Seguitando a
spigolare nel Corso libero di Ilarione Gioiazza si potrebbe immagazzinare altra
erudizione di miserie; ma il romanzo della vita capricciosa ne richiama dalla
dissertazione all'azione, o piuttosto alle azioni, delle quali ohi! molta parte
sono cattive, e si negoziano nelle borse del vizio. Il peggio si è, che alcune
volte vi partecipano senza colpa uomini virtuosi.
Virtuosissimo era il
baroncino Svembaldo Svolazzini, il quale neppure un istante accertò la
distinzione mondana tra spassi erotici e fondamenta della famiglia, per cui
spuntare un capriccio, aguzzare un corno (surese un breit) con Nerina
non sarebbe poi stato alla fine dei conti rovesciare l'altare domestico, e
tanto meno un finimondo; perché secondo la morale utilitaria dei mariti,
all'esilarante Nerina si dà un'ora superficiale, dopo cui si ritorna più mogii
alla serietà perenne dei doveri coniugali.
Invece il baroncino
d'acciajo persiste nel suo programma; nulla nulla alla capricciosa Nerina;
tutto tutto alla sacra ed inviolabile di lui consorte.
Poiché le
persecuzioni amatorie di Nerina non cessano, egli ascolta una sera al Caffè
dell'Acquasola un amico che dice: ¾ Sai?
Anche il bardo della democrazia, ed anche il venerando presidente del Senato
finirono col rivolgersi alla Questura per liberarsi dall'assedio di una
poetessa tremendamente innamorata.
Se così fecero un
bardo cavalleresco, ed un cavaliere dell'Ordine Supremo della Santissima
Annunziata, non potrà farlo lui, semplice difensore della nobiltà operaia e
della onestà familiare?
Alla mattina
seguente, mentre usciva di casa, vistosi lanciare un fiore e un bacio
spudoratamente dal balcone di Nerina, che pareva esalasse un tanfo di orgia,
andò difilato dal Questore, il quale era il cav. uff. Spiridione Losperanto.
Uomo navigatissimo, siculo ardito e concentrato trovavasi al suo posto in una
città marinara, a fronteggiare il ripullulio della vena repubblicana allargata
e approfondita dal Mazzini e il ribollimento dello spirito religioso, che
invocava o bestemmiava la Madonna alla vista o nell'oblio dei naufragii. Uomo
eminentemente sopracigliare, con un arco quasi acuto delle sopraciglia accolse
la sposizione del barone Svolazzini, significandogli come un rimprovero
sardonico senza parole: ¾ Un
bell'uomo come Lei, non è capace di saturare da sé quella Messalina, che lo ha
preferito a un ammiraglio inglese, e ricorre alla Questura?!
Poi, da severo
isolano, rifletté alla giusta gelosia della famiglia, rifletté da accorto
funzionario, come il baroncino Svolazzini fosse una colonna granitica, un faro
d'ordine in un centro operaio, una forza da rispettarsi per le prossime
elezioni politiche ed amministrative. Quindi giovava contentarlo. Perciò con il
suo usuale sparagno di parole, lo licenziò assicurandolo: ¾ Il
barone del lavoro sarà servito.
* * *
Per liberare la
società di una malafemmina, che aveva ridotto il legittimo marito a deputato in
congedo perpetuo per malattia, ed aveva ricacciato il principale drudo, già
luminare della letteratura europea, alla scurità selvaggia del borgo natio, e
minacciava complicazioni internazionali, turbando la rotta strategica di un
ammiraglio inglese, e produceva infinità di guai nell'economia morale della
nazione, cagionando anzitutto chi sa quali stati vertiginosi d'anima a un
padre, pietra di rettitudine, il Questore pensò anzitutto al manicomio, come
arca di salvezza per la sua politica interna.
Ma il delegato
avvocato Lupastri affacciò le lunghe pratiche che si dovevano esperire per
l'ammissione a uno spedale di mentecatti; che vi era urgenza a riparare lo
scandalo; e che il più ovvio riparo a tali scandali, senza pericoli in mora,
era offerto dal postribolo.
Il questore, uomo
eminentemente sopracigliare, non nascose con una irsuta alzata di sopraciglia
la sua sorpresa disgustosa per quella giurisprudenza pratica. Ma poiché egli
sapeva perfettamente che le cose andavano veramente così nell'applicazione di
un regolamento minato dalla scienza morale ma ancora intatto pella legalità,
diede l'incarico al competente delegato Lupastri, che provvedesse secondo il
caso. Il cav. uff. Losperanto gentiluomo riguardoso si asteneva personalmente
da quelle turpitudini legali, e le lasciava ai suoi subordinati, senza badare
molto all'avviso del prof. avv. Gioiazza, che trattando materia turpe il basso
personale si deturpasse maggiormente, e senza allontanare il sospetto
balenatogli dalle spese soverchiamente lussuose del delegato Lupastri, che
questi pure vi fosse cointeressato.
Appunto in quei
giorni si erano eccitate le bramosie lupigne del danaro inodoro, anche se
estratto da un pozzo nero.
L'associazione degli
impuniti, anzi protetti malfattori, che mercanteggiano regolarmente carne
umana, nel pericolo della propaganda umanitaria, che tendeva ad abolire il
regolamento meretricio, si rivolgevano alla Questura, come al più ricco cespite
di loro entrate da sfruttare in extremis.
Tra l'esercizio
pubblico e l'esercizio privato della prostituzione verteva una concorrenza più
sfrenata che in parlamento la competizione tra l'esercizio publico e
l'esercizio privato delle ferrovie.
Magazzini di mode,
persino negozii di pianoforte larvavano ritrovi, in cui si contrattava e si
consumava l'amore tra sfarzosi banchieri, alti impiegati, gros-
bonnets e lauti pensionati, e povere modiste, od artiste, e
giovani mogli di miseri travet, in barba al Regolamento.
Una signora
improsciuttita, di cui erano avventrici vispe sartine ed esordienti ballerine,
una volta che queste facevano un chiasso troppo petulante le ammonì: ¾ Si
direbbe, che questa non sia una casa, ma un casino.
Alla superbia delle
impresarie d'amor libero corrispondeva la invidia delle conduttrici e dei
conduttori di stabilimenti erotici autorizzati dal R. Governo.
