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Giovanni Faldella
Donna Folgore

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      • 8 - Trabocchetto d'infamia e vendetta paterna
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8 - Trabocchetto d'infamia e vendetta paterna

 

Seguitando a spigolare nel Corso libero di Ilarione Gioiazza si potrebbe immagazzinare altra erudizione di miserie; ma il romanzo della vita capricciosa ne richiama dalla dissertazione all'azione, o piuttosto alle azioni, delle quali ohi! molta parte sono cattive, e si negoziano nelle borse del vizio. Il peggio si è, che alcune volte vi partecipano senza colpa uomini virtuosi.

Virtuosissimo era il baroncino Svembaldo Svolazzini, il quale neppure un istante accertò la distinzione mondana tra spassi erotici e fondamenta della famiglia, per cui spuntare un capriccio, aguzzare un corno (surese un breit) con Nerina non sarebbe poi stato alla fine dei conti rovesciare l'altare domestico, e tanto meno un finimondo; perché secondo la morale utilitaria dei mariti, all'esilarante Nerina si un'ora superficiale, dopo cui si ritorna più mogii alla serietà perenne dei doveri coniugali.

Invece il baroncino d'acciajo persiste nel suo programma; nulla nulla alla capricciosa Nerina; tutto tutto alla sacra ed inviolabile di lui consorte.

Poiché le persecuzioni amatorie di Nerina non cessano, egli ascolta una sera al Caffè dell'Acquasola un amico che dice: ¾ Sai? Anche il bardo della democrazia, ed anche il venerando presidente del Senato finirono col rivolgersi alla Questura per liberarsi dall'assedio di una poetessa tremendamente innamorata.

Se così fecero un bardo cavalleresco, ed un cavaliere dell'Ordine Supremo della Santissima Annunziata, non potrà farlo lui, semplice difensore della nobiltà operaia e della onestà familiare?

Alla mattina seguente, mentre usciva di casa, vistosi lanciare un fiore e un bacio spudoratamente dal balcone di Nerina, che pareva esalasse un tanfo di orgia, andò difilato dal Questore, il quale era il cav. uff. Spiridione Losperanto. Uomo navigatissimo, siculo ardito e concentrato trovavasi al suo posto in una città marinara, a fronteggiare il ripullulio della vena repubblicana allargata e approfondita dal Mazzini e il ribollimento dello spirito religioso, che invocava o bestemmiava la Madonna alla vista o nell'oblio dei naufragii. Uomo eminentemente sopracigliare, con un arco quasi acuto delle sopraciglia accolse la sposizione del barone Svolazzini, significandogli come un rimprovero sardonico senza parole: ¾ Un bell'uomo come Lei, non è capace di saturare da sé quella Messalina, che lo ha preferito a un ammiraglio inglese, e ricorre alla Questura?!

Poi, da severo isolano, rifletté alla giusta gelosia della famiglia, rifletté da accorto funzionario, come il baroncino Svolazzini fosse una colonna granitica, un faro d'ordine in un centro operaio, una forza da rispettarsi per le prossime elezioni politiche ed amministrative. Quindi giovava contentarlo. Perciò con il suo usuale sparagno di parole, lo licenziò assicurandolo: ¾ Il barone del lavoro sarà servito.

 

* * *

 

Per liberare la società di una malafemmina, che aveva ridotto il legittimo marito a deputato in congedo perpetuo per malattia, ed aveva ricacciato il principale drudo, già luminare della letteratura europea, alla scurità selvaggia del borgo natio, e minacciava complicazioni internazionali, turbando la rotta strategica di un ammiraglio inglese, e produceva infinità di guai nell'economia morale della nazione, cagionando anzitutto chi sa quali stati vertiginosi d'anima a un padre, pietra di rettitudine, il Questore pensò anzitutto al manicomio, come arca di salvezza per la sua politica interna.

Ma il delegato avvocato Lupastri affacciò le lunghe pratiche che si dovevano esperire per l'ammissione a uno spedale di mentecatti; che vi era urgenza a riparare lo scandalo; e che il più ovvio riparo a tali scandali, senza pericoli in mora, era offerto dal postribolo.

Il questore, uomo eminentemente sopracigliare, non nascose con una irsuta alzata di sopraciglia la sua sorpresa disgustosa per quella giurisprudenza pratica. Ma poiché egli sapeva perfettamente che le cose andavano veramente così nell'applicazione di un regolamento minato dalla scienza morale ma ancora intatto pella legalità, diede l'incarico al competente delegato Lupastri, che provvedesse secondo il caso. Il cav. uff. Losperanto gentiluomo riguardoso si asteneva personalmente da quelle turpitudini legali, e le lasciava ai suoi subordinati, senza badare molto all'avviso del prof. avv. Gioiazza, che trattando materia turpe il basso personale si deturpasse maggiormente, e senza allontanare il sospetto balenatogli dalle spese soverchiamente lussuose del delegato Lupastri, che questi pure vi fosse cointeressato.

Appunto in quei giorni si erano eccitate le bramosie lupigne del danaro inodoro, anche se estratto da un pozzo nero.

L'associazione degli impuniti, anzi protetti malfattori, che mercanteggiano regolarmente carne umana, nel pericolo della propaganda umanitaria, che tendeva ad abolire il regolamento meretricio, si rivolgevano alla Questura, come al più ricco cespite di loro entrate da sfruttare in extremis.

Tra l'esercizio pubblico e l'esercizio privato della prostituzione verteva una concorrenza più sfrenata che in parlamento la competizione tra l'esercizio publico e l'esercizio privato delle ferrovie.

Magazzini di mode, persino negozii di pianoforte larvavano ritrovi, in cui si contrattava e si consumava l'amore tra sfarzosi banchieri, alti impiegati, gros- bonnets e lauti pensionati, e povere modiste, od artiste, e giovani mogli di miseri travet, in barba al Regolamento.

Una signora improsciuttita, di cui erano avventrici vispe sartine ed esordienti ballerine, una volta che queste facevano un chiasso troppo petulante le ammonì: ¾ Si direbbe, che questa non sia una casa, ma un casino.

Alla superbia delle impresarie d'amor libero corrispondeva la invidia delle conduttrici e dei conduttori di stabilimenti erotici autorizzati dal R. Governo.

