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Giovanni Faldella Donna Folgore IntraText CT - Lettura del testo |
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3 - All'ospizio del Santo Oblio
Il Barone Svolazzini per salvare il figlio dal pericolo di Gilda si studiò di allontanarlo. E adoperò gli allettamenti più serii e di apparenza più savia. Il baroncino Svembaldo aveva l'aspetto giovanile di un conquistatore normanno, come se uscisse da un'antica saga scandinava. E non solo ne presentava l'aspetto, ma ne sentiva l'impulso atavico nel sangue, l'impulso come di una barca, che muova alla conquista di un'isola o di un cuore. L'alto genitore sganasciando macchinalmente tra la sua barba bianca e ruvida, lasciò comprendere, più che non disse: ¾ Figlio mio, solo la lontananza e la lontananza eroica, può assicurare la tua coscienza, che il tuo è un amore di proposito, non un capriccio. Intanto la ninfa sarà guardata, affinché resti o divenga possibilmente degna di te. Niuna avvertenza paterna poteva sembrare più onesta. E il baroncino si acconciò ad iscriversi nella compagnia dei Battifolli torinesi, così battezzata dal cinico epigrammista Baratta, perché facevano prediletto teatro delle loro imprese cittadine il giardino pubblico, antico bastione, dei Ripari. Con la sua lanugine bionda di Paride vezzoso, più offembachiano che belliniano, egli figurava da agnello tra i lupi dello stravizzo aristocratico. Erano nobili ufficiali di cavalleria, che preferivano ammazzare la cavalla al pagarla, degni della tradizione del loro antenato, che aveva minacciato di farle saltare di un balzo il principato di Lucca per mortificarne l'arrogante principino. In tempi di guerra regia erano fulmini di guerra; ma non erano abbastanza patrioti italiani e popolari per seguire Garibaldi; non erano abbastanza scienziati geografi per curarsi del centro dell'Africa o dei poli. Occupavano lo spirito avventuroso e bellicoso in tempo di pace nel cambiare di notte le insegne dei caffè e delle trattorie, nell'applicare il cartello di una levatrice a un Regio Notaio, nell'invitare a pranzi cervellotici, nel fare accorrere la gente a spettacoli o comizi inesistenti. Fu un elevamento di questo diapason il progetto di una partita di caccia alla pantera nelle Indie. Vollero farne parte eziandio giovani nuovi ricchi dell'alta borghesia, compresi alcuni, che non sapevano commisurare il passo alla gamba. Parecchi fantasticavano la bronzina bellezza della figlia di un Rajah, con le auree ricchezze portate in Piemonte dall'onorevole generale marchese Solaroli. Pensando solo a Gilda, il baroncino Svembaldo Svolazzini partì per l'India con la brigata dei battifolli. Ed il Barone Rollone Svolazzini per la custodia di Gilda ricorse a Suora Crocifissa e al canonico Giunipero ambidue in odore di santità. La civiltà umana fa o minaccia tante vittime, che è una vera provvidenza sianvi rifugii, e persone le quali incessantemente attendono a procurarli secondo le gradazioni del tempo. Il corso del progresso li abbatte, quando son snaturati, ma essi risorgono purificati e scaltriti dai perpetui e nuovi bisogni delle anime. Si aboliscono, si sperperano, si sperdono le viete corporazioni religiose, ma esse ripullulano coi vecchi nomi e con nuove forme..., od anche con nuovi nomi come quelli di Rosmini, Cottolengo, Don Bosco ecc.