Pareva a costoro, che
con l'industria della Venere eslege non solo si frodassero i loro diritti
acquisiti di contribuenti patentati, ma si tradissero gli alti fini, per cui la
tassa della prostituzione, senza controllo della Corte dei Conti, impinguava il
fondo delle spese secrete, con cui si sovvenivano eroici patrioti e si
retribuivano preziosi confidenti per la sicurezza dello Stato: altro che fondo
dei rettili!
Si aggiunsero i danni
dell'esportazione.
Si parlò di
cinquecento prostitute italiane emigrate soltanto ad Alessandria d'Egitto.
Che dire delle
richieste dei mercati di America, mercati divoratori di carne umana in ricambio
dell'estratto Liebig? Agenti di emigrazione comprano selvaggina muliebre agli
stessi genitori e agli stessi padri di razza e misura brigantesca e ne caricano
bastimenti... specialmente dal porto di Marsiglia, dove vi sono grandi case di
commercio raccogliticcio per la carne umana da macello veramente gentile! Tanto
che in un gioco di società a S. Francisco di California, avendo l'intimatore
detto: «è arrivato un bastimento carico di...» e gettato contemporaneamente il
fazzoletto a una signorina stordita, questa rispose «carico di vacche» e
l'intimatore, senza tema di parere shoking, domandò: di quante gambe?
Tali sussurri
correvano tra gli esibitori italiani di merce garantita dal Governo, e questi
minacciavano di chiudere gli sportelli, come Casse di Risparmio sull'orlo del
fallimento. Si arrotavano con i complici arnesi di questura; ed avrebbero
preteso inchieste severissime, purgatrici sugli istituti che muovevano loro
illecita concorrenza, e specialmente sulle scuole di Ostetricia. Una maestra di
ginecologia licenziata da una Amministrazione Ospitaliera come turbolenta e
morfinomane e rifugiatasi a direttrice di una casa di tolleranza, non avendo
potuto ottenere la riabilitazione sociale dal professore, che l'aveva
lungamente tradita, si sfogava a narrare turpitudini di lui, dei suoi aiuti,
delle allieve e di tutto quanto l'Istituto. Benché essa lo avesse incitato alla
gloria, additandogli sotto la parete addominale di una cospicua operanda la
parola «commendatore» egli era divenuto un vero Jack squartatore: nel
libero esercizio clandestino il prezzo ordinario degli aborti criminosi ridotto
a lire cinquanta; esplorazioni numerose ed inutili alle pazienti del riparto
ospitaliero per il dileggio della scolaresca; domande triviali e vergognose;
alunne, che fanno la guardia notturna in compagnia degli studenti; studenti e
medici di servizio, che non si contentano delle alunne, ma abusano delle stesse
malate, fra le quali una sottoposta ad una sfilata di cinque, l'assistente e
quattro studenti; levatrici e alunne in veste scollata, senza maniche, danno
alla clinica l'aria di un vero casino; gozzoviglie di polli, gelati al chermes,
zabaioni, burlette di parti, balli orgiaci, detti profanamente dell'angelo.
Si invocava il rigore
non solo contro le scuole di ostetricia, ma altresì contro gli istituti di pie
vergini, essendosi raccontato dall'on. Rino Zerbinella, che un direttore
spirituale aveva contemporaneamente ingravidato venti educande.
Mentre i mercanti
brevettati di schiave bianche si sbraitavano contro la concorrenza aliena, essi
acuivano la loro attività incettatrice. Nello studio a volo d'uccello
licenziato dal professore Gioiazza si vedono due mila fanciulle all'anno
arrestate a Parigi, matricolate, e brutalizzate legalmente. Che orrori costa
questa confezione di macchine del piacere! Che avvilimento sistematico di
creature umane, proletarie della voluttà, dove le parvenues del vizio
sono lasciate libere nella loro scandalosa influenza sociale. Ed oltre le
immani razzie della poveraglia servile, specialmente rusticana (vi sono
villaggi d'ereditaria bellezza femminina, che se ne sono formata una specialità
di produzione mercantile), oltre le retate delle frustatrici di marciapiedi
cittadini, che concorrono principalmente a suppeditare da centomila a
centocinquantamila reclute occorrenti annualmente al commercio internazionale
di carne fresca per vecchi consumatori, altre sottili, maliziose industrie si
scavolozzano per ingrandire, o impreziosire l'esercito della Mala vita, immane
gregge di vittime sacrificate al Moloch della lussuria.
Si falsificano
contratti per posti di istitutrici, e le malaccorte si domano coi flagelli, che
lasciano il segno, come accadde in Ungheria, secondo un caso riferito dal
Gioiazza.
Si insacca il
maggiore contingente di povere serve e cameriere disilluse dai sogni seducenti
nei rapporti con agiati dilettanti dell'amore ancillare. Si offre un facile
impiego alle canzonettiste, a cui si è fatta calare la voce.
Si spinge altamente
il prossenetismo, la provocazione al male, sfruttando poscia la
squalificazione sociale delle amanti illegali, che le precipita agli ultimi
gradini. Tutta la diaboleria è messa in moto, assoldandosi bande di
seduttori sparsi per l'Europa ad accaparrare le schiave bianche, raffinati nel
lavorio di risvegliare il demone dell'ambizione, dell'ozio e della carnalità, e
lesti a disfarsi delle loro amanti private a sollazzo pubblico. Essi si fanno persino
impunemente poligami con il solo vincolo religioso. Si adoperano ruffiane
vestite da monache.
Insomma le commedie
dell'antica Grecia, dell'antica Roma, e del cinquecento italiano, materiate
principalmente di ruffianesimo, sono superate di gran lunga.
Fra i seduttori era
presentemente in Genova a disposizione dell'Agenzia immorale stabilita alla
Salita dell'Imalaia, il signor Orseolo Lionello, a cui si può dire che il re
dei Diavoli concedesse le forme più angeliche; egli era un Satana carnalmente
travestito da cherubino. Dell'antica famiglia gentilizia aveva serbato la
materialità esteriore. Squalificato, boicottato dall'alta Società, perché
scoperto baro al gioco, egli si perdette dell'anima, ossia si ritrovò nel più
profondo baratro di immoralità, con l'anima superbamente vendicativa di un
Lucifero contro la società tutta quanta.
Egli dalla sua
Agenzia venne messo in relazione con il delegato di Pubblica Sicurezza avv.