Pareva a costoro, che con l'industria della Venere eslege non solo si frodassero i loro diritti acquisiti di contribuenti patentati, ma si tradissero gli alti fini, per cui la tassa della prostituzione, senza controllo della Corte dei Conti, impinguava il fondo delle spese secrete, con cui si sovvenivano eroici patrioti e si retribuivano preziosi confidenti per la sicurezza dello Stato: altro che fondo dei rettili!

Si aggiunsero i danni dell'esportazione.

Si parlò di cinquecento prostitute italiane emigrate soltanto ad Alessandria d'Egitto.

Che dire delle richieste dei mercati di America, mercati divoratori di carne umana in ricambio dell'estratto Liebig? Agenti di emigrazione comprano selvaggina muliebre agli stessi genitori e agli stessi padri di razza e misura brigantesca e ne caricano bastimenti... specialmente dal porto di Marsiglia, dove vi sono grandi case di commercio raccogliticcio per la carne umana da macello veramente gentile! Tanto che in un gioco di società a S. Francisco di California, avendo l'intimatore detto: «è arrivato un bastimento carico di...» e gettato contemporaneamente il fazzoletto a una signorina stordita, questa rispose «carico di vacche» e l'intimatore, senza tema di parere shoking, domandò: di quante gambe?

Tali sussurri correvano tra gli esibitori italiani di merce garantita dal Governo, e questi minacciavano di chiudere gli sportelli, come Casse di Risparmio sull'orlo del fallimento. Si arrotavano con i complici arnesi di questura; ed avrebbero preteso inchieste severissime, purgatrici sugli istituti che muovevano loro illecita concorrenza, e specialmente sulle scuole di Ostetricia. Una maestra di ginecologia licenziata da una Amministrazione Ospitaliera come turbolenta e morfinomane e rifugiatasi a direttrice di una casa di tolleranza, non avendo potuto ottenere la riabilitazione sociale dal professore, che l'aveva lungamente tradita, si sfogava a narrare turpitudini di lui, dei suoi aiuti, delle allieve e di tutto quanto l'Istituto. Benché essa lo avesse incitato alla gloria, additandogli sotto la parete addominale di una cospicua operanda la parola «commendatore» egli era divenuto un vero Jack squartatore: nel libero esercizio clandestino il prezzo ordinario degli aborti criminosi ridotto a lire cinquanta; esplorazioni numerose ed inutili alle pazienti del riparto ospitaliero per il dileggio della scolaresca; domande triviali e vergognose; alunne, che fanno la guardia notturna in compagnia degli studenti; studenti e medici di servizio, che non si contentano delle alunne, ma abusano delle stesse malate, fra le quali una sottoposta ad una sfilata di cinque, l'assistente e quattro studenti; levatrici e alunne in veste scollata, senza maniche, danno alla clinica l'aria di un vero casino; gozzoviglie di polli, gelati al chermes, zabaioni, burlette di parti, balli orgiaci, detti profanamente dell'angelo.

Si invocava il rigore non solo contro le scuole di ostetricia, ma altresì contro gli istituti di pie vergini, essendosi raccontato dall'on. Rino Zerbinella, che un direttore spirituale aveva contemporaneamente ingravidato venti educande.

Mentre i mercanti brevettati di schiave bianche si sbraitavano contro la concorrenza aliena, essi acuivano la loro attività incettatrice. Nello studio a volo d'uccello licenziato dal professore Gioiazza si vedono due mila fanciulle all'anno arrestate a Parigi, matricolate, e brutalizzate legalmente. Che orrori costa questa confezione di macchine del piacere! Che avvilimento sistematico di creature umane, proletarie della voluttà, dove le parvenues del vizio sono lasciate libere nella loro scandalosa influenza sociale. Ed oltre le immani razzie della poveraglia servile, specialmente rusticana (vi sono villaggi d'ereditaria bellezza femminina, che se ne sono formata una specialità di produzione mercantile), oltre le retate delle frustatrici di marciapiedi cittadini, che concorrono principalmente a suppeditare da centomila a centocinquantamila reclute occorrenti annualmente al commercio internazionale di carne fresca per vecchi consumatori, altre sottili, maliziose industrie si scavolozzano per ingrandire, o impreziosire l'esercito della Mala vita, immane gregge di vittime sacrificate al Moloch della lussuria.

Si falsificano contratti per posti di istitutrici, e le malaccorte si domano coi flagelli, che lasciano il segno, come accadde in Ungheria, secondo un caso riferito dal Gioiazza.

Si insacca il maggiore contingente di povere serve e cameriere disilluse dai sogni seducenti nei rapporti con agiati dilettanti dell'amore ancillare. Si offre un facile impiego alle canzonettiste, a cui si è fatta calare la voce.

Si spinge altamente il prossenetismo, la provocazione al male, sfruttando poscia la squalificazione sociale delle amanti illegali, che le precipita agli ultimi gradini. Tutta la diaboleria è messa in moto, assoldandosi bande di seduttori sparsi per l'Europa ad accaparrare le schiave bianche, raffinati nel lavorio di risvegliare il demone dell'ambizione, dell'ozio e della carnalità, e lesti a disfarsi delle loro amanti private a sollazzo pubblico. Essi si fanno persino impunemente poligami con il solo vincolo religioso. Si adoperano ruffiane vestite da monache.

Insomma le commedie dell'antica Grecia, dell'antica Roma, e del cinquecento italiano, materiate principalmente di ruffianesimo, sono superate di gran lunga.

Fra i seduttori era presentemente in Genova a disposizione dell'Agenzia immorale stabilita alla Salita dell'Imalaia, il signor Orseolo Lionello, a cui si può dire che il re dei Diavoli concedesse le forme più angeliche; egli era un Satana carnalmente travestito da cherubino. Dell'antica famiglia gentilizia aveva serbato la materialità esteriore. Squalificato, boicottato dall'alta Società, perché scoperto baro al gioco, egli si perdette dell'anima, ossia si ritrovò nel più profondo baratro di immoralità, con l'anima superbamente vendicativa di un Lucifero contro la società tutta quanta.