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Fra questi nuovi nomi vollero inpancarsi la suora madre Crocifissa e il canonico Don Giunio Giunipero, che l'avvocato Gioiazza scambiava in canonico Puerperio; tanta era la ragazzaglia, a cui dava l'aire, accozzandola, raccattandola... Suora Crocifissa e il canonico Giunipero si erano, mutatis mutandis, incontrati nei nuovi tempi come San Francesco e Santa Chiara nei tempi loro. Suor Crocifissa nata a Nizza Marittima da una numerosa e prosperosa famiglia di commercianti si sentiva un'anima garibaldina. A dodici anni sviluppata, come una nubenda, essa sentì quasi per una rivelazione divina, che se avesse diretta nelle vie profane la sua inesplicabile attività, avrebbe trovata la insaziabilità per sé e avrebbe seminata la rovina nella propria famiglia e nella parte di società, che avrebbe attraversata. Senza saperlo, sarebbe stata una Contessa de Ritz. Invece essa vide nel sacrifizio la salvezza propria ed anche in parte del prossimo. A poca distanza da Nizza, a Scarena, si era stabilita una propaggine delle Monache bigie di San Savino istituite dal Vescovo di Trentacelle. Mentre si accusa la Chiesa Cattolica di essersi in massima parte cristallizzata e fossilizzata, essa rifiorisce eziandio tra i fossili e i cristalli; e mostra un grande elatere nella creazione di nuovi istituti religiosi, per la cui diramazione la libertà è tanta da rasentare il confusionismo e dare lavoro alle curie vescovili e ai tribunali civili per discernere, se certe monache siano apocrife od autentiche. Della più asseverata autenticità erano le Monache grigie di S. Savino, a cui oltre l'istituzione episcopale non erano mancate vidimazioni della sacra Congregazione dei Riti, bolle di approvazione pontificia, ed anche benedizioni specialissime del Santo Padre; tutte largizioni, che non costavano niente, anzi erano pagate, e servivano mirabilmente alla modernità e alla politica religiosa, per la matematica evidenza, che più si licenziano ossia si permettono nuovi organi, più crescono le trombe assorbenti dello spirito, i succhioni della vegetazione spirituale a benefizio dell'Orbe cattolico. La fanciulla Rosa Benibaldi, che così si chiamava al secolo, prima di monacarsi, aveva fiso e fuso lo scintillio dei suoi occhi nella cotta grigia delle Savine, che si chiamavano anche, e si chiamarono poi preferibilmente Preziosine, perché dedicate specialmente al culto del preziosissimo sangue di Gesù salvatore. La loro uniforme non faceva macchia come una stola nera; era d'un colore di colomba perlata che si confaceva con il ceruleo del mare e con il celeste del firmamento. Alla fanciulla tornava pure la piega di quelle cornette bianche, che parevano coppe argentine di angelo intorno a un pane di zuccaro del paradiso. I suoi genitori, che avevano tanti rampolli da dare al mondo, non fecero difficoltà di concederne uno a un chiostro in apparenza libero od almeno formatosi all'egida delle libere istituzioni, dopo l'abolizione dei conventi e dei monasteri ergastoli. Erano sicurissimi di non adulterare una vocazione e di non fare una monaca di Monza. Difatti alla mistica ed opulenta Rosa parve sinceramente di toccare il Cielo con il dito, quando le si annunziò che a Pasqua avrebbe sposato il Crocifisso. Nessun altro nome volle, che quello di Suor Crocifissa. Di vero essa erasi profondamente votata a configgere la sua forma, i suoi sensi, il piacer suo per servire puramente Iddio, per salvare la propria anima e per condurre il maggior numero di anime, che le fosse possibile, in Paradiso. Essa si rivelò tosto per un valore straordinario. Con un fascino imperioso e persuasivo, con un coraggio da apostola e da martire essa accostava e sollevava le più orribili miserie e introducevasi nelle eleganze più solenni e più squisite. Pur di ottenere protezione o spillare quattrini per il suo istituto essa presentavasi intemerata