Lupastri, e da questi posto a contatto con le due guardie più idonee al
servizio delle case di tolleranza. Giammai un contatto fu più stridente, perché
Orseolo Lionello onorava plasticamente la camicia di marinaio inglese, in cui
si era camuffato, e le due guardie dette Squinci e Quindi più che altri del
loro antipatico corpo difformavano l'uniforme militare dalla casseruola del
kepì alla correggia della sciabola ciondolona, tra cui spaziava una schiena da
randello e una culatta da calci.
Come i borsisti
speculano raccattando titoli ribassati nella aspettativa di un rialzo
fenomenale, così i mercanti di carne umana (carne fresca sanguinante, carne
cruda conservata nelle scatole e carne cotta alla minuta) speculavano
sulla vistosa sciagura della contessa Nerina De Ritz Vispi al mercato della
bellezza.
Prima ancora che il
Questore ricevesse dal barone Svembaldo Svolazzini l'istanza di essere liberato
dalle persecuzioni amatorie della decaduta Contessa, gli agenti della Salita
dell'Imalaia avevano divisato di predare e negoziare quello straordinario
bocconcino d'amore. Se non che, proprio al punto buono, quando la licenza era
data gerarchicamente dal Questore, la caccia diventava maggiormente difficile,
imperocché la Contessa evitava gli agguati, e non dava pretesti di intervento
armato.
Essa, intestatasi nel
suo capriccio per il giovane barone, respingeva tutti gli altri adoratori, pei
quali vigeva la consegna inesorabile dell'uscio chiuso. Questa clausura era
così rigorosa, che ella non volle neppure esaudire la preghiera di un principe
russo, il quale le offriva tremila lire solo per ammirarla in camera
charitatis senza possederla.
Essa rispose: ¾ Capisco!
Tutto il mio corpo è tanto bello, che tutti mi devono amare. Ma ora il mio
capriccio è per uno solo.
Ed il suo capriccio
per lo Svolazzini si avvelenava nella gelosia.
Essa era gelosa di
ogni fiacre, che passava opaco con le cortine abbassate. Sentendo l'acciottolio
nel tinello della palazzina prospiciente, essa si rodeva, che l'amato baroncino
si rimpinzasse di cibi afrodisiaci o restauratori per altra donna. Gli avvisi
amorosi nella quarta pagina dei giornali le parevano diretti da sue rivali a
lui, o da lui ad altre amanti: «Atalà... Sono la tua poesia... ¾ Chérie
Prima di partire inebbriato dalla tua presenza... ¾ Reseda... I miei pensieri,
il mio cuore e l'anima mia sono e saranno sempre teco... ¾ Queen
Ti rivelasti fervida amante. Sarei felice essere sempre tuo schiavo, Regina
mia... Ti abbraccio e ti copro tutta tutta di baci dal capo ai piedini...». E
se quelle parole fossero proprio dirette da Lui a Lei... Oh vano sogno!
Al contrario di
Orlando ed Angelica, pareva che egli avesse bevuto alla fonte dell'odio, ed
ella alla fontana dell'amore...
In un momento di
supremo disgusto disperante e di suprema gelosia vendicativa essa dal
balconcino vide passare e ripassare Lionello Orseolo, e la invase un capriccio
fulmineo detronizzatore.
¾ Dio,
come è bello! Pare Garibaldi. Pare Gesù.
E ritraendo il capo
con una strizzata d'occhi gli fece l'invito della cortigiana. Egli salì.
Dopo il congresso,
gli occhi di Orseolo Lionello brillarono di acciaio come occhi di banchiere;
pareva che una nube fosca fosse discesa sopra il suo splendore d'arcangelo.
Egli domandò
rudemente: ¾ Dammi il
resto della sterlina...
La Contessa Nerina
dapprima sorrise, come di uno scherzo, non riuscendo neppure ad immaginare di
quale sterlina si trattasse. Ma dovette presto atterrirsi, scorgendo una
violenza chiusa, inesorabile, nella insistente pretesa menzognera.
¾ Via,
presto; ché non ho tempo da perdere... Fuori almeno un marenghino; ché non
vorrai stimarti più di uno scudo...
E fece il gesto
rapido di frugarle le calze.
Essa non meno
rapidamente fu sul balcone per gridare soccorso; ma egli la prevenne gridando: ¾ Guardie!
guardie! Mi hanno rubato.
Immediatamente
comparvero le guardie Squinci e Quindi con il delegato di Pubblica Sicurezza
avv. Lupastri, il quale correttamente spiegò, come spettava all'Autorità
Governativa, regolare il prezzo della Prostituzione, secondo la R. tariffa
fissata ed estensibile in ogni luogo di regolare esercizio. Quindi osservava
con vista di rammarico, che la signora non era in grado di esibire la patente
di Venere Mercenaria, per cui occorreva la investitura del magistrato
particolarmente adibito. Egli era pertanto nella spiacevole necessità di
ordinarne l'arresto, per regolarizzare la situazione.
Nerina ebbe un lampo
di offrire per il suo scampo un tesoro di gioie, di monete e di titoli, e il
tesoro corporale di se stessa. Fra tre non potevano compromettersi in quel
dividendo; e tacitamente il delegato e le due guardie si accordavano nella
speranza di maggiore mancia, eseguendo il regolamento. La vettura era da basso,
che aspettava.
Nerina, affacciatasi
all'uscita, volle arringare un capannello di popolo formatosi.
Ma la plebe già
indettata dalle guardie, credeva che la contessa sgualdrina avesse persino
arraffato l'orologio al bel marinaio, e tenesse un monte di refurtiva, onde
adoperando la fantasia rabbiosa, che aveva mandato in croce Gesù ed osannato a
Barabba, urlò: ¾ Al
bordello la putta; in prigione la ladra!
Spinta nella vettura
di cui si calarono le tendine, essa si sentì condotta irremissibilmente a un
trabocchetto d'infamia, mentre una raffica di fischi soffiava al suo indirizzo,
frammisti ad applausi per la brillante operazione della Questura.
Al rullo della
vettura essa provava una sensazione vertiginosa più che nel saliscendi delle
montagne russe al gioco del Taboga. Era il ricorso della sua vita ascendente,
che ora precipitava, precipitava...
Le era mancata la
madre, mentre la metteva alla vita. Come a una reliquia viva della defunta, il
babbo le aveva tosto data una custodia di adorazione. Quel padre gigante
selvaggio nel commercio venne addomesticato dal sentimento vedovile e paterno,
reso balocco dei capricci di una bambina. Quindi Nerina potè spadroneggiare
presto a suo talento nei capricci di conquiste fatte e lasciate lestamente
senza fine con voglie indomite e sprezzi superbi.