Egli dalla sua Agenzia venne messo in relazione con il delegato di Pubblica Sicurezza avv. Lupastri, e da questi posto a contatto con le due guardie più idonee al servizio delle case di tolleranza. Giammai un contatto fu più stridente, perché Orseolo Lionello onorava plasticamente la camicia di marinaio inglese, in cui si era camuffato, e le due guardie dette Squinci e Quindi più che altri del loro antipatico corpo difformavano l'uniforme militare dalla casseruola del kepì alla correggia della sciabola ciondolona, tra cui spaziava una schiena da randello e una culatta da calci.

Come i borsisti speculano raccattando titoli ribassati nella aspettativa di un rialzo fenomenale, così i mercanti di carne umana (carne fresca sanguinante, carne cruda conservata nelle scatole e carne cotta alla minuta) speculavano sulla vistosa sciagura della contessa Nerina De Ritz Vispi al mercato della bellezza.

Prima ancora che il Questore ricevesse dal barone Svembaldo Svolazzini l'istanza di essere liberato dalle persecuzioni amatorie della decaduta Contessa, gli agenti della Salita dell'Imalaia avevano divisato di predare e negoziare quello straordinario bocconcino d'amore. Se non che, proprio al punto buono, quando la licenza era data gerarchicamente dal Questore, la caccia diventava maggiormente difficile, imperocché la Contessa evitava gli agguati, e non dava pretesti di intervento armato.

Essa, intestatasi nel suo capriccio per il giovane barone, respingeva tutti gli altri adoratori, pei quali vigeva la consegna inesorabile dell'uscio chiuso. Questa clausura era così rigorosa, che ella non volle neppure esaudire la preghiera di un principe russo, il quale le offriva tremila lire solo per ammirarla in camera charitatis senza possederla.

Essa rispose: ¾ Capisco! Tutto il mio corpo è tanto bello, che tutti mi devono amare. Ma ora il mio capriccio è per uno solo.

Ed il suo capriccio per lo Svolazzini si avvelenava nella gelosia.

Essa era gelosa di ogni fiacre, che passava opaco con le cortine abbassate. Sentendo l'acciottolio nel tinello della palazzina prospiciente, essa si rodeva, che l'amato baroncino si rimpinzasse di cibi afrodisiaci o restauratori per altra donna. Gli avvisi amorosi nella quarta pagina dei giornali le parevano diretti da sue rivali a lui, o da lui ad altre amanti: «Atalà... Sono la tua poesia... ¾ Chérie Prima di partire inebbriato dalla tua presenza... ¾ Reseda... I miei pensieri, il mio cuore e l'anima mia sono e saranno sempre teco... ¾ Queen Ti rivelasti fervida amante. Sarei felice essere sempre tuo schiavo, Regina mia... Ti abbraccio e ti copro tutta tutta di baci dal capo ai piedini...». E se quelle parole fossero proprio dirette da Lui a Lei... Oh vano sogno!

Al contrario di Orlando ed Angelica, pareva che egli avesse bevuto alla fonte dell'odio, ed ella alla fontana dell'amore...

In un momento di supremo disgusto disperante e di suprema gelosia vendicativa essa dal balconcino vide passare e ripassare Lionello Orseolo, e la invase un capriccio fulmineo detronizzatore.

¾ Dio, come è bello! Pare Garibaldi. Pare Gesù.

E ritraendo il capo con una strizzata d'occhi gli fece l'invito della cortigiana. Egli salì.

Dopo il congresso, gli occhi di Orseolo Lionello brillarono di acciaio come occhi di banchiere; pareva che una nube fosca fosse discesa sopra il suo splendore d'arcangelo.

Egli domandò rudemente: ¾ Dammi il resto della sterlina...

La Contessa Nerina dapprima sorrise, come di uno scherzo, non riuscendo neppure ad immaginare di quale sterlina si trattasse. Ma dovette presto atterrirsi, scorgendo una violenza chiusa, inesorabile, nella insistente pretesa menzognera.

¾ Via, presto; ché non ho tempo da perdere... Fuori almeno un marenghino; ché non vorrai stimarti più di uno scudo...

E fece il gesto rapido di frugarle le calze.

Essa non meno rapidamente fu sul balcone per gridare soccorso; ma egli la prevenne gridando: ¾ Guardie! guardie! Mi hanno rubato.

Immediatamente comparvero le guardie Squinci e Quindi con il delegato di Pubblica Sicurezza avv. Lupastri, il quale correttamente spiegò, come spettava all'Autorità Governativa, regolare il prezzo della Prostituzione, secondo la R. tariffa fissata ed estensibile in ogni luogo di regolare esercizio. Quindi osservava con vista di rammarico, che la signora non era in grado di esibire la patente di Venere Mercenaria, per cui occorreva la investitura del magistrato particolarmente adibito. Egli era pertanto nella spiacevole necessità di ordinarne l'arresto, per regolarizzare la situazione.

Nerina ebbe un lampo di offrire per il suo scampo un tesoro di gioie, di monete e di titoli, e il tesoro corporale di se stessa. Fra tre non potevano compromettersi in quel dividendo; e tacitamente il delegato e le due guardie si accordavano nella speranza di maggiore mancia, eseguendo il regolamento. La vettura era da basso, che aspettava.

Nerina, affacciatasi all'uscita, volle arringare un capannello di popolo formatosi.

Ma la plebe già indettata dalle guardie, credeva che la contessa sgualdrina avesse persino arraffato l'orologio al bel marinaio, e tenesse un monte di refurtiva, onde adoperando la fantasia rabbiosa, che aveva mandato in croce Gesù ed osannato a Barabba, urlò: ¾ Al bordello la putta; in prigione la ladra!

Spinta nella vettura di cui si calarono le tendine, essa si sentì condotta irremissibilmente a un trabocchetto d'infamia, mentre una raffica di fischi soffiava al suo indirizzo, frammisti ad applausi per la brillante operazione della Questura.

Al rullo della vettura essa provava una sensazione vertiginosa più che nel saliscendi delle montagne russe al gioco del Taboga. Era il ricorso della sua vita ascendente, che ora precipitava, precipitava...

Le era mancata la madre, mentre la metteva alla vita. Come a una reliquia viva della defunta, il babbo le aveva tosto data una custodia di adorazione. Quel padre gigante selvaggio nel commercio venne addomesticato dal sentimento vedovile e paterno, reso balocco dei capricci di una bambina. Quindi Nerina potè spadroneggiare presto a suo talento nei capricci di conquiste fatte e lasciate lestamente senza fine con voglie indomite e sprezzi superbi.

