spirito
del demonio! Piuttosto che averti amato, preferirei essermi prostituita...
Il professore,
dapprima gravemente stordito, rispose: ¾ Non dica
così! Chi sa che cosa può riservarle l'avvenire?
L'avv. Gioiazza in
simile contingenza avrebbe risposto più lepidamente: ¾ Non dico «così sia!».
* * *
La Contessa trovò sul
tavolino da notte un foglio dell'Eco di Trentacelle lasciatole da un
ufficiale di Piemonte Reale Cavalleria; e lesse avidamente come una rivelazione
l'appendice «Formidabile».
Il programma di santificazione
dopo tanti peccati le parve sublime. Sentì un repetio per il Ritiro del Santo
Oblio. Per fare una confessione generale avrebbe dovuto impiegare parecchi
anni ginocchioni. Intanto è più comodo sentire una messa, che può valere
Parigi.
Tratto dalla sua
valigia un velo nero, essa si incamminò alla vicina chiesa di S. Cristoforo,
che in quell'istante tra una funzione e l'altra era vuota. La visita a una
chiesa solitaria dà all'anima predisposta l'impressione che gli archi
convergano per lei, i ceri e le lampade ardano di tremula attraenza per lei.
Invece alla inesausta peccatrice parve si avvicinassero le enormi culatte dei
cavalli nella crocifissione di Gaudenzio Ferrari; e minacciassero di sprangarle
calci sui denti; quelle grinte barbute di giudei lanceolati si ravvivano nello
stupendo affresco per trafiggerla barbaramente.
Essa si inginocchiò
tramortita, e vide scuramente: Dante credette; credeva Manzoni, cervelli
sublimi; ed il mio cervelletto non sa, non può credere Dio, se c'è Dio, mi
diede forme, voglie, capricci; e non mi diede cuore... Sono una bestia nociva
da uccidere... Una serpe in gonnella da schiacciare... Ma finché viva...
E si allontanò dalla
chiesa con una orrenda psicologia.
Ritornò all'albergo;
e questa volta bussò all'uscio esteriore della stanza di Losati.
Egli venne ad aprire;
e vedendosi comparire la traditrice col velo di devota, immaginò le maggiori
insidie e si armò di fiere ripulse. Calcò la barba irsuta sul petto: i ricci
dei suoi capelli parevano punte di porcospino. Infine lo si sentì dire con voce
grossa: ¾
Anfen, mi d'chila, sora Contessa, i veui pì nen saveine!
Quelle parole furono
pienamente intese dall'ottima di lui consorte, che in quel punto entrava come a
miracolosamente premiarlo, seguita dal gigantesco signor Baciccia rispettivo
padre e suocero. Questi portava in braccio quel bombonino, quell'amorino
di Cecchina.
La Contessa, dopo
aver finto di tentare l'uscio interno, uscì sbatacchiando l'uscio esteriore.
Il classico
professore voleva dirle, come la botte all'erpice: senza ritorno.
Invece proruppe in un
fiotto di lacrime.
Quella notte aveva
già pianto nell'aspettazione dell'aurora del giorno, che si aveva in testa e
nel cuore.
A somiglianza dei
bambini, che in un bel prato di mattino vedendo le goccie di rugiada per
riflessione brillare tanto di colori vaghi e diversi, si adirano seco stessi di
toccare acqua e non perle, così egli aveva pianto lacrime adirate.
Ora invece sente di
toccare perle e non acqua, piangendo lacrime di consolazione, marito ridivenuto
angelicamente amante della amantissima moglie.
Oh il compiuto
idillio che egli poté ritessere a Trentacelle!
A lui, a lei, al sor
Bacciccia parvero più sacre le bellezze artistiche e storiche di Trentacelle,
ora che potevano rigoderle nella pienezza di una riconsacrazione familiare con
l'angioletta Cecchina. Il professore, che non poteva più capire nella pelle
dalla galloria dell'essersi liberato di Nerina, volle pure celebrare un idillio
nuziale con la sua, tutta sua Lorenzina nello stambugio di legno impiccatojo
dell'antico tenente pensione Don Arrigosti.
Sor Bacciccia ordinò
pasti luculliani al Leon d'oro, quantunque gli paresse, che non si
mangiava più carne tenera e succulenta a Trentacelle, dopo che egli aveva
rimesso il suo Macello gentile.
Alla cena della
partenza venne invitato Don Arrigosti però in camera charitatis siccome
quegli che era divenuto famoso per le sue sbornie, tanto che la via di sua
abitazione da secoli detta dell'Arcivescovado, era stata popolarmente
ribattezzata in onor suo Contrada delle scimmie. Ed egli bevve così
allegramente e copiosamente da ballare sotto la tavola.
Non mancarono i
commenti nella pettegola città di provincia sul cambiamento di moglie operato a
vista dal professore esaminatore.
Ma l'Eco massonica
tacque, cestinando un pepato bozzetto di doctor Malalingua, per essere il
Losati fiore di liberale e patriota. E l'Aquila di Costantino, organo
della Curia clericale, ringuainò gli artigli contro gli scandali di un
missionario del Governo immorale ed usurpatore, per tema che si bocciasse il
drappello di chierici e monache agli esami normali e magistrali.
* * *
La Contessa De Ritz,
scacciata dai felici Losati, giocata, tradita dai baldi ufficiali di Piemonte
Reale Cavalleria, si trovò discesa di un gradino nella sua vita avventurosa.