Oh il brulichio delle
sue conquiste! Non ha tante margherite un prato di maggio; non ha tante lucciole
la danza notturna dell'aria sul finire di giugno!...
Dapprima conquiste di
studenti e commessi di negozio... poi una ascensione sterminata nelle
conquiste: ufficiali di cavalleria, dei bersaglieri, di artiglieria ed anche
del Genio; dottori in ambe leggi e in lettere e filosofia; quindi eroi,
deputati, illustrazioni europee, diplomatici, principi, e più in su frati
splendidi come vescovi greci nel Convento delle Meteore, dove in una
celebrazione sacrilega le parve di avvicinarsi maggiormente a Dio assai più che
nell'udienza del Santo Padre Pio IX... Dalla cima il faut descendre...
Eccola scivolata con un tonfo e uno spruzzo di Paradiso nel purgatorio di Terra
Santa, nelle acque del Giordano. Così detersa, perché non si contaminasse più,
venne avviluppata nel rifugio del Santo Oblio. Ma succede un nuovo diluvio, una
nuova dispersione delle genti... Ed essa ora discende, discende all'ultima
perdizione.
Dal rullo si sente
scendere anche la vettura chiusa, dove la Contessa Nerina, come una prigioniera
delinquente, aveva a lato il delegato e di fronte le due guardie di Pubblica
Sicurezza. Mentre essa percorre con la mente profonda gli stadii della sua
vita, si sente palpare oscenamente dal delegato Lupastri, a cui essa schizza
negli occhi uno sputo di saliva accecante; e balza per rompere gli sportelli e
lanciare ancora uno strillo di soccorso.
Ma le due guardie
Squinci e Quindi superiormente coadiuvate dal delegato Lupastri sono pronte ad
imbavagliarla ed ammanettarla.
Allora Nerina
nell'anima sua corrotta provò le sensazioni verginali della martire Lucia
Mondella rapita e trascinata al Castello dell'Innominato.
Si sentì la vettura
entrare nello scuro di un androne; e dopo l'entrata serrarsi immediatamente il
portone; che parve a Nerina il finimondo, come al conte Ugolino, quando si
sentì chiavar l'uscio di sotto all'orribile torre. L'istituto, a cui era
tradotta Nerina, si chiamava appunto delle Chiavi d'Oro.
Per una stretta scala
marmorea dalle maniglie dorate e dai cordoni serici essa venne tratta e spinta
su, mentre facevano capolino le numerose sacerdotesse di Venere vendereccia e
patentata nelle loro bianche stole trinate, gigli ironici, da cui uscivano a
grand'agio i garofani carnicini e le rose spudorate della loro bellezza
prostituita.
Vennero tutte assembrate
nella sala maggiore, che si chiamava scherzosamente la sala del trono, per il
ricevimento. La maggior parte, e più di tutte la Vacca borghina, che
portava la pancia come un tamburo, esprimevano col sorriso curioso ed attento
un saluto di contentezza diabolica: «Ah ci sei anche tu finalmente con noi, e
starai come noi, tu che facevi liberamente la signora, rubandoci il mestiere!»
Agli occhi spauriti,
alle orecchie ronzanti di Nerina, in quel salone soffice, imbottito, come una
cabina di bastimento, illuminato a gas di mezzogiorno parve che una voce
telepatica, la voce di Spirito Losati fantasma masticasse versi infernali di
Dante: terribile stita... cruda e tristissima copia... genti nude...
Quando essa fu
liberata dal bavaglio e dalle manette, si slanciò come una tigre contro la
pancia petulante della Vacca borghina. Ma allo strillo di campanello
scosso dalla vecchia mammana Veronica Gibus, spulezzarono tutte le
sacerdotesse, chiudendo gli usci a chiave, e con loro si erano allontanati il
delegato e le due guardie di Pubblica Sicurezza, a cui pareva di avere già
fatto abbastanza per meritarsi la più grossa mancia.
Rimasero sole testa a
testa Nerina e la direttrice Veronica Gibus, in quella sala detta del trono,
perché sei cuscini sovrapposti al centro nel lato superiore del canapè, che
dintornava tutte le pareti, formavano un divano da gran turco e da grande
odalisca. Veronica Gibus era la maestra ostetrica smessa, che, quando era
giovane allieva, era stata cacciata nel letto con un pugno scherzoso del celebre
professore, e poi finite le grazie, ne era stata scacciata con un calcio iroso.
Squadrandola tutta,
quanta era lercia, la contessa Nerina disse: ¾ Non
voglio sporcarmi le unghie nelle vostre carni. Andatevene anche voi.
Veronica, che teneva
il mazzo di tutte le chiavi a cintola si ritrasse, lanciandole uno sguardo di
sicuro predominio.
Vistasi perfettamente
sola, Nerina con un impeto di allegria trionfatrice volle dare un terribile
cozzo del capo nella parete, su cui la mente confusa, rintronata sentì soltanto
una mollezza recipiente; ché tutta quella sala dagli spessi tappeti all'alto
divano era un batuffolo di bambagia cucita, per evitare i suicidii delle teste
sventate, e perché ogni rincorsa di maschio o capitombolo di femmina
s'affondasse in un nido elastico. Disperata di morire, Nerina pianse per
quattordici ore di seguito. In quel diluvio di lacrime, le comparve l'iride di
Gibigianna, già sua compagna al Santo Oblio ed ora coscritta come lei in quella
Compagnia della Morte Morale. L'influsso fisiologico della presenza vagola e
scherzosa di Gibigianna avviò Nerina agli adattamenti e agli accomodamenti
della situazione. Pel digiuno fisico essa presentì quasi l'ebbrezza di toccare
sino al fondo della miseria nella immoralità umana.
Dall'orrore fetente
dell'Imbrecciata di Napoli, riconobbe, che senza mutare mestiere il vizio umano
saliva alle lenzuola profumate d'ireos. Gibigianna, che le portò dinnanzi un
assortimento di pepli e velarii, in cui essa poteva apparire come una Dea tra
le nubi, una imperatrice Semiramide o una regina Cleopatra sul trono; quindi
una bottiglia di Sciampagna sturata opportunamente da Veronica, compirono nella
ilarità vaporosa un miracolo di ultima ed unica seduzione sopra di lei, se
miracoli si danno e si possono chiamare in quell'inferno di preteso paradiso.