Oh il brulichio delle sue conquiste! Non ha tante margherite un prato di maggio; non ha tante lucciole la danza notturna dell'aria sul finire di giugno!...

Dapprima conquiste di studenti e commessi di negozio... poi una ascensione sterminata nelle conquiste: ufficiali di cavalleria, dei bersaglieri, di artiglieria ed anche del Genio; dottori in ambe leggi e in lettere e filosofia; quindi eroi, deputati, illustrazioni europee, diplomatici, principi, e più in su frati splendidi come vescovi greci nel Convento delle Meteore, dove in una celebrazione sacrilega le parve di avvicinarsi maggiormente a Dio assai più che nell'udienza del Santo Padre Pio IX... Dalla cima il faut descendre... Eccola scivolata con un tonfo e uno spruzzo di Paradiso nel purgatorio di Terra Santa, nelle acque del Giordano. Così detersa, perché non si contaminasse più, venne avviluppata nel rifugio del Santo Oblio. Ma succede un nuovo diluvio, una nuova dispersione delle genti... Ed essa ora discende, discende all'ultima perdizione.

Dal rullo si sente scendere anche la vettura chiusa, dove la Contessa Nerina, come una prigioniera delinquente, aveva a lato il delegato e di fronte le due guardie di Pubblica Sicurezza. Mentre essa percorre con la mente profonda gli stadii della sua vita, si sente palpare oscenamente dal delegato Lupastri, a cui essa schizza negli occhi uno sputo di saliva accecante; e balza per rompere gli sportelli e lanciare ancora uno strillo di soccorso.

Ma le due guardie Squinci e Quindi superiormente coadiuvate dal delegato Lupastri sono pronte ad imbavagliarla ed ammanettarla.

Allora Nerina nell'anima sua corrotta provò le sensazioni verginali della martire Lucia Mondella rapita e trascinata al Castello dell'Innominato.

Si sentì la vettura entrare nello scuro di un androne; e dopo l'entrata serrarsi immediatamente il portone; che parve a Nerina il finimondo, come al conte Ugolino, quando si sentì chiavar l'uscio di sotto all'orribile torre. L'istituto, a cui era tradotta Nerina, si chiamava appunto delle Chiavi d'Oro.

Per una stretta scala marmorea dalle maniglie dorate e dai cordoni serici essa venne tratta e spinta su, mentre facevano capolino le numerose sacerdotesse di Venere vendereccia e patentata nelle loro bianche stole trinate, gigli ironici, da cui uscivano a grand'agio i garofani carnicini e le rose spudorate della loro bellezza prostituita.

Vennero tutte assembrate nella sala maggiore, che si chiamava scherzosamente la sala del trono, per il ricevimento. La maggior parte, e più di tutte la Vacca borghina, che portava la pancia come un tamburo, esprimevano col sorriso curioso ed attento un saluto di contentezza diabolica: «Ah ci sei anche tu finalmente con noi, e starai come noi, tu che facevi liberamente la signora, rubandoci il mestiere

Agli occhi spauriti, alle orecchie ronzanti di Nerina, in quel salone soffice, imbottito, come una cabina di bastimento, illuminato a gas di mezzogiorno parve che una voce telepatica, la voce di Spirito Losati fantasma masticasse versi infernali di Dante: terribile stita... cruda e tristissima copia... genti nude...

Quando essa fu liberata dal bavaglio e dalle manette, si slanciò come una tigre contro la pancia petulante della Vacca borghina. Ma allo strillo di campanello scosso dalla vecchia mammana Veronica Gibus, spulezzarono tutte le sacerdotesse, chiudendo gli usci a chiave, e con loro si erano allontanati il delegato e le due guardie di Pubblica Sicurezza, a cui pareva di avere già fatto abbastanza per meritarsi la più grossa mancia.

Rimasero sole testa a testa Nerina e la direttrice Veronica Gibus, in quella sala detta del trono, perché sei cuscini sovrapposti al centro nel lato superiore del canapè, che dintornava tutte le pareti, formavano un divano da gran turco e da grande odalisca. Veronica Gibus era la maestra ostetrica smessa, che, quando era giovane allieva, era stata cacciata nel letto con un pugno scherzoso del celebre professore, e poi finite le grazie, ne era stata scacciata con un calcio iroso.

Squadrandola tutta, quanta era lercia, la contessa Nerina disse: ¾ Non voglio sporcarmi le unghie nelle vostre carni. Andatevene anche voi.

Veronica, che teneva il mazzo di tutte le chiavi a cintola si ritrasse, lanciandole uno sguardo di sicuro predominio.

Vistasi perfettamente sola, Nerina con un impeto di allegria trionfatrice volle dare un terribile cozzo del capo nella parete, su cui la mente confusa, rintronata sentì soltanto una mollezza recipiente; ché tutta quella sala dagli spessi tappeti all'alto divano era un batuffolo di bambagia cucita, per evitare i suicidii delle teste sventate, e perché ogni rincorsa di maschio o capitombolo di femmina s'affondasse in un nido elastico. Disperata di morire, Nerina pianse per quattordici ore di seguito. In quel diluvio di lacrime, le comparve l'iride di Gibigianna, già sua compagna al Santo Oblio ed ora coscritta come lei in quella Compagnia della Morte Morale. L'influsso fisiologico della presenza vagola e scherzosa di Gibigianna avviò Nerina agli adattamenti e agli accomodamenti della situazione. Pel digiuno fisico essa presentì quasi l'ebbrezza di toccare sino al fondo della miseria nella immoralità umana.

Dall'orrore fetente dell'Imbrecciata di Napoli, riconobbe, che senza mutare mestiere il vizio umano saliva alle lenzuola profumate d'ireos. Gibigianna, che le portò dinnanzi un assortimento di pepli e velarii, in cui essa poteva apparire come una Dea tra le nubi, una imperatrice Semiramide o una regina Cleopatra sul trono; quindi una bottiglia di Sciampagna sturata opportunamente da Veronica, compirono nella ilarità vaporosa un miracolo di ultima ed unica seduzione sopra di lei, se miracoli si danno e si possono chiamare in quell'inferno di preteso paradiso.