e irresistibile all'imperatrice e ai granduchi di Russia, ai Bonaparte, ai gran signori, ai grandi uomini, alle dame pie e peccatrici, e alle cocotte fortunate della Roulette. Durante e dopo la guerra del 59 essa era stata nell'ospedale di Piacenza un angelo di carità per i feriti. Colonnelli austriaci, e sergenti zuavi, ufficiali d'Ousta la veia e garibaldini avevano avuto di lei una visione balsamica; avevano per lei ricuperata e rafforzata una fede che rallegrò le loro madri, le loro figlie, le loro spose e le loro sorelle. Uscita dal servizio degli Ospedali Militari e collocata superiora di un Laboratorio e Ricreatorio femminile presso Ivrea, essa mostrò qualità eccezionali di amministratrice e organizzatrice, senza rinunziare a un attimo di carità per i poverelli. In lei un ardore di visite frequenti e di viaggi anche lunghissimi; essa sola si profferse di accompagnare una pazzerella pericolosa da Ivrea a Siracusa, e ciò per fare un'opera di carità non osata da altri, e per toccare il cuore allo scettico fratello della pazzerella, segretario della sottoprefettura e convertirlo alla grazia Divina. In lei un'attività incessante miracolosa; nello stesso giorno istruiva, esilarava fanciulle, consolava infermi, dava da mangiare ad affamati, apparecchiava il viatico ai moribondi, in piedi, in ginocchi, con la croce in mano, allo sventolare delle alette, elevata nella pietà, fissa nell'impero, era l'immagine attiva e militante della beneficenza cristiana. In lei una prontezza di risoluzioni mirabile. Come Massimo d'Azeglio presidente del Consiglio dei Ministri essa non concedeva più di cinque minuti di meditazione alla risoluzione delle situazioni più complicate. In tale figura e valore di vita attiva pose gli occhi e fece sicuro assegnamento il canonico Giunipero, una bella maria, dicevano i veneziani, anche lui. Come Camillo Cavour, per non vergognarsi del suo adipe, si accinse ad una attività prodigiosa per la formazione dell'Italia libera ed unita, così Don Giunio risolse di volgere ad una prodigiosa pesca mistica il suo temperamento, che altrimenti sarebbe naufragato nel grasso più gioviale e più badiale. Ne sentiva pure l'obbligo, poiché la beneficenza di Don Bosco aveva fatto di lui pescatore di rane a Laghetto da Po un sacerdote della Chiesa pescatrice di anime. Se l'avessero lasciato nel suo villaggio con i suoi pari, sarebbe divenuto un possente da osteria. Si sentiva la possa della polemica volgare e della malignità teologica. Ma uno sguardo della buona madre contadina, che egli venerava più di qualsiasi essere su questa terra lo addolcì, dandogli il dirizzone di salvare bambini dai pericoli del mondo. Ed egli fu un provvido raccoglitore dell'infanzia abbandonata. Applicò eziandio alla beneficenza infantile la varietà policromatica. Servì da agenzia di collocamento europeo e specialmente italiano per i piccoli selvaggi di colore, che egli raccattava dalla Società di Propaganda Fide, e da altri ordini di Missionarii in Africa, Asia e Papuasia. Se certi nobili ricchi potevano ostentare moretti o valetti bronzini o di verderame in livrea dietro le loro carrozze, lo dovevano al Canonico Giunipero. Ma oltre al salvare i virgulti umani, un giorno egli pensò ai rami e ai tronchi abbattuti, dispersi o putrescenti. Visitando una fabbrica a Cossila biellese, vide che di stracci abbominevoli raccattati dai bassifondi di Napoli, dalle cantine di Londra e persino dagli immondezzai di America si formava una virginea bambagia e si filavano tappeti da rallegrare l'immaginazione dell'Oriente. E così non si potrà pure fare del ciarpame umano? Come di cavalieri