Anzi quella infima
dedizione parve una concatenazione finale alla logica della sua vita
capricciosa, per cui essa si era fatta una morale fuori delle leggi sociali;
cessando d'andare in chiesa si era fatto un Dio naturale fuori delle leggi
ecclesiastiche, e si era fatta da lei stessa tutta la legge col suo libito, al
pari della prelodata Semiramide. La nuovissima colpa le diveniva un diritto
dell'anima. Ed essa non avrebbe ritardato a soddisfarlo in foggia di
Semiramide, se non l'avessero colta coliche nefritiche, per cui la morfinomane
Veronica Gibus le fece numerose iniezioni di morfina, che le resero più ardente
l'eccitazione psichica. Ma nella sua prudenza di pratica nosocomiale la mammana
ritardò a mettere in commercio la straordinaria recluta, di cui l'aspettazione
cresceva il valore nella cupida clientela!
Nerina ebbe una
nuova, ma più lieve, crisi di pianto, durante la quale le parve di sentire
Spirito Losati, che intonava fantastico rimprovero: Lugete Veneres
Cupidinesque, e terminava con il dire di lei consacrantesi
all'erotismo venale ciò che Dante disse di Ifigenia diversamente sacrificata:
Pianse
Ifigenia il suo bel volto
E
fe' pianger di sé i folli e i savi.
Ma che pianto! che
pianto! Nerina esce dal lavacro delle coliche più purgata che dalle acque del
Giordano. È una fiamma di Salamandra, di cui si dichiarano entusiasti, ammirati
come d'una ottava meraviglia del mondo, i due primi avventori, due giovani ufficiali
del Corpo Reali Equipaggi, che pur erano due portenti di bellezza bellicosa.
A quella reclame fioccarono
gli altri avventori. Notevoli i poeti liceali, che cercano con interrogazioni
affaticanti il filo del romanzo di ogni sgualdrina, fucinando inani propositi
di riabilitazione. Nel deriderne l'inesperienza Nerina avvisò quanto fosse vera
l'avvertenza del Professore avv. Gioiazza riferitale dal farmacista letterato
Evasio Frappa in proposito dell'iscrizione di vergini fra le prostitute: che il
postribolo diviene la più attiva scuola di educazione sessuale vagheggiata da
un Congresso femminile: «Sexual- Erklärung» come vuole la
pedagogia tedesca di gran moda.
Poco per volta nella
plasticità dell'ambiente la Casa di Tolleranza detta delle Chiavi d'Oro le
diventa il più bel Castello d'amore per una Marca Amorosa. Le etaire, essa
ricorda, secondo il poeta neo- greco, sono infine fiori che
stanno schiusi tutta la notte.
Vi sono fanciulle,
come tralci di vite e di glicene, che si prolungano domandando qualche cosa da
abbracciare, e se non trovano nulla a cui appigliarsi disseccano nel vuoto
dell'aria tentata.
Ad esse provvede
esuberantemente l'istituto, secondo la consumata filosofia dei Capricci di
Nerina, la quale nell'erudizione rimastale dalla gran vita, nonostante il poco
studio, sentiva di comprendere allora perfettamente il forte e grazioso pittore
vercellese Giovan- Antonio Bazzi detto il Sodoma. Questi
cominciava a disegnare le donne nude per dare loro giusta movenza, prima di
vestirle dei suoi stupendi colori. E quale lezione diede il Sodoma ai
calunniatori di lui e delle meretrici! Egli, calunniato dal Vasari di aver
dipinto disonestamente un ballo di femmine ignude, ritrasse Fiorenzo prete che
in ispreto di S. Benedetto conduceva intorno al costui monastero una teoria di
meretrici a cantare e ballare per la tentazione dei padri votati alla castità.
Ebbene nel bel affresco idealmente dipinto, eccettuata l'unica ballerina velata
assai leggermente ma di leggiadria perdonabile, se non impeccabile, si
scambierebbe quell'accolta di femmine per un corteo di principesse, o per un
concilio di severe matrone, tant'è con la soavità dei volti, la compostezza degli
abiti e delle attitudini.
Secondo Nerina oramai
incapriccita, estasiata della sua ultima parte, il decoro delle meretrici ha
molto da insegnare alle scollacciature dei balli di corte, dove senza
imprecazioni di predicatori o di altri moralisti professionali si mostrano
brulli i promontorii dei petti ed i canali delle schiene femminili.
Nerina sogna
addirittura di pontificare, presiedendo ad una accademia del nudo artistico
esuberante nella Scuola veneziana dal Giorgione a Paolo Veronese, che indiarono
pittoricamente le cortigiane.
Gli ipocriti
dell'Italia ufficiale e convenzionale non possono certo scandalezzarsi, se
riferiamo questi quadri e queste fantasie moralizzanti di nudo orrore, mentre i
beniamini delle gonfiature scimmiesche o cointeressate non sanno più modellare
un nichelino da venti centesimi, una medaglietta commemorativa di poeta
iracondo, o la targhetta pel giubileo di un giornale della democrazia educativa
senza stiaffare le natiche od altre indecenze muliebri.
Il concettoso pittore
di genere Franco Massi, bel profilo, sebbene un po' schiacciato e assai
uncinante era habitué delle Chiavi d'Oro. Rincasava pentito ed imprecava
sul diario alle donne usuraie del piacere, serbatoi di malattie, ghigne da
schiaffi. Ma vi ritornava, con la scusa di andare dal vero per il suo
quadro «Tue- la». La romanesca Lucrezia, sentito che
egli preparava un quadro intitolato «Ammazzala» non gli risparmiò il
complimento: ¾ Che
possa te morì ammazzato!
In grazia del Governo
Italiano, il principe russo per cinque lire possedette ciò che era disposto
soltanto ad ammirare per tremila lire. Si vociferò che una notte allo stesso
economico serraglio delle Chiavi d'Oro accedesse in imperfetto incognito un
prosaico futuro Presidente del Consiglio, cui il barone di Sapri superbamente
rimproverava di non avere mai avuto per amante una duchessa.
Non mancarono altri
visitatori eterocliti. Non ostante il travestimento da originario bifolco,
venne riconosciuto per la chierica male spersa tra i fumi della incipiente
calvizie un arciprete di montagna che pareva portasse sulla fronte corna
stizzose di luce diabolica.