Anzi quella infima dedizione parve una concatenazione finale alla logica della sua vita capricciosa, per cui essa si era fatta una morale fuori delle leggi sociali; cessando d'andare in chiesa si era fatto un Dio naturale fuori delle leggi ecclesiastiche, e si era fatta da lei stessa tutta la legge col suo libito, al pari della prelodata Semiramide. La nuovissima colpa le diveniva un diritto dell'anima. Ed essa non avrebbe ritardato a soddisfarlo in foggia di Semiramide, se non l'avessero colta coliche nefritiche, per cui la morfinomane Veronica Gibus le fece numerose iniezioni di morfina, che le resero più ardente l'eccitazione psichica. Ma nella sua prudenza di pratica nosocomiale la mammana ritardò a mettere in commercio la straordinaria recluta, di cui l'aspettazione cresceva il valore nella cupida clientela!

Nerina ebbe una nuova, ma più lieve, crisi di pianto, durante la quale le parve di sentire Spirito Losati, che intonava fantastico rimprovero: Lugete Veneres Cupidinesque, e terminava con il dire di lei consacrantesi all'erotismo venale ciò che Dante disse di Ifigenia diversamente sacrificata:

 

Pianse Ifigenia il suo bel volto

E fe' pianger di sé i folli e i savi.

 

Ma che pianto! che pianto! Nerina esce dal lavacro delle coliche più purgata che dalle acque del Giordano. È una fiamma di Salamandra, di cui si dichiarano entusiasti, ammirati come d'una ottava meraviglia del mondo, i due primi avventori, due giovani ufficiali del Corpo Reali Equipaggi, che pur erano due portenti di bellezza bellicosa.

A quella reclame fioccarono gli altri avventori. Notevoli i poeti liceali, che cercano con interrogazioni affaticanti il filo del romanzo di ogni sgualdrina, fucinando inani propositi di riabilitazione. Nel deriderne l'inesperienza Nerina avvisò quanto fosse vera l'avvertenza del Professore avv. Gioiazza riferitale dal farmacista letterato Evasio Frappa in proposito dell'iscrizione di vergini fra le prostitute: che il postribolo diviene la più attiva scuola di educazione sessuale vagheggiata da un Congresso femminile: «Sexual- Erklärung» come vuole la pedagogia tedesca di gran moda.

Poco per volta nella plasticità dell'ambiente la Casa di Tolleranza detta delle Chiavi d'Oro le diventa il più bel Castello d'amore per una Marca Amorosa. Le etaire, essa ricorda, secondo il poeta neo- greco, sono infine fiori che stanno schiusi tutta la notte.

Vi sono fanciulle, come tralci di vite e di glicene, che si prolungano domandando qualche cosa da abbracciare, e se non trovano nulla a cui appigliarsi disseccano nel vuoto dell'aria tentata.

Ad esse provvede esuberantemente l'istituto, secondo la consumata filosofia dei Capricci di Nerina, la quale nell'erudizione rimastale dalla gran vita, nonostante il poco studio, sentiva di comprendere allora perfettamente il forte e grazioso pittore vercellese Giovan- Antonio Bazzi detto il Sodoma. Questi cominciava a disegnare le donne nude per dare loro giusta movenza, prima di vestirle dei suoi stupendi colori. E quale lezione diede il Sodoma ai calunniatori di lui e delle meretrici! Egli, calunniato dal Vasari di aver dipinto disonestamente un ballo di femmine ignude, ritrasse Fiorenzo prete che in ispreto di S. Benedetto conduceva intorno al costui monastero una teoria di meretrici a cantare e ballare per la tentazione dei padri votati alla castità. Ebbene nel bel affresco idealmente dipinto, eccettuata l'unica ballerina velata assai leggermente ma di leggiadria perdonabile, se non impeccabile, si scambierebbe quell'accolta di femmine per un corteo di principesse, o per un concilio di severe matrone, tant'è con la soavità dei volti, la compostezza degli abiti e delle attitudini.

Secondo Nerina oramai incapriccita, estasiata della sua ultima parte, il decoro delle meretrici ha molto da insegnare alle scollacciature dei balli di corte, dove senza imprecazioni di predicatori o di altri moralisti professionali si mostrano brulli i promontorii dei petti ed i canali delle schiene femminili.

Nerina sogna addirittura di pontificare, presiedendo ad una accademia del nudo artistico esuberante nella Scuola veneziana dal Giorgione a Paolo Veronese, che indiarono pittoricamente le cortigiane.

Gli ipocriti dell'Italia ufficiale e convenzionale non possono certo scandalezzarsi, se riferiamo questi quadri e queste fantasie moralizzanti di nudo orrore, mentre i beniamini delle gonfiature scimmiesche o cointeressate non sanno più modellare un nichelino da venti centesimi, una medaglietta commemorativa di poeta iracondo, o la targhetta pel giubileo di un giornale della democrazia educativa senza stiaffare le natiche od altre indecenze muliebri.

Il concettoso pittore di genere Franco Massi, bel profilo, sebbene un po' schiacciato e assai uncinante era habitué delle Chiavi d'Oro. Rincasava pentito ed imprecava sul diario alle donne usuraie del piacere, serbatoi di malattie, ghigne da schiaffi. Ma vi ritornava, con la scusa di andare dal vero per il suo quadro «Tue- la». La romanesca Lucrezia, sentito che egli preparava un quadro intitolato «Ammazzala» non gli risparmiò il complimento: ¾ Che possa te morì ammazzato!

In grazia del Governo Italiano, il principe russo per cinque lire possedette ciò che era disposto soltanto ad ammirare per tremila lire. Si vociferò che una notte allo stesso economico serraglio delle Chiavi d'Oro accedesse in imperfetto incognito un prosaico futuro Presidente del Consiglio, cui il barone di Sapri superbamente rimproverava di non avere mai avuto per amante una duchessa.

Non mancarono altri visitatori eterocliti. Non ostante il travestimento da originario bifolco, venne riconosciuto per la chierica male spersa tra i fumi della incipiente calvizie un arciprete di montagna che pareva portasse sulla fronte corna stizzose di luce diabolica.