Finora essa era sempre stata attiva nei tradimenti; ora cominciava a diventare
passiva e ne sentiva l'umiliazione rodente. Da giovinetta aveva tradito la
memoria della madre, il padre e numerosi amanti; maritata aveva tradito
nell'indissolubilità cattolica un marito di fede adamantina, annichilendo un
eroe liberale; aveva poi tradito un altro marito, che le si era congiunto nel
rito greco scismatico, e in lui aveva spezzato uno scrittore di celebrità
europea; e contemporaneamente aveva tradito e piantato amanti a iosa.
Ora invece servì
involontariamente di giostra ad ignoto campione; e venne licenziata da un
gramuffa stronzolo in presenza della costui lercia famiglia.
Oh! avere tutti i
fulmini di Giove, da sbatterli come serpenti avvelenati sulle faccie del
tradimento!
Essa si sarebbe data
ai cani, pur di saziarsi nella vendetta. Si ricordava di un proverbio citato
nelle noiosissime conferenze tête a tête di quel parolaio pedante: «Con
la pelle del cane si sana la morditura, e vendetta di cent'anni ha ancora i
lattaiuoli.» ¾ Sì,
pedante dei miei stivaletti, diventerò magari per te megera centenaria, pur di
arrivare a stracciarti la pelle. Intanto va a farti scrivere te e i tuoi
noiosissimi dialoghi di un cervello celebre con la penna, goffamente
pretendendo di superare il Leopardi.
Quanto a Voi, baldi
ufficiali, sono capace di riacquistare e riarmare l'un dopo l'altro, i miei
mariti e spingerli alla vostra onta e strage. Così se la vostra Dea
Reggimentale, la Formidabile per burla, facezia da prete, ha brindato: «Viva
Piemonte Reale! e abbasso i mariti!» io canterò sulla sua bella faccia e
canterò sulle vostre faccie brutte: «Viva i Mariti ed abbasso Piemonte Reale!»
La Contessa De Ritz
non ebbe uopo di ricorrere ai mariti per risolvere quella sua situazione
deserta del Leon d'oro. La sua bellezza, purché fosse per un istante ritenuta,
esercitava ancora prodigii di attraenza. Ne fu prova il copioso epistolario di
amorose dichiarazioni, che le piovve in quello stesso albergo. C'era da fare
una nuova edizione del Segretario Galante.
Sono innumerevoli i
deviamenti, che cagiona nella vita sociale l'attraenza della Bellezza viziosa.
Strappa studenti agli studî e agli esami, rovina le economie dei padri, le
sante speranze alle madri; a un agiato negoziante fa dimenticare la numerosa
famiglia e vent'anni di probo commercio; fa che un vedovo spogli e abbandoni le
figlie da maritare; deraglia tutti dai propri doveri.
Tutte le classi erano
rappresentate nelle proposte di amore fatte alla Contessa De Ritz, la cui
bellezza pareva perfezionata divinamente dai plasmi delle avventure ed acuita
preziosamente dal mistero di una superiorità indiscussa.
Chi si era innamorato,
ammirandola a teatro. Chi sarebbe caduto in ginocchi vedendola uscire di
Chiesa.
In tutte quelle
lettere gocciolavano lacrime calde commoventi di amanti sinceri.
Essa si fermò
preferibilmente su queste pagine erotiche: «Fiore di bellezza, fiore dell'anima
mia! Señora de mi alma y de mi vida señora de mis ojos y de mi alma, señora mia
de mi corazon, señora mia de mi bida (Vedi Carteggio di Carlo Emanuele I alla
Serenissima Infante sua Reale Consorte). Che cosa è questo cuore, che si
rinvergina, questa macchina, che sussulta nell'ispirazione di una nuova aura
floreale? Perché dopo le scettiche irrisioni, dopo gli sprezzi filosofici
ritorniamo fanciulli? periodicamente fanciulli?
Fra le chiacchiere
pornografiche dei buoni amici buontemponi si eleva il sentimento purificatore.
Mi batte il cuore come in un idillio di Beatrice fanciulla.
Basta una figura
sorridente di bellezza inaudita, non mai vista. Non so ancora precisamente chi
ella sia.
So che è bionda e
flessuosa, come una Dea del Settentrione e ha la gagliarda maestà di una
bellezza schiettamente romana. Ella è una autentica matrona con lo slancio
della modernità. È fiera ed angelica. Dapprima la commentai salacemente fra
amici. Ma tosto quei commenti mi sembrarono irriverenti, sacrileghi...
Che stranezze! Dopo
avere pienamente, intimamente conosciute altre beltà in tutte le loro forze, in
tutti i loro abbandoni, dà un'emozione religiosa pur la vicinanza di una
bellezza nuova straordinaria. Il nostro cuoricino emette il pigolio del
rondinino, che lascia per la prima volta il nido volando tremulo, incerto sugli
effluvii di maggio.
Ignoto la vidi
accompagnata al Caffè, al Teatro, all'Albergo...
Ieri sera
contemplandola sola alla Birreria, presunsi essere suo conoscente. Parendomi
che Ella cercasse giornali illustrati, io mi permisi di offrirle il Fischietto
da me tenuto in mano. Essa accettò graziosamente la mia offerta del foglio,
e quando Ella volle restituirmelo, sentii che quel giornale tocco da lei
l'avrei conservato per tutta la vita. E lo rubai alla Birreria. Che musica
quella della sua voce nel dirmi grazie. Grazie a Lei, o bella Signora, che ha
ridato un fiore alla mia anima, grazie al tuo sorriso, che mi ha ricordato un
angelo forse intravveduto in una vita anteriore.