Tra gli straordinarii
clienti non passò inosservato, sebbene camuffato da comico Truffaldino
sbarbatello, il famigerato teologo Don Gregorio Barsizza, polemista clericale
con istinti da accoltellatore, il quale aveva dovuto lasciar partire per
Alessandria d'Egitto due rovinate figlie di banchiere, a cui tirava i conti; e
non gli era parso sufficiente sfogo la diatriba contro il Governo
bancarottiere, «ruffian, baratti e simili lordure.»
Artisticamente più
umano che lo stesso pittore Franco Massi si mostrava il minore osservante,
padre Equoreo, splendido come un sacerdote d'Apollo, dalla voce di tenore
paradisiaco. Il popolo imparadisato dalla sua voce in chiesa gli risparmia le
bajate, che prodiga ai frati sorpresi ad entrare in un bordello. Ed egli di
facile contentatura dichiara di preferire le cortigiane di professione alle
devote ammiratrici, che lo seccano a farlo cantare, mentre non c'è caso di
siffatte pretese alle Chiavi d'Oro. Non l'avesse mai detto! Ché Nerina si
impuntò ed ottenne di fargli vociare il più serafico pange lingua mentre
essa lo accompagnava al pianoforte dai tasti frusti per le più oscene danze. Fu
certo il più sacrilego dei suoi Capricci per pianoforte.
Ciò suscitò uno
scandalo enorme, che ebbe una ripercussione di terremoto anche alla
Congregazione dei Riti a Roma.
Si minacciò la
scomunica, che ebbe termine nella Missione di padre Equoreo alle tribù più
selvaggie dell'Africa equatoriale.
I cannibali del Congo
saranno convertiti dalla voce di paradiso; e si spande al maximum la voga per
le carni delle Chiavi d'Oro.
Si verifica la
osservazione sociale sonettata da Renato Fucini. Quale è il segreto di un
giovinastro ozioso gaudente e strafottente? Il padre strozzino e la madre
padrona di un casino.
Che più?
Allargandosi la reclame
dello scandalo di padre Equoreo con la contessa Nerina, si fa codazzo per
entrare al bordello delle Chiavi d'Oro, come si fece al primo postribolo
ufficiale apertosi dopo la breccia di Porta Pia in Roma, che già tanti ne
possedeva privatamente quasi beati agli occhi semichiusi del Buon Governo, la
cui massima era lasciar fare il santo commodaccio. Anche a Genova, sotto la protezione
delle Guardie di Pubblica Sicurezza occorse regolare l'entrata e l'uscita con
il tornio orizzontale (turniquet) come all'ingresso di un'Esposizione di Belle
Arti di Gran Successo, o allo sportello della Banca Nazionale, quando preme la
riscossione delle cedole.
Il Questore ne fu
impensierito; ed il Ministero dell'Interno, senza i voluti riguardi a un
deputato, che da un anno non frequentava più la Camera, e a un commendatore
della Corona d'Italia e dei Santi Maurizio e Lazzaro, che oramai abbondava nell'Obolo
a San Pietro, acconsentì il trasferimento di Nerina De Ritz-
Vispi dalle Chiavi d'Oro di Genova alla Casa di tolleranza di 1a
categoria esercita da Mistriss Dell a Torino in via Bellosguardo.
* * *
Quivi Nerina, che
alle Chiavi d'Oro aveva già ritrovata Gibigianna, ritrovò Bimblana, la Regina
delle Gambe Fiorina Lucy, e quasi tutte le compagne del Santo Oblio, con questa
differenza, che il Regio Governo le aveva disperse da quel ritiro religioso, ed
ora le tiene costrette alla prostituzione profana. Di vero la norma civile per
l'aggregazione di una fanciulla al postribolo concede anche riguardo all'età
maggiori facilitazioni che per l'ammissione al matrimonio; ma quando le
fanciulle sono attruppate alla Mala Vita, autorizza ostacoli quasi
insormontabili, per il revocare gradus e ritrarsene. Tale è il debito
spropositato, quasi insolvibile, che ogni padrone si affretta ad accollare su
quei vivi strumenti di piacere, merce garantita dal Governo. Profittando del
divieto di uscire imposto alle sue schiave, il padrone loro fa pagare al doppio
ed anche al triplo del giusto valore il vitto e il vestiario. Così sulle
traviate infeudate si accende un'ipoteca personale e pressoché inestinguibile,
con la quale sono cedute dall'uno all'altro stabilimento: né si possono
redimere senza una garanzia, che l'autorità cointeressata non giudica mai
sufficiente.
Nello stabilimento di
Mistriss Dell, durante il soggiorno di Nerina, atteso il rigido contegno della
gente subalpina, fra cui per eccezione stranissima era nata quella Dea dei
Capricci, non vi fu la ressa spettacolosa della città marinara.
Per converso occorse
un caso di isolamento straordinario.
Capita a Torino
l'eroe garibaldino generale Rinaldo Fromboliè, il quale, facendo valorosamente
tutte le campagne del Risorgimento italiano, aveva pure trovato tempo di
combattere strenuamente i beduini in Algeria colla Legione Straniera, insegnar
sapientemente matematica e tattica in una Scuola Militare di Londra e
segnalarsi brillantemente in un corpo di spedizione all'Indostan. Ora egli, che
nella sua anima complessa contiene la semplicità omerica dell'eroe garibaldino,
e le tendenze sfarzose di un Nababbo e di un Rajà, è venuto appunto a Torino
per festeggiare in un ricevimento olimpico alcuni suoi commilitoni ufficiali
inglesi reduci di passaggio con la Valigia delle Indie. Strappatili alla corsa
utilitaria della Valigia, li convita splendidamente al primario Albergo
d'Europa, e poi offre loro un trattenimento di sciampagna ecc. nel Casino
di Mistriss Dell, maison de jouissance da disgradarne tutti i serragli
Orientali. Per ciò egli ebbe cura di affittare durante una notte l'intiero
Istituto esclusivamente per sé e per i suoi convitati.
Ne protestò un
manipolo di studenti, che bussando per farsi aprire gridavano falsamente i nomi
del Rettore dell'Università, del preside della facoltà di leggi e di un
professore di geodesia. Le guardie li avrebbero irritati maggiormente, se non
avessero loro fatto sentire, che la cittadella era occupata da un eroe
garibaldino. Allora essi si ritirarono quetamente in omaggio alla epopea
nazionale.