Tra gli straordinarii clienti non passò inosservato, sebbene camuffato da comico Truffaldino sbarbatello, il famigerato teologo Don Gregorio Barsizza, polemista clericale con istinti da accoltellatore, il quale aveva dovuto lasciar partire per Alessandria d'Egitto due rovinate figlie di banchiere, a cui tirava i conti; e non gli era parso sufficiente sfogo la diatriba contro il Governo bancarottiere, «ruffian, baratti e simili lordure

Artisticamente più umano che lo stesso pittore Franco Massi si mostrava il minore osservante, padre Equoreo, splendido come un sacerdote d'Apollo, dalla voce di tenore paradisiaco. Il popolo imparadisato dalla sua voce in chiesa gli risparmia le bajate, che prodiga ai frati sorpresi ad entrare in un bordello. Ed egli di facile contentatura dichiara di preferire le cortigiane di professione alle devote ammiratrici, che lo seccano a farlo cantare, mentre non c'è caso di siffatte pretese alle Chiavi d'Oro. Non l'avesse mai detto! Ché Nerina si impuntò ed ottenne di fargli vociare il più serafico pange lingua mentre essa lo accompagnava al pianoforte dai tasti frusti per le più oscene danze. Fu certo il più sacrilego dei suoi Capricci per pianoforte.

Ciò suscitò uno scandalo enorme, che ebbe una ripercussione di terremoto anche alla Congregazione dei Riti a Roma.

Si minacciò la scomunica, che ebbe termine nella Missione di padre Equoreo alle tribù più selvaggie dell'Africa equatoriale.

I cannibali del Congo saranno convertiti dalla voce di paradiso; e si spande al maximum la voga per le carni delle Chiavi d'Oro.

Si verifica la osservazione sociale sonettata da Renato Fucini. Quale è il segreto di un giovinastro ozioso gaudente e strafottente? Il padre strozzino e la madre padrona di un casino.

Che più?

Allargandosi la reclame dello scandalo di padre Equoreo con la contessa Nerina, si fa codazzo per entrare al bordello delle Chiavi d'Oro, come si fece al primo postribolo ufficiale apertosi dopo la breccia di Porta Pia in Roma, che già tanti ne possedeva privatamente quasi beati agli occhi semichiusi del Buon Governo, la cui massima era lasciar fare il santo commodaccio. Anche a Genova, sotto la protezione delle Guardie di Pubblica Sicurezza occorse regolare l'entrata e l'uscita con il tornio orizzontale (turniquet) come all'ingresso di un'Esposizione di Belle Arti di Gran Successo, o allo sportello della Banca Nazionale, quando preme la riscossione delle cedole.

Il Questore ne fu impensierito; ed il Ministero dell'Interno, senza i voluti riguardi a un deputato, che da un anno non frequentava più la Camera, e a un commendatore della Corona d'Italia e dei Santi Maurizio e Lazzaro, che oramai abbondava nell'Obolo a San Pietro, acconsentì il trasferimento di Nerina De Ritz- Vispi dalle Chiavi d'Oro di Genova alla Casa di tolleranza di 1a categoria esercita da Mistriss Dell a Torino in via Bellosguardo.

 

* * *

 

Quivi Nerina, che alle Chiavi d'Oro aveva già ritrovata Gibigianna, ritrovò Bimblana, la Regina delle Gambe Fiorina Lucy, e quasi tutte le compagne del Santo Oblio, con questa differenza, che il Regio Governo le aveva disperse da quel ritiro religioso, ed ora le tiene costrette alla prostituzione profana. Di vero la norma civile per l'aggregazione di una fanciulla al postribolo concede anche riguardo all'età maggiori facilitazioni che per l'ammissione al matrimonio; ma quando le fanciulle sono attruppate alla Mala Vita, autorizza ostacoli quasi insormontabili, per il revocare gradus e ritrarsene. Tale è il debito spropositato, quasi insolvibile, che ogni padrone si affretta ad accollare su quei vivi strumenti di piacere, merce garantita dal Governo. Profittando del divieto di uscire imposto alle sue schiave, il padrone loro fa pagare al doppio ed anche al triplo del giusto valore il vitto e il vestiario. Così sulle traviate infeudate si accende un'ipoteca personale e pressoché inestinguibile, con la quale sono cedute dall'uno all'altro stabilimento: né si possono redimere senza una garanzia, che l'autorità cointeressata non giudica mai sufficiente.

Nello stabilimento di Mistriss Dell, durante il soggiorno di Nerina, atteso il rigido contegno della gente subalpina, fra cui per eccezione stranissima era nata quella Dea dei Capricci, non vi fu la ressa spettacolosa della città marinara.

Per converso occorse un caso di isolamento straordinario.

Capita a Torino l'eroe garibaldino generale Rinaldo Fromboliè, il quale, facendo valorosamente tutte le campagne del Risorgimento italiano, aveva pure trovato tempo di combattere strenuamente i beduini in Algeria colla Legione Straniera, insegnar sapientemente matematica e tattica in una Scuola Militare di Londra e segnalarsi brillantemente in un corpo di spedizione all'Indostan. Ora egli, che nella sua anima complessa contiene la semplicità omerica dell'eroe garibaldino, e le tendenze sfarzose di un Nababbo e di un Rajà, è venuto appunto a Torino per festeggiare in un ricevimento olimpico alcuni suoi commilitoni ufficiali inglesi reduci di passaggio con la Valigia delle Indie. Strappatili alla corsa utilitaria della Valigia, li convita splendidamente al primario Albergo d'Europa, e poi offre loro un trattenimento di sciampagna ecc. nel Casino di Mistriss Dell, maison de jouissance da disgradarne tutti i serragli Orientali. Per ciò egli ebbe cura di affittare durante una notte l'intiero Istituto esclusivamente per sé e per i suoi convitati.

Ne protestò un manipolo di studenti, che bussando per farsi aprire gridavano falsamente i nomi del Rettore dell'Università, del preside della facoltà di leggi e di un professore di geodesia. Le guardie li avrebbero irritati maggiormente, se non avessero loro fatto sentire, che la cittadella era occupata da un eroe garibaldino. Allora essi si ritirarono quetamente in omaggio alla epopea nazionale.