macchiati e d'avventurieri scampaforche si formano terribili legioni straniere in sussidio degli eserciti europei, così la civiltà religiosa potrebbe redimere i caduti ostaggi del vizio. Ma all'alta impresa occorre il nerbo di ogni guerra: il denaro. Il denaro, osservava il canonico Puerperio pieno di riconoscenza mortificata conversando con Suora Crocifissa, il denaro non manca mai alla virtù redentrice, profluendo eziandio dalle sorgenti del vizio pentito. Senza peccati non vi sarebbero pentimenti, senza pentimenti non vi sarebbero riparazioni. Da una parte generali o presidenti acciaccati, che nella loro irreflessiva gioventù tradirono a diecine serve e padrone, crestaie e signorine, dall'altra parte venerande patrizie o banchiere, la cui focosa inesperienza puerile fu forse abbassata da palafrenieri, e la cui pompa matronale ebbe un dizionario biografico di amanti, tutte le peccatrici e tutti i peccatori di alto bordo cercano di mettere in pace la loro garrula coscienza, facendo cospicue elargizioni alle opere pie. Per cui la generosità femminile (generosità nel senso dell'on. Morelli) non serve soltanto ad ottenere impieghi, secondo lo scherzo della burocrazia pontificia: Mater dat, filia dat, uxor dat, soror dat; propterea quod ille missus est in Datem (nella Dateria apostolica). Ma la generosità femminile serve pure ad innalzare pie opere di virtù. Ah! (con un profondo sospiro soggiungeva il canonico Puerperio). Noi ci siamo consacrati alla Purità... E dobbiamo domandare l'obolo... come sapone di chi sa quante macchie... Via! Mettiamoci in campagna. ¾ Sette! ¾ le rispose con un monastico pattone sulla schiena Suora Crocifissa, arrubinando il bell'ovale del virginio pallore. E si misero ambidue in campagna. Sulla sepoltura di una città, che nei tempi etruschi e romani si meritò il nome di Industris, si screpola un gramo inoperoso villaggio, che con il nome di Passabiago scivola dai margini collinosi del Basso Monferrato alla sponda destra del Po. In una valletta storta e profonda, quasi inesplorata come una foresta vergine, esisteva un rudere preziosissimo di antichità cristiana; un tempietto, la cui costruzione si fa risalire a trecento anni dalla natività di Gesù Cristo. Lo si dice fondato da San Mauro. Subì incursioni di saraceni. Un mozzicone di iscrizione scalfita nella vecchia pietra «XI Kal. Nov. Rolandus», ed una vaga tradizione lasciano supporre una visita di Orlando innamorato, che poscia ritornò furioso a ricuperarvi il senno smarrito. Napoleone I vi sorprese una lauta badia di Cistercensi, che facevano bollire i capponi nel vino bianco, e mandavano i vitelli a tuffare un istante nel Po per ripescarli e mangiarseli nei giorni di magro come pesci. L'imperatore còrso abolì la badia, disperse i padri badiali, e ne donò terreno e fabbricati a un brioso maresciallo Bonnelane, che li giocò e perdette a tarocchi. Nella restaurazione politica, si restituì il convento in più modesti costumi. Il ministro Urbano Rattazzi, coul Rataz, fieul d'Cain, fratel d'Caiffas, sulle zucche incapucciate a l'a dait un famos crep ¾; onde il padre guardiano poté intonare, secondo la lepida canzone piemontese del Brofferio: ¾ Bruta neuva SYMBOL 190 \f "Symbol" \s 12¾ orate frates SYMBOL 190 \f "Symbol" \s 12¾ Bruta neuva per dabon. SYMBOL 190 \f "Symbol" \s 12¾ Babilonys impii patres SYMBOL 190 \f "Symbol" \s 12¾ portu 'l Diau an procession. In quella nuova soppressione di Conventi venne pure colpito il Convento di Sant'Oblito a Passabiago, Sant'Oblito, forse un santo inesistente, in cui si personificò per eufemismo o trapasso popolare l'originale Sant'Oblio. I