Nel salone cosidetto
di onore, scintillante come un negozio di cristalleria per i lunghi e fitti
calici dello Champagne, il generale Rinaldo Fromboliè, che aveva un profilo
grifagno da Giulio Cesare e Napoleone I barbuto presentò gli avvampanti spadoni
della sua comitiva inglese a quella Corte d'amore italiana, ma ad un tratto
interruppe la sua galante eloquenza fissando Nerina, e mettendo nella
fissazione la ferocia acuta, che lo rendeva terribile, quando comandava una
batteria o spronava il cavallo sui campi di battaglia. In illis temporibus egli
pure si era innamorato di tota Nerina e della Contessa De Ritz; e se
glie ne fosse rimasto tempo, avrebbe voluto conquistarla in un torneo di
paladini, o in un agguato brigantesco, con dieci duelli mortali o con una
spedizione di Giasone o di Garibaldi. Ma averla a vil prezzo. No! mai.
Con voce tonante egli
ordinò: ¾ Sia
allontanata quella Signora! ¾ E solo
dopo che fu assicurato della sua reclusione, egli diede il là all'orgia:
durante la quale però gli rimase una nube pensierosa: ¾ Perché non accorre un padre, un
marito, un amante, a deportarla o meglio ad ammazzarla quella sciagurata?
Come sulla tela del
pittore Franco Massi, così sull'anima del generale Rinaldo Fromboliè freme il
precetto di Alessandro Dumas figlio: Tue- la.
* * *
Quale correttivo
dell'orgia indo- anglo- italiana, avvenne poco dopo nella
Casa di Tolleranza riaperta al pubblico una visita di inchiesta morale
scientifica volontaria.
Miss Giuditta Butler,
che aveva a sua disposizione le colonne fulminanti del Times, aveva
ottenuto dall'arreso Governo Italiano il salvacondotto privilegiato di man
forte della Pubblica Sicurezza per ispezionare tutti gli istituti di educazione
ed esercitazione meretricia del bello italo regno raccogliendo i dati con cui
compilare il suo onorifico edificante libro dedicato a Guglielmo Gladstone ed
intitolato: Una nuova negazione di Dio, ossia la prostituzione italiana.
Serrata nella sua
amazzone, scintillante come acciaio nero, coi capelli mozzi, il naso adunco, su
cui posavasi mezzo metro di lorgnetta, appariva la caricatura finale di
Lady Morgan fatta da Angelo Brofferio nel Salvator Rosa. L'inglese
apostola di redenzione delle schiave bianche si faceva accompagnare da un
giovane Ercole Italiano, il dottor tosco lombardo Sebastiano Fini, il più virtuoso
apostolo italiano per la cura degli scrofolosi, dei pellagrosi, delle
deficienti e per la salvezza delle traviate, egregio scienziato, agitatore ed
organizzatore, che la Massoneria nelle sue migliori parti umane e la stessa
Reale Commissione per lo studio delle questioni relative alla prostituzione e
ai provvedimenti morali ed igienici dovevano piangere presto immaturamente
rapito alle lotte pel bene pubblico.
Quando Nerina
mortificata e meditabonda per la reiezione inflittale dal generale Fromboliè affisò
il torso membruto del giovane dottore tosco lombardo, le parve inverosimile la
tesi da lui sostenuta che l'uomo debba conservarsi immacolato al pari della
donna prima delle iuxtae nuptiae, e scandolezzata, come un giornale
delle pantoffole, avrebbe voluto scagliarsi contra «questa specie di
quacquerismo malsano e vizioso sotto la sua veste di morbosa austerità.»
Maledicendo si direbbe condannasse quel torso erculeo a piegare e svanire come
un gracile fiore.
Invece sotto gli
sguardi indagatori e correttori di Miss Butler si sentì dessa condannata.
Le parve, che nella
amazzone, nella spinter inglese, che da femmina si era trasformata in
terzo sesso, in sesso neutro, e diventerà suffragetta rivendicatrice del
suffragio politico e amministrativo alle donne per attuare le riforme giuste,
morali, sante, di cui gli uomini si mostrarono e si mostrano incapaci, le parve
che si fosse trasfigurata Suor Crocifissa.
Poi Nerina diede un
grido di verace riconoscimento. Essa riconobbe nella odierna sacerdotale
visitatrice l'inglesina, con cui si era incontrata visitando per curiosità
viaggiatrice la turpe, orrenda Imbrecciata di San Francisco a Napoli.
Ora la miss dallo
spettacolo dell'infamia di Napoli si era elevata a missione redentrice; era
divenuta la più alta colonna della Society for the suppression of the vice;
invece essa Nerina era sprofondata nell'abisso dei corpi di reato, che si
studiano dai laboratorii di scienza sociale.
Nerina non poté più
oltre resistere all'ispezione, e si involò nella più alta stanzuccia.
L'erculeo dott.
Sebastiano Fini, scotendo amaramente la nera testa da Sansone, sentenziò: ¾ Quella
superba degenerata non resiste più alla grave caduta. Essa è precipitata qui
solo per una effrazione plumbea delle ali.
Quantunque egli
sostenesse la morale assolutista, semplicista dell'astensione assoluta dai
piaceri venerei prima del matrimonio sia per le femmine, sia per i maschi,
cionondimeno guidato dalla malleabilità dell'ingegno italiano ammetteva, che
oltre i tipi refrattarii, vi erano tipi muliebri, che ingrassavano
nell'ambiente meretricio, come nella loro beva. Egli aveva rimarcato un tipo
speciale di vocazione sessuale mercenaria: mostaccino tondo, tendenza generale
alla sfericità, assenza di affettività reale, pretese filodrammatiche, felicità
nello sgarbo, che fa soffrire i gentili, inesorabilità nel far pagare a un
povero studente il doppio per un bacio, o come dicono mercantilmente, per un
passaggio replicato.
Alcune chiamate
invano da questa vocazione, restano rovina crudele e beffarda delle famiglie
popolane, borghesi e patrizie, ed invece molte creature di finezza femminile,
che sarebbero dolcezza e sostegno della propria famiglia, vengono trascinate
dal vortice della Venere vaga.
Miss Butler, che al
becco, al lucco pareva dantesca, correggeva il suo giovane Sansone, predicando
che non ci doveva essere vocazione per nessun briciolo di umanità al male;
tanto esso è orribile. E traeva la filosofia dall'Inferno di Dante per
l'ispezione, a cui aveva voluto compagno il giovane dottore tosco lombardo:
Per
lui campare non c'era altra via
che
questa per la quale mi son messa.