Nel salone cosidetto di onore, scintillante come un negozio di cristalleria per i lunghi e fitti calici dello Champagne, il generale Rinaldo Fromboliè, che aveva un profilo grifagno da Giulio Cesare e Napoleone I barbuto presentò gli avvampanti spadoni della sua comitiva inglese a quella Corte d'amore italiana, ma ad un tratto interruppe la sua galante eloquenza fissando Nerina, e mettendo nella fissazione la ferocia acuta, che lo rendeva terribile, quando comandava una batteria o spronava il cavallo sui campi di battaglia. In illis temporibus egli pure si era innamorato di tota Nerina e della Contessa De Ritz; e se glie ne fosse rimasto tempo, avrebbe voluto conquistarla in un torneo di paladini, o in un agguato brigantesco, con dieci duelli mortali o con una spedizione di Giasone o di Garibaldi. Ma averla a vil prezzo. No! mai.

Con voce tonante egli ordinò: ¾ Sia allontanata quella Signora! ¾ E solo dopo che fu assicurato della sua reclusione, egli diede il all'orgia: durante la quale però gli rimase una nube pensierosa: ¾ Perché non accorre un padre, un marito, un amante, a deportarla o meglio ad ammazzarla quella sciagurata?

Come sulla tela del pittore Franco Massi, così sull'anima del generale Rinaldo Fromboliè freme il precetto di Alessandro Dumas figlio: Tue- la.

 

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Quale correttivo dell'orgia indo- anglo- italiana, avvenne poco dopo nella Casa di Tolleranza riaperta al pubblico una visita di inchiesta morale scientifica volontaria.

Miss Giuditta Butler, che aveva a sua disposizione le colonne fulminanti del Times, aveva ottenuto dall'arreso Governo Italiano il salvacondotto privilegiato di man forte della Pubblica Sicurezza per ispezionare tutti gli istituti di educazione ed esercitazione meretricia del bello italo regno raccogliendo i dati con cui compilare il suo onorifico edificante libro dedicato a Guglielmo Gladstone ed intitolato: Una nuova negazione di Dio, ossia la prostituzione italiana.

Serrata nella sua amazzone, scintillante come acciaio nero, coi capelli mozzi, il naso adunco, su cui posavasi mezzo metro di lorgnetta, appariva la caricatura finale di Lady Morgan fatta da Angelo Brofferio nel Salvator Rosa. L'inglese apostola di redenzione delle schiave bianche si faceva accompagnare da un giovane Ercole Italiano, il dottor tosco lombardo Sebastiano Fini, il più virtuoso apostolo italiano per la cura degli scrofolosi, dei pellagrosi, delle deficienti e per la salvezza delle traviate, egregio scienziato, agitatore ed organizzatore, che la Massoneria nelle sue migliori parti umane e la stessa Reale Commissione per lo studio delle questioni relative alla prostituzione e ai provvedimenti morali ed igienici dovevano piangere presto immaturamente rapito alle lotte pel bene pubblico.

Quando Nerina mortificata e meditabonda per la reiezione inflittale dal generale Fromboliè affisò il torso membruto del giovane dottore tosco lombardo, le parve inverosimile la tesi da lui sostenuta che l'uomo debba conservarsi immacolato al pari della donna prima delle iuxtae nuptiae, e scandolezzata, come un giornale delle pantoffole, avrebbe voluto scagliarsi contra «questa specie di quacquerismo malsano e vizioso sotto la sua veste di morbosa austeritàMaledicendo si direbbe condannasse quel torso erculeo a piegare e svanire come un gracile fiore.

Invece sotto gli sguardi indagatori e correttori di Miss Butler si sentì dessa condannata.

Le parve, che nella amazzone, nella spinter inglese, che da femmina si era trasformata in terzo sesso, in sesso neutro, e diventerà suffragetta rivendicatrice del suffragio politico e amministrativo alle donne per attuare le riforme giuste, morali, sante, di cui gli uomini si mostrarono e si mostrano incapaci, le parve che si fosse trasfigurata Suor Crocifissa.

Poi Nerina diede un grido di verace riconoscimento. Essa riconobbe nella odierna sacerdotale visitatrice l'inglesina, con cui si era incontrata visitando per curiosità viaggiatrice la turpe, orrenda Imbrecciata di San Francisco a Napoli.

Ora la miss dallo spettacolo dell'infamia di Napoli si era elevata a missione redentrice; era divenuta la più alta colonna della Society for the suppression of the vice; invece essa Nerina era sprofondata nell'abisso dei corpi di reato, che si studiano dai laboratorii di scienza sociale.

Nerina non poté più oltre resistere all'ispezione, e si involò nella più alta stanzuccia.

L'erculeo dott. Sebastiano Fini, scotendo amaramente la nera testa da Sansone, sentenziò: ¾ Quella superba degenerata non resiste più alla grave caduta. Essa è precipitata qui solo per una effrazione plumbea delle ali.

Quantunque egli sostenesse la morale assolutista, semplicista dell'astensione assoluta dai piaceri venerei prima del matrimonio sia per le femmine, sia per i maschi, cionondimeno guidato dalla malleabilità dell'ingegno italiano ammetteva, che oltre i tipi refrattarii, vi erano tipi muliebri, che ingrassavano nell'ambiente meretricio, come nella loro beva. Egli aveva rimarcato un tipo speciale di vocazione sessuale mercenaria: mostaccino tondo, tendenza generale alla sfericità, assenza di affettività reale, pretese filodrammatiche, felicità nello sgarbo, che fa soffrire i gentili, inesorabilità nel far pagare a un povero studente il doppio per un bacio, o come dicono mercantilmente, per un passaggio replicato.

Alcune chiamate invano da questa vocazione, restano rovina crudele e beffarda delle famiglie popolane, borghesi e patrizie, ed invece molte creature di finezza femminile, che sarebbero dolcezza e sostegno della propria famiglia, vengono trascinate dal vortice della Venere vaga.

Miss Butler, che al becco, al lucco pareva dantesca, correggeva il suo giovane Sansone, predicando che non ci doveva essere vocazione per nessun briciolo di umanità al male; tanto esso è orribile. E traeva la filosofia dall'Inferno di Dante per l'ispezione, a cui aveva voluto compagno il giovane dottore tosco lombardo:

 

Per lui campare non c'era altra via

che questa per la quale mi son messa.