Musica allegra e
dignitosa della tua voce, chi sa se ti sentirò ancora? Se ti parlerò...?
Dipende da te, da Lei.
Forse sarebbe per me
più prudente, terminare qui tosto questo romanzo più che ideale; contentarsi
del fiore, senza aspettare il frutto che marcirà. Ma è possibile restare
ideali, anche a costo che il riconoscimento della nostra idealità ne renda
ridicoli a noi stessi?
È mio destino
terminare una lettera lealmente patetica con un tentativo di felice umorismo.
Devo recarmi a Genova
a ricevere un bastimento di medicinali e coloniali.
Vuol venire con me?
Io sono il suo ardente servitore
Doctor Malalingua
Chimico farmacista
Evasio Frappa»
Nerina soffusa di
curiosità capricciosa diede la preferenza all'umorista foderato di patetico. Ma
è dunque inesauribile la serie dei Capricci per pianoforte?! Eccole dinnanzi la
specialità inesplorata dell'amore maledico. Amare una malalingua, un umorista
di celebrità provinciale, inedita per il resto del mondo. È una varietà di
Gioiazza, una varietà più cinica, anzi più brutale, in quanto che nella scala
dei bruti il porco sia superiore al cane.
Difatti l'intercalare
passionale di Evasio Frappa era: ¾ Dimmi
che sono un porco.
Ma nella brutalità
eravi pure l'ingenuità animale. Non quelle promesse di amore eterno proprie
della menzogna umana.
Tanto meno il disegno
pazzo di un nuovo matrimonio, annullati i precedenti in oga magoga. Anzi il
farmacista Frappa a Genova nell'attesa dell'imminente bastimento di coloniali e
medicinali, cenando allegro in un ristorante dell'Acquasola, e lodando lei
della natura allegra, le regalava la primizia di questi Paradossi
Idrostatici del Doctor Malalingua autore delle Cacature di Mosca:
«Il matrimonio è un'indecenza (lo si capisce con evidenza apodittica pel suo
scopo intimo palese). Il matrimonio è una schiavitù; sarebbe come obbligare una
persona a mangiare per tutta la vita nella stessa trattoria. Il matrimonio è
un'impostura solenne, perché copre con la lustra di un contratto civile e di
una santa benedizione il sottointeso di perenni porcherie, che finiscono di
stomacare anche gli stomaci meno deboli».
Nerina, che si era
meritato da doctor Malalingua il complimento di natura allegra, con la sua
volubilità di risorse non mai finite si rannuvolò di un tratto, ed uscì dalla
nuvola come una preziosa compunta d'amore riportando con un sospiro la
definizione della mascherata linguistica: ¾ Ah! il
matrimonio è l'amour permis.
Il farmacopola
spaventato che gli si spiegasse dinnanzi la carte du tendre, si affrettò
a levar le berze da quella geographie d' l'amour; ed annunziato, che gli
era finalmente arrivato il bastimento carico di generi coloniali e medicinali,
da cui per suo conto ritirava e spediva a Trentacelle due sacchi e quattro
pacchi, si affrettò a scortare la spedizione. Ma prima con quella serietà di
precisione contabile, che è prerogativa di certi buffi, volle delicatamente
liquidare i suoi conti con la contessa.
Con una sostenuta
politezza e franchezza, la pregò di accettare per suo piccolo ricordo un
ciondolo di rarità numismatica, una pezza d'oro di lire cento del quarantotto
recante il motto: Italia libera SYMBOL
190 \f "Symbol" \s 12¾ Dio lo vuole.
E visto accettato il
dono senza smorfie, egli stesso sentì una divina liberazione, per cui
postergando anche lui il rammarico di staccarsi da tanta bellezza
straordinaria, volle tuttavia aggiungerle il regalo del suo cinismo
linguacciuto: ¾ Cara
Nerina, gli idealismi sono spostati in questa epoca, in cui si va perdendo il
senso morale, onde sparisce il rimorso del mal fare. Ci incamminiamo a tale
epoca, in cui le più felici coppie, i matrimonii meglio assortiti saranno
assolutamente associazioni di malfattori.
Nerina, forse per la
prima volta convinta da un uomo e da una situazione, accettò la pezza da cento
lire, non come ciondolo, ma come moneta.
Essa finora era
vissuta, come i personaggi della Divina Commedia di Dante, senza preoccuparsi
dei quattrini. I quattrini per lei aveva primieramente provveduto il padre suo,
poi il primo marito, poi l'amante secondo marito in partibus infidelium,
quindi all'uscita del Santo Oblio di nuovo il padre, che non voleva ella
rimanesse a carico dei buoni Losati. Spese enormi avevano fatto per lei ricchi
perdutamente di lei innamorati in varii gradi di latitudine e longitudine
terrestre. Ma, quantunque il ticchio della lautezza borsuale non le fosse mai
mancato con una istintiva accortezza, cionondimeno non c'era mai stata ombra
apparente di mercimonio.
Ora con
l'accettazione della pezza da cento si sentiva discesa di un altro gradino. E
si vedeva dinnanzi molti altri gradini da scendere, per la prosaica necessità
del pane e del companatico quotidiano.