Mostrato
ho lui tutta la gente ria.
E questa è pure la
ragione morale del presente romanzo verista.
* * *
Verso il tocco
pomeridiano nel tempo della canicola pesava un'afa così plumbea sulla via
Bellosguardo, che neppure i cani randagii si attentavano a percorrerla.
Soltanto l'arditissimo esploratore africano Gelsomino Mauroceni, che abitava
dirimpetto all'istituto di Mistriss Dell scommetteva con la propria jattanza di
compire la traversata in mutande.
Ma mentre egli spiava
dalle stecche mobili delle persiane, la vista di un veglio tragicamente biblico
lo fece ritrarre dalla buffa baldanza. Era il commendatore Atanasio Vispi,
padre di Nerina.
Avuta certezza, anche
per le sparate del generale Fromboliè, che la figlia sua era piombata e si
batteva in quel fango, egli si recò a consultare l'avvocato Gioiazza per una
necessaria definitiva liberazione. Pur di sottrarla dall'ignominia della città
natia, egli avrebbe accompagnata la sua Nerina anche all'inferno.
L'avv. prof.
Gioiazza, facendo la faccia più severamente compunta, gli spiegò, come nel
diritto italiano né patria potestà, né potestà maritale valevano contro il
Regolamento privilegiato della Prostituzione.
Allora la mente poco
colta, ma tuttavia robusta del droghiere emerito, concepì in embrione, senza
che sapesse spiegarlo, un giudizio di Dio. Quando manca o si guasta la legge
umana, resta la vendetta della Natura, che è ministra, figlia, esponente di
Dio. E nella creazione un padre è investito dei diritti della Natura, è
investito del vero diritto divino. Così egli votavasi al Dio della vendetta,
mentre la figlia sua gemente ritrovava il Dio del dolore e dell'abbandono.
Attratto dal titolo,
il comm. Vispi aveva comperato sopra un bancherottolo la Vendetta paterna,
romanzo di Francesco Domenico Guerrazzi. Ma si accorse che non era punto il
caso suo. Si trattava in quel romanzo storico di una maledizione divina, che
aveva perseguitati a varii generi di morte squisitamente crudeli tutti i figli
di primo letto rei di avere ammazzato la bella e giovane seconda moglie del
vecchio padre. Invece, quando a lui era mancata l'angelica sublime consorte
regalandogli Nerina, egli aveva giurato eroica fedeltà alla memoria
dell'estinta; ed aveva mantenuta quella fedeltà eroica soprattutto per la
memoria di lei viva nella loro creatura Nerina; egli, così assueffatto al
comando, si era reso schiavo dei capricci di una fanciulla; per essa aveva
subìto tutte le novità, anche le caricature del mondo. Di sua figlia
droghierina, aveva fatto la più invidiata ed invidiabile contessa. E quale
compenso ne aveva in fine ricevuto?
Negli occhi del
portinaio, del lustrascarpe, di quanti incontra, egli legge: ¾
Commendatore, hai la figlia in un bordello. ¾ Da
quella visione egli si sente ferocemente ingagliardito, ingigantito.
Spezzerebbe coi suoi
pugni le tavole della Legge di Mosè e coi suoi calci le dodici tavole del
primitivo diritto romano, ed è mosso inconsciamente, storicamente da loro.
Sì! È Dio che lo
chiama ad un sacrifizio di Abramo. «Il padre una figlia perversa deve
ucciderla, non graziarla.»
Con questa formola,
egli senza saperlo, corrisponde al ius necis dato alla patria potestà
dagli antichi romani, colla loro ragione naturale scritta da Dio per gli
uomini.
* * *
Il Comm. Vispi entrò
come la statua di un fantasma nel portone di Mistriss Dell, ed infilò la
scaletta, mentre la sua Nerina accovacciata nell'alta cuccia si raggomitolava
in se stessa, come per annullarsi nel massimo stringimento della sua anima. Con
intima ignota poesia le pareva rifugiarsi stretta nell'idea della morte, che
sola può rendere il riposo turbato dalla vita.
Fiero ed impassibile,
come la statua di una celata vendetta, il Commendatore la mandò a chiamare.
Quando essa comparve,
e vide il padre suo trasfigurato in un simbolo di storia sacra, essa tutto
comprese, tutto divinò. Troppo profanamente adatte al loco, le suonarono nella
mente le parole dei figli al Conte Ugolino:
Padre...
Tu ne vestisti
Queste
misere carni, e tu le spoglia.
Più tremendo del
quadro infernale ritratto da Dante essa vide rispecchiato in se stessa il
quadro del padre nell'ora terribile con la figlia prostituta: morte di ogni
capriccio. Automaticamente accese il candeliere di pieno giorno, e precedette
il padre nella stanzuola cubicolare, elegante cella del vizio, con lo specchio
sotto la cupola del baldacchino. Da quello specchio balenavano spade di angeli,
coltelli di sacrificatori.
Giunta presso il
letto, Nerina, invece dello spogliarsi professionale, si copre le spalle con la
più devota decenza, e si inginocchia.
¾ Recita
pure l'atto di contrizione.
Mirando la figlia, il
padre dubita che sia grossa. E lo assale un'immagine rimastagli dalla lettura
della Vendetta paterna del Guerrazzi: un'immagine, che gli domanda: ¾ Prima di
compiere il gran fatto o misfatto, dovresti arrestarti, quando la tua Nerina
fosse madre? La maternità lava, monda la femmina, divinizza la donna. La capra
Amaltea, balia di Giove, disseminò con le stille del suo latte una fiumana di
stelle nel Cielo. La madonna con le goccie del seno, onde crebbe Gesù,
disseminò stelle in milioni e milioni di cuori.
Ma nel cuore del
commendatore le stelle appaiono e spariscono, come faville in carta bruciata,
che lieve si irrigidisce e si screpola nera.
¾ Madre di
chi? Madre per chi?
Meglio non nascere,
che nascere seme di bordello da chi abbia rubato le dieci lire.
Ed ai nati, meglio
nessuna madre, meglio una madre morta, che una madre fiorente, di cui debbano
vergognare.
¾ Nerina!
Hai detto bene l'atto di contrizione?
¾ Sì!
padre.
Il commendatore alto,
la fronte indietrata, ben mirando, con il braccio destro rigidamente abbassato,
sparò la pistola.
Si sentì un colpo
tale da spaccare una testa.
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