Mostrato ho lui tutta la gente ria.

 

E questa è pure la ragione morale del presente romanzo verista.

 

* * *

 

Verso il tocco pomeridiano nel tempo della canicola pesava un'afa così plumbea sulla via Bellosguardo, che neppure i cani randagii si attentavano a percorrerla. Soltanto l'arditissimo esploratore africano Gelsomino Mauroceni, che abitava dirimpetto all'istituto di Mistriss Dell scommetteva con la propria jattanza di compire la traversata in mutande.

Ma mentre egli spiava dalle stecche mobili delle persiane, la vista di un veglio tragicamente biblico lo fece ritrarre dalla buffa baldanza. Era il commendatore Atanasio Vispi, padre di Nerina.

Avuta certezza, anche per le sparate del generale Fromboliè, che la figlia sua era piombata e si batteva in quel fango, egli si recò a consultare l'avvocato Gioiazza per una necessaria definitiva liberazione. Pur di sottrarla dall'ignominia della città natia, egli avrebbe accompagnata la sua Nerina anche all'inferno.

L'avv. prof. Gioiazza, facendo la faccia più severamente compunta, gli spiegò, come nel diritto italianopatria potestà, né potestà maritale valevano contro il Regolamento privilegiato della Prostituzione.

Allora la mente poco colta, ma tuttavia robusta del droghiere emerito, concepì in embrione, senza che sapesse spiegarlo, un giudizio di Dio. Quando manca o si guasta la legge umana, resta la vendetta della Natura, che è ministra, figlia, esponente di Dio. E nella creazione un padre è investito dei diritti della Natura, è investito del vero diritto divino. Così egli votavasi al Dio della vendetta, mentre la figlia sua gemente ritrovava il Dio del dolore e dell'abbandono.

Attratto dal titolo, il comm. Vispi aveva comperato sopra un bancherottolo la Vendetta paterna, romanzo di Francesco Domenico Guerrazzi. Ma si accorse che non era punto il caso suo. Si trattava in quel romanzo storico di una maledizione divina, che aveva perseguitati a varii generi di morte squisitamente crudeli tutti i figli di primo letto rei di avere ammazzato la bella e giovane seconda moglie del vecchio padre. Invece, quando a lui era mancata l'angelica sublime consorte regalandogli Nerina, egli aveva giurato eroica fedeltà alla memoria dell'estinta; ed aveva mantenuta quella fedeltà eroica soprattutto per la memoria di lei viva nella loro creatura Nerina; egli, così assueffatto al comando, si era reso schiavo dei capricci di una fanciulla; per essa aveva subìto tutte le novità, anche le caricature del mondo. Di sua figlia droghierina, aveva fatto la più invidiata ed invidiabile contessa. E quale compenso ne aveva in fine ricevuto?

Negli occhi del portinaio, del lustrascarpe, di quanti incontra, egli legge: ¾ Commendatore, hai la figlia in un bordello. ¾ Da quella visione egli si sente ferocemente ingagliardito, ingigantito.

Spezzerebbe coi suoi pugni le tavole della Legge di Mosè e coi suoi calci le dodici tavole del primitivo diritto romano, ed è mosso inconsciamente, storicamente da loro.

Sì! È Dio che lo chiama ad un sacrifizio di Abramo. «Il padre una figlia perversa deve ucciderla, non graziarla

Con questa formola, egli senza saperlo, corrisponde al ius necis dato alla patria potestà dagli antichi romani, colla loro ragione naturale scritta da Dio per gli uomini.

 

* * *

 

Il Comm. Vispi entrò come la statua di un fantasma nel portone di Mistriss Dell, ed infilò la scaletta, mentre la sua Nerina accovacciata nell'alta cuccia si raggomitolava in se stessa, come per annullarsi nel massimo stringimento della sua anima. Con intima ignota poesia le pareva rifugiarsi stretta nell'idea della morte, che sola può rendere il riposo turbato dalla vita.

Fiero ed impassibile, come la statua di una celata vendetta, il Commendatore la mandò a chiamare.

Quando essa comparve, e vide il padre suo trasfigurato in un simbolo di storia sacra, essa tutto comprese, tutto divinò. Troppo profanamente adatte al loco, le suonarono nella mente le parole dei figli al Conte Ugolino:

 

Padre... Tu ne vestisti

Queste misere carni, e tu le spoglia.

 

Più tremendo del quadro infernale ritratto da Dante essa vide rispecchiato in se stessa il quadro del padre nell'ora terribile con la figlia prostituta: morte di ogni capriccio. Automaticamente accese il candeliere di pieno giorno, e precedette il padre nella stanzuola cubicolare, elegante cella del vizio, con lo specchio sotto la cupola del baldacchino. Da quello specchio balenavano spade di angeli, coltelli di sacrificatori.

Giunta presso il letto, Nerina, invece dello spogliarsi professionale, si copre le spalle con la più devota decenza, e si inginocchia.

¾ Recita pure l'atto di contrizione.

Mirando la figlia, il padre dubita che sia grossa. E lo assale un'immagine rimastagli dalla lettura della Vendetta paterna del Guerrazzi: un'immagine, che gli domanda: ¾ Prima di compiere il gran fatto o misfatto, dovresti arrestarti, quando la tua Nerina fosse madre? La maternità lava, monda la femmina, divinizza la donna. La capra Amaltea, balia di Giove, disseminò con le stille del suo latte una fiumana di stelle nel Cielo. La madonna con le goccie del seno, onde crebbe Gesù, disseminò stelle in milioni e milioni di cuori.

Ma nel cuore del commendatore le stelle appaiono e spariscono, come faville in carta bruciata, che lieve si irrigidisce e si screpola nera.

¾ Madre di chi? Madre per chi?

Meglio non nascere, che nascere seme di bordello da chi abbia rubato le dieci lire.

Ed ai nati, meglio nessuna madre, meglio una madre morta, che una madre fiorente, di cui debbano vergognare.

¾ Nerina! Hai detto bene l'atto di contrizione?

¾ Sì! padre.

Il commendatore alto, la fronte indietrata, ben mirando, con il braccio destro rigidamente abbassato, sparò la pistola.

Si sentì un colpo tale da spaccare una testa.

 




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