I personaggi di
Dante, eccetto il conte Ugolino e complice, non mangiano. Essa sì; ed anche si
veste, cosa di cui parecchi peccatori e parecchie peccatrici della Divina
Commedia fanno a meno, o si aggiustano, senza ricevere la nota del sarto o
della sarta per le cappe aurate di piombo ecc.
Per mangiare e
vestire a questo mondo ci vuole pecunia. Ricorrere al padre no; perché il padre
è tomo da ricacciarla in un chiostro anche lontano. E questo programma è troppo
pericoloso per la libertà dei suoi capricci, a cui sempre più vorticosamente
essa ci tiene.
Costituirsi sotto il
giogo coniugale del primo o del secondo marito farebbe maggiormente a pugni con
la vocazione del libertinaggio spinto oramai agli estremi limiti.
Nella infinita
processione del suo cervello passa come un'orezza l'idea della Beltà, valore
giuridico, industriale.
Se per i bisogni
indeclinabili della natura umana, anche i sacerdoti di Dio si fanno pagare,
perché non si dovranno pagare i favori delle Dee?
La lettura del
profilo di Formidabile, Dea Reggimentale, fu molto suggestiva per lei; e
vieppiù suggestiva la conoscenza dell'autore. Ma non ella inquadrerà i
biglietti da cento.
Per vestirsi pagando
onestamente la sarta, bisogna svestirsi disonestamente a pagamento.
È una idea di infamia
granitica economica, che si eleva sulle antiche sofferenze e crudeltà
cardiache, da cui Dio scampi pure il prossimo!
Fino allora essa non
aveva considerato l'amore come cosa seria; lo aveva tenuto in conto di un
divertimento, come il giuoco, come l'andare a teatro o a passeggio. Ora
concepisce l'amore come una serietà finanziaria, che si accorda con il
materialismo storico, per cui anche le rivoluzioni più ideali si addebitano a
movimento di interessi, e si accorda con la norma dei costumi, per cui anche il
rispetto più sacro, quello dovuto ai genitori, si commisura alla ricchezza e
all'apparenza della ricchezza. Nerina, che si era primieramente maritata per
una presentazione fattale al Caffè San Carlo, ricorda precisamente che Teodoro
Mandibola, divenuto basso profondo acclamato a Torino, ricevette molto
sostenutamente tra gli specchi dorati di quel Caffè il padre suo contadino, che
mediante sacrifizii lo aveva fatto studiare, e quando lo ebbe congedato, disse
ai compagni bellimbusti: a l'e il me massè! (il mio mezzadro).
Dunque lusso,
ricchezza for ever, per sempre. Onde procacciarsi ricchezza e lusso
occorrono intermediarii anche alla bellezza mercantile. Coloro che vogliono
escludere affatto le mediazioni dai negozii umani, non conoscono la compagine
della umanità, che è tutta una trama di infiniti rapporti. Le mediazioni devono
riempire le crepe, far ponti, e non far gobbe; ma sono necessarie alle
transazioni umane e anche a quelle d'amore.
Il ruffianesimo, se
ha un posto distinto nell'Inferno di Dante, è nella vita tra le più
riguardevoli fonti di ricchezza. Esso si intreccia ad altri baratti e se ne fa
coperchio.
A Genova alla Salita
dell'Imalaja, N. 69 rosso, interno 12, fioriva una cospicua Agenzia, che in
altro tempo e in altra località si era pure occupata di ingaggiare ingegni e
studi letterarii per lo sfruttamento attivo del Signor Gravet-
Negrier. Ed era precisamente dessa, che aveva spedito il letterato
Adriano Meraldi alla fortuna letteraria di Parigi. Ora funzionava in ispecial
modo nel ramo erotico, occupandosi principalmente di procurare coppe d'amore
alla sete ardente degli ammiragli lussuriosi e dei baldi ufficiali di marina
che stazionavano nel porto, dopo una lunga navigazione.
L'ammiraglio inglese
Sir James Thoptson aveva il ticchio di rifare il celebre Nelson non solo nelle
vittorie navali, ma altresì nelle conquiste amorose.
Vide, come in un
baleno, la Contessa De Ritz alla passeggiata dell'Acquasola, e gli parve di
veder sfolgorare Emma Liona rediviva. Si persuase di potere con Lei disporre di
regni... E si rivolse all'accreditata agenzia della Salita dell'Imalaia.
Il direttore
dell'agenzia fece il caso molto difficile. Si trattava niente meno che di una
bellezza europea ed asiatica, moglie separata di un eroe garibaldino, nobile
conte ed onorevole deputato al Parlamento Italiano, e moglie scismatica di uno
scrittore di fama mondiale. Anche non ci fosse stato di mezzo il matrimonio
scismatico ricordiamo: non si gloriava il visconte Boissy d'Anglas pari di
Francia, non si gloriava di presentare la Contessa Guiccioli sua moglie in
seconde nozze come ci- devant maitresse di
Giorgio Byron?
L'ammiraglio inglese
offriva come prezzo morale inestimabile la gloria di un nuovo Nelson. L'agente
traccheggiò fino a che riuscì a conteggiare immoralmente un determinato
centinaio di sterline, di cui la maggiore parte restò attaccata alle sue
unghie.
L'ammiraglio Thoptson
era un eccentrico, che oltre alla gloria marinara, pregiava altamente la forma
della Diva e la franchezza del costei spirito.
Avendo domandato a
Nerina: «Siete maritata?» si sentì rispondere: «Non più! I matrimonii sono
associazioni di malfattori. Ed io sono onesta.»
Questa risposta al
buon ammiraglio parve il non plus ultra della sublimità spiritosa.
Avrebbe voluto impiccare per lei alla più alta antenna della nave ammiraglia il
più eloquente oratore del Regno Unito.
Dovendo egli salpare
dal porto di Genova per il Canadà, profferse di condurre con sé Nerina
offrendole l'impero della bellezza del Nuovo Mondo ancora da Lei inesplorato.
Nerina, già
conquistatrice di Europa e di Terra Santa, avrebbe accettato il patto del
miraggio.
Non la tratteneva la
tribù dei minuti amanti, che erano pullulati intorno all'albero gigantesco
dell'amore ammiraglio. Lacrime d'amanti non sono diamanti. Anzi erano diventate
ridicole, incalcolabili ossia da non calcolarsi, quantités negligeables,
le lacrime di questi piccoli amanti, pesciolini di rimpetto a una balena.
Che importa uno
studentello, precipite da un tetto, suicida di forsennato amore per lei? Che
importa davanti alla prospettiva di divenire grassa gigantessa di ciccia soda,
ed essere comperata a peso d'oro da un principe di Kabul, come Lola Montes, la
zingara fattucchiera d'amore?
Che importa se
qualche impiegatuccio, qualche mozzo muore di fame per pagarsi un po' di Lei?
Essa pretende che i suoi umili adoratori le dicano: Ave Cesarina; i
morituri ti inchinano. N'è dolce il sacrifizio di morire di fame per te.
Avanti, ammiraglio!
Ti seguo nella traversata dell'Atlantico, anche se l'oceano ondeggi tutto di
lacrime dei miei amanti abbandonati alla disperazione per me.
Chi la trattiene a
Genova non è un amante né all'ingrosso, né al minuto. È un dispettoso del suo
amore. È il baroncino Svembaldo Svolazzini, la cui Gilda, di origine artigiana,
si era perfettamente baronificata, come se discendesse da una baronia delle
Crociate.
Che modelli di
coniugi (marito amante della moglie e moglie amante del marito) erano Svembaldo
e Gilda!
Svembaldo era
Direttore amministrativo della Acciajeria Amaldi di San Pier d'Arena; e
rappresentava a perfezione il tipo del padrone delle ferriere romanzato
da Giorgio Ohnet. In tanta desolazione di fallimenti morali ed amorosi, è
consolante fermarci su questa immagine reale di idealità.
Per un rarissimo
privilegio di tempra adamantina egli aveva potuto conservare nella virilità i
purissimi ideali dell'adolescenza. Aveva creduto vedere, che Gilda, solo Gilda
sarebbe stata la degna collaboratrice della sua vita; e in tale fede si
confermò con la più salda ed immacolata costanza.
Bisogna dire, che
Gilda fece di tutto per associarsi a lui in quel tipo di coniugio. Bambina si
era un po' indugiata a guardare il girasole di Adriano Meraldi. Ma ora è
profondamente persuasa, che Svembaldo è un sole in paragone di quel girasole.
Egli, benché figlio
di ricco e superbo barone, ha prediletta lei povera figliuola di un umile
falegname; ed ha continuato ad amarla con un attaccamento maraviglioso, benché
spedito alla caccia nell'India per lo scopo di allontanarlo da lei; egli l'ha
rintracciata al Ritiro, alla purificazione del Sant'Oblio, e l'ha estratta di
là, per farla sua, per farla consorte del più esemplare barone della
cristianità nella modernità operosa. Gilda ha nella sua coscienza una
rettitudine superiore a quella della pialla e della squadra di suo padre; e
sente, che sarebbe un mostro orribile di stortura, se mancasse per un bruscolo
a quel dovere colossale di riconoscenza. Per ciò si studia di farsi ogni giorno
più bella, più elegante, più savia e più spiritosa all'unico fine di allietare
i giorni del suo sposo, e quando può annunciargli con sicurezza la prossimità
di un lieto evento, gli promette: voglio fartelo così grazioso, così bombonin,
da intenerire la dignità di tuo padre e il contegno della tua signora mamma.
Egli le gittò le
braccia al collo, e la baciò con estasi lunga, proclamandola santa, santa,
santa.
Quella beatitudine
coniugale gli rendeva più lucida la mente, più solido il carattere, più
elastica l'attività, lo rendeva un valore aureo crescente anche
nell'acciajeria. Lo sollevava più nobile col blasone del lavoro.
Soltanto il vero,
degno, santo amore resiste alla seduzione dei sensi peccaminosi.
Indarno Nerina
imperatrice dei sensi peccaminosi cerca di accivettare Svembaldo; indarno essa
ha rinunziato alla conquista dell'America per conquistare lui. Egli si mostra incorruttibile,
come l'angelo più vicino alla Divinità; imprendibile come una fortezza fatata.
Eppure Nerina non
rinunzia ad avvincere anche lui. Niun personaggio della vecchia Europa e
dell'Asia Minore le ha finora resistito. Che il giovane Svembaldo rimanga unico
invitto nella vecchia Europa? che egli sia maggiore dell'Asia minore? Gli manda
messaggi difilati, sinuosi, ardenti, uncinanti, appiccaticci.
Affitta un
quartierino dirimpetto all'alloggio di lui; lo specula; lo occhieggia; lo
occhialineggia; lo persegue; gli fa da sentinella; gli soffia motti audaci,
inviti affascinanti, paroline tenerissime. Lo rasenta fino a fargli tastare la
sofficità calda, pungente del suo plasma di Dea. Invano, sempre invano.
Pur Nerina non cessa
dall'assedio e dalla persecuzione.
La giovane baronessa
Gilda sta per uscire armata di tutta la forza, che le dà il diritto più sacro
alla difesa. Ma il marito la scongiura a non insudiciarsi al contatto di quella
perduta; e per liberarsi dagli incessanti attentati dell'impudica persecutrice,
minaccia di ricorrere alla Questura; pensa che deve finire col ricorrervi.
* * *
Fu una coincidenza,
poiché per lo stesso soggetto, per cui pensava di ricorrere alla Questura una
perla di galantuomo, si rivolgeva una schiuma di lerci ribaldi alla Questura,
che nel regno d'Italia era legalmente incaricata non pure di tutelare la
pubblica sicurezza della civile cittadinanza, ma di organizzare e costringere
il più turpe e barbaro carnaio del vizio.
Una volta si
muovevano la Massoneria e il gesuitismo per restituire la Contessa Nerina al
padre e al marito legittimo. Ora è succeduta la fatale combinazione della
probabile denuncia di un perfetto gentiluomo e della trama di sordidi
malfattori. Mentre gli onesti procedono spesso apertamente isolati, i malfattori
si associano nell'ombra. Vere associazioni di malfattori si addensavano per
acchiappare nella più vergognosa ragna la contessa Nerina, ed attrarla
all'ultima perdizione.
Essa con la sua
audacia capricciosa tende ad evolversi, evolversi, per innalzarsi
infinitamente. E non si accorge di precipitare nella più cupa e fetida
profondità.
Siccome il vero
romanzo è una storia dei costumi, ed il romanziere verista deve lasciar parlare
le persone e gli avvenimenti e, secondo una nota formola, deve guardarsi dallo
scoprirsi, a similitudine della Corona nel governo costituzionale, così invece
delle nostre considerazioni, riportiamo un ristretto delle dispense scolastiche
di Ilarione Gioiazza, che è pure un personaggio del nostro racconto.
Egli non trovando mai
il tempo di divenire ammalato, oltre a tenere uno studio fiorente di avvocato,
anzi di avvocatissimo, vinse un famoso concorso di dottore aggregato alla
facoltà di giurisprudenza della Università di Torino, e da libero docente
promosso a straordinario ebbe indi a poco quale titolare la cattedra di
medicina legale all'Università di Catania. Ma non gli convenne accettarla; e
seguendo l'andazzo legale di accrescere i corsi liberi per ispremere maggiore
quantità di quattrini dagli studenti coatti moralmente; egli inaugurò un corso
speciale sulla polizia sanitaria dei costumi nella stessa capitale delle
antiche provincie.
Noi diamo appunto un
tratto delle sue relative lezioni stenografate e poligrafate.
«Lo dirò, anche avessero
a gongolarne i clericali e gli altri nemici dell'Unità e della Libertà
Italiana, che (si intende i nemici) il Diavolo se li porti. Il vero, sì, che
nel 1859 e nel 1860, durante l'orgasmo di fare l'Italia libera ed una, gli
italiani e le italiane si amarono troppo, si amarono tanto che produssero una
spaventosa diffusione di lue venerea specialmente nel regio esercito e nel
corpo dei volontarii.
Se ne impensierì
lodevolmente quel testone del Conte di Cavour, che badava a tutto; ed incaricò
l'intemerato ed oculato sifilografo prof. Casimiro Sperino di allestire alla
lesta un regolamento sulla Prostituzione, che è il famigerato regolamento del
15 febbraio 1860, contro cui si appuntano i picconi demolitori dei moralisti,
degli igienisti, dei giureconsulti e degli apostoli d'ambo i sessi.
È perniciosa la
schifiltà dei giornali in pantoffole, che vorrebbero mettere la sordina alle
verità più strepitose. Noi proclamiamole salutarmente.
Si disse che la
Natura è più forte delle Leggi, e si direbbe meglio che essa stessa è la legge
più forte fra le leggi. Poiché Dio Creatore ha dato l'amore naturale come mezzo
indispensabile a continuare la sua creazione, un Governo, il quale deve
governare ogni funzione sociale per evitare il maggior male e fare un po' di
bene non può prescindere dalla funzione primigenia della massima importanza
vitale. Perciò il tessuto connettivo del Governo va dalla santa nobiltà del
matrimonio alla abbiettezza peccaminosa della prostituzione.
Ma il Governo non
deve mai procedere a casaccio, bensì secondo i casi, che offre il perpetuo
svolgimento della sfera di vita umana.
La Storia dei Costumi
ci mostra, come agli stati nella maggiore potenza, e probabilmente a cagione
della medesima, (tanto è breve il tratto dalla potenza alla prepotenza e alla
strafottenza, dalla retta volontà al folle arbitrio) accadde un pervertimento,
una rivulsione sessuale. Così alla Serenissima Repubblica di Venezia occorse
provvedere contro al dannoso predominio della masturbazione e della pederastia.
Lo stesso pare ricorra nel sottosuolo immorale della granitica Germania pervasa
dalla omosessualità. Che fece la Serenissima verso la fine del 1400 per
richiamare la sua maschia gioventù alle vie indicate dalla natura figlia di
Dio? Ordinò alle sue cortigiane di affacciarsi spettoracciate allettatrici dai
balconi. Così Pompeo Gherardi Molmenti nella sua Storia della Vita Privata
di Venezia 21a ediz. pag. 321. Anche a Lucca nel 1448 si
instituì l'Ufizio dell'Onestà a punire i peccati contro natura e a
ravvivare gli amori naturali.
E se non capitò al
punto di un eccesso diverso forse fu ingiusto l'interdetto ricordato da Dante alle
sfacciate donne fiorentine SYMBOL
190 \f "Symbol" \s 12¾ d'andar mostrando con le
poppe il petto.
Ad ogni malattia il
suo rimedio.
Napoleone I, genio
della guerra, per amore e necessità dei soldati, coniò il regolamento celtico,
sottomettendovi le femmine da conio.
Cavour, genio della
nuova Italia, riparando all'epidemia celtica, che devastava le schiere
giovanili accorrenti al compimento della libertà e dell'unità italiana, faceva
rimodellare quel regolamento agli urgenti bisogni della nazione.
In che consiste
sostanzialmente il suddetto regolamento?
Nel matricolare le
femmine prezzolate per gli sfoghi sessuali ed astringerle a visita medica periodica,
e se riconosciute infette, ritirarle dal commercio sottoponendole a cura
coercitiva.
Fin qui il
regolamento non fa una grinza; il relativo diritto va diritto a fil di spada.
Se per la salute pubblica si proibisce al macellaio di vendere carni infette, a
fortiori si può applicare la proibizione alle femmine contaminate, che la
voce del popolo chiama coi nomi di vacche, troje ed altre bestie da macello.
Oltre ai benefizii
della salute fisica, non manca chi ravvisa nella prostituzione ordinata i
benefizii della salute morale. A questo proposito mi cadde sott'occhi
nell'appendice di una gazzetta circondariale 'Paradossi idrostatici' (speciosa
verità, dove vai qualche volta a ficcarti?) una bizzarra laude di un Doctor
Malalingua a Santa Raab patrona delle meretrici. È dedicata ad una nuova Ninon
de Lenclost 'amica sincera, amante infedele'. Con il ritornello 'per cinque
lire' in quell'inno si loda (non ricordo precisamente i versi) Raab, meretrice
di Gerico, e non solo per i meriti patriottici militari, per cui Dante,
lasciata Taide puttana nell'inferno a graffiarsi con le unghie merdose,
sublima, imparadisa Raab nel cielo luminoso di Venere facendola scintillare come
raggio di sole in acqua mera.
Nell'inno non solo è
vantato il merito storico di Raab che ricettando in sua casa gli esploratori favorò
la prima gloria di Jousè in su la Terra Santa; ma è celebrato il suo merito
attuale sociale.
Lo studente, il
garzone vede in te rifulgere la bellezza di Eva nel Paradiso Terrestre; acqueta
un'estasi per cinque lire.
E se ne parte senza
responsabilità, scossa la polvere dai sandali, scossi i grilli dal cerebro, per
cinque lire, aggiunta alla portinaia ruffiana la mancia di moneta invalida.
Così è risparmiata la
virtù della innocente figlia dell'onesto operaio, e della giovane sposa del
vetusto Conservatore delle ipoteche per cinque lire. Si evita una fabbrica
pestilenziale di corna con cinque lire.
Quanto invece costa
una seduzione! Spesso gronda lacrime e sangue. La corte di una damina si
prolunga rovinosamente più dell'assedio di Troia. Crudeli infanticidii, fughe
sciocche e calamitose, madri aspettanti nella preghiera o nella disperazione,
padri che si inginocchiano o maledicono ai figli! suicidii, delitti... Tutti i
disastri, che si evitano con cinque lire.
Fin qui l'inno. In
prosa un prode e virtuoso generale, Alfonso La Marmora non credeva certamente,
che la morale se ne andasse ad magnam meretricem, quando nel
rapporto degli ufficiali, li consigliava paternamente: Fieui, andè a magne. Badate
che i test...i non vi pesino mai di più che la testa.
Il senatore
Giambattista Borelli, chirurgo di salutare prestigio, divisava nettamente
l'alto benefizio di una Aspasia sensuale, intellettuale e spiritosa, che
riposa, snebbia, consola e rallegra gli spiriti e i corpi affaticati dei grandi
lavoratori della patria e dell'Umanità, e rintegra la forza sociale del maschio
con la dolce e santa ebbrezza dell'eterno femminino, senza piagnistei di
amanti, senza trafitture di gelosia e senza pezzuole ributtanti e puzzolenti di
levatrici e nutrici.
Signori Studenti! Non
bisogna però mai esagerare, e tanto meno tirare a generalità lo specialissimo
sollievo di alcuni celibi necessarii come le api operaie.
Con tali esagerazioni
ci dimostreremmo dammeno del ragionamento collettivo degli imenotteri
fabbricatori di miele. La Società è profondamente complessa; la verità è
infinitamente poliedrica; e la scienza deve procurare di rifletterne il maggior
numero di faccette. Per la santa meretrice Raab della Sacra Scrittura o per la
profumata esilarante intelligenza di Aspasia greca o di una principessa
cosmopolita, non dobbiamo trascurare le giuste e sante nozze, fondamento della
Società, seminarium reipublicae.
La prostituzione,
tutto al più male necessario, ha i suoi effetti perniciosi, che bisogna ridurre
ai minimi termini. I Regolamenti, che si proposero di riparare alla maggiore
pernicie, ci riuscirono?
Pare di no, se
ascoltiamo il grido di dolore e di protesta che si eleva e circola contro di
essi dalla Patagonia alla Scandinavia.
Da noi si è
pronunziata nettamente contro il Regolamento meretricio la Reale Commissione
per lo Studio delle Questioni relative alla Prostituzione e ai provvedimenti
per la Morale ed Igiene Pubblica, composta dei signori: Peruzzi comm.
Ubaldino, deputato al Parlamento, presidente, ¾ Bertani dott. Agostino,
deputato al Parlamento, ¾ Bianchi
prof. Francesco consigliere di Stato, ¾ Casanova
comm. avv. Giuseppe, capo di Divisione al Ministero dell'Interno, ¾ De
Renzis barone Francesco, deputato al Parlamento, ¾ Giudici comm. Vittorio
colonnello medico, deputato al Parlamento, SYMBOL
190 \f "Symbol" \s 12¾ Lucchini prof. avv. Odoardo, deputato
al Parlamento, SYMBOL
190 \f "Symbol" \s 12¾ Mazzoni comm. prof. Costanzo, ¾ Patania
dott. Carmelo, deputato al Parlamento, ¾ Pessina
prof. Enrico, senatore del Regno, ¾ Villari
prof. Pasquale, senatore del Regno, ¾ Pellizzari
prof. Celso, segretario. Non si potrebbe immaginare un conserto più
competente di ingegno, studio, ed amore del bene, dall'accortezza delle antiche
repubbliche mercatanti alla fiamma di Gerolamo Savonarola, dal civilista al
penalista, dall'ambulanza garibaldina alla tenda del R. Esercito, dall'eleganza
del proverbio martelliano alla burocrazia più inchiostrata, dal numero
all'idea, dal fucile al microscopio, dal Consiglio di Stato al laboratorio di
Chimica, da una buona Camera a un bel Senato.
Ebbene tutto questo
conflato di osservazione, di scienza e di coscienza è unanime nel denunziare
gli orribili abusi, di cui fu capace l'applicazione del Regolamento.
Mentre lo Statuto del
Regno e il Codice Civile garantiscono la libertà personale dei maggiorenni che
non siano condannati al carcere e al manicomio, mentre si è persino abolita la
cattura per debiti civili e commerciali, mentre si è tanto gridato contro la
schiavitù negra d'America, ecco autorizzata dal nostro governo liberale e
Nazionale, protetta dalla sacra maestà del braccio regio la tratta e la
coercizione delle schiave bianche, lavoratrici organizzate della bellezza,
lavoratrici del piacere, lavoratrici dell'amore. Onde il romanziere moralista
Vittorio Bersezio può rettamente deplorare l'harem libero, che la civiltà
europea consente alla libidine ricca di procurarsi specialmente nella miseria
delle classi povere.
Abbiamo le meretrici
di stato tra gli altri monopolii dello stato, come i sali, i tabacchi, la
polvere pirica, i pallini da caccia, i francobolli, i tarocchi, e le altre
carte da gioco; come potremo avere le ferrovie di Stato e il chinino di Stato.
Intanto abbiamo l'infezione di Stato. Imperocché i sifilicomii governativi sono
definiti dalla Regia Commissione centri di lenocinio, scuole di corruzione,
fomiti di libertinaggio, esercizii di tribadismo, scarica di malanni, sentina
di febbri, ergastolo fecondo di tifo e scabbia, sordido ricetto di bestie
immonde.
L'infezione tocca
pure i pubblici ufficiali, che impiegati a trattare turpitudini si deturpano.
Nei sonetti del Fucini si contemplano le guardie briache addormentate in un
casino, mentre in pescheria accadono zuffe mortali.
La maggiore
turpitudine è segnalata nella recluta delle prostitute. Si comprende alla
stregua del semplice buonsenso, che una donna maggiorenne, la quale voglia fare
commercio del proprio corpo, sia assoggettata a certe regole di igiene, di cura
e di decenza, e che si freni la spocchia di un pistoiese Canonico Pacchiani
(vedi Guadagnoli dello Stiavelli) che sorpreso di notte a far gazzarra nella
pubblica via con una donnaccia volle proclamarsi uomo libero con donna libera
in terra libera.
Ma che per offrire
carne fresca ai provetti consumatori, per fornire macchine di piacere ai loro
organi viziati, l'autorità governativa dia forza legale ad associazioni di malfattori
per la retata e la coscrizione di innocenti creature nell'esercito della mala
vita, è un orrore. Inorridite, continenti! Inorridite, stelle, davanti a questo
bolide. Il Comm. Bolis, benemerito e compianto direttore generale della
Pubblica Sicurezza, attestò alla R. Commissione che si erano forzate alla
disciplina delle meretrici vergini certe, che da tenenti postriboli si è
mercanteggiata la verginità di fanciulle quindicenni e, più orrenda lacerazione
della Natura, vennero insanguinate a prezzo dalla libidine fanciulle tuttavia
acerbe, ignare del fiotto mestruo.
Oh! Società di
sepolcri imbiancati, o menzogne convenzionali della Civiltà, o Italia, non
donna di provincia, ma bordello!»
Neppure, secondo
l'eloquenza dell'avv. prof. Ilarione Gioiazza larga di umorismo e di invettive,
Nerina verso il termine dei suoi capricci per pianoforte poteva considerarsi
vergine martire.
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