fabbricati e i terreni vennero comperati all'asta pubblica dalla solerte ditta Israelitica Salomon Todros e Segre, felice acquisitrice di beni ecclesiastici in blocco, e rivenditrice al minuto. Ma la Ditta trovò insolite difficoltà a disfarsi di quei beni, anche offrendoli spezzati in piccoli lotti con dilazioni straordinarie al pagamento. Tanta era la diserzione e l'apatia dei capitali, che regnava loro intorno. La mania litigiosa, l'afflizione della crittogama e della peronospera, la testarderia del così faceva mio padre e il conseguente assoluto misoneismo avevano congiurato per formare un presente contradditorio, quasi ingiurioso all'antica nomea di Industris. La moderna Passabiago pareva la mummia di un rospo. Uno sparpaglio di case scrostate o screpolate o non finite; poggiuoli, che aspettano da anni ed anni la ringhiera; modiglioni, che si protendono inutili per ricevere la pietra di un balcone, che mai non viene. Ignorati o respinti i concimi artificiali; ¾ una voluttà di andare a dormire, rimandando ogni cosa al Die Domani; una assoluta mancanza di volontà, niuna prontezza, fuorché nel litigare. In fondo della valletta giaceva quasi sepolta dai rovi e dalle rose canine la gemma della chiesetta. Ai due lati si ergevano in secolare contrasto storico e tellurico i due poggi dominati dalle rispettive famiglie Rotellana e Pressendina, che dalle spaccature e feritoie delle loro bicocche diroccate ancora si lanciavano freccie di cartabollata. Oramai alle due famiglie di litiganti cronici non rimanevano più che queste due risorse; ¾ per l'una, la Rotellana, pattuire la conversione dei numerosi componenti al protestantesimo, con una sfondolata società di propaganda londinese, che pagava le conversioni in contanti. Per l'altra famiglia, la Pressendina, rimaneva il rinfranco di spazzare il sepolcreto avito nel Cimitero di Torino delle ossa dei Maggiori, ammucchiandole in un angolo chiuso della cripta, e vendere il restante spazio a un milionario costruttore di strade ferrate. Si aggiunse la complicazione di un amore improvviso in tanto odio secolare. L'unico figlio dei Pressendina, l'avvocatino Oreste si innamorò perdutamente di Onorina, la primogenita dei Rotellana, che perdutamente gli corrispose; onde era minacciata una nuova tragedia di Giulietta e Romeo. Invece il dramma ebbe lieto fine come negli amanti di Castello e Cascina di Roberto Sacchetti. Un santone, dei soppressi Tornaboni, padre Funari, venuto in concetto di santità per le sue reliquie (fra cui due capelli della Madonna) per le sue astinenze e per il suo moto perpetuo, era una grande provvidenza per tutti, e un grande specialista nel ricondurre le mogli fuggitive ai mariti spasimanti e maritare i rampolli di famiglie discordissime. L'avvocatino Pressendina e tota Rotellana si erano rivolti a lui taumaturgo; ed egli per maggiore sicurezza aveva richiesto il superiore intervento del Canonico Giunipero e di Suora Crocifissa. La signorina si era inginocchiata davanti al Canonico, l'avvocatino davanti alla Suora. E canonico, suora, e taumaturgo avevano combinato un miracoloso sopralluogo. ¾ Iesus! ¾ esclamarono in un duo la suora e il Canonico, quando mirarono sotto i rovi e le rose canine la facciata della Chiesa di Sant'Oblito. ¾ Iesus! ¾ tenne bordone padre Funari, completando il trio. ¾ Questa facciata pare un incastro per un rivo di devozione, che conduce al Paradiso ¾ osservò Suor Crocifissa. ¾ Dovrebbe essere dichiarato monumento Nazionale! ¾ asseverò il canonico. ¾ Me ne occuperò io, ¾ promise padre Funari ¾ parlandone al commendatore Itaglia, Ministro dell'Istruzione Pubblica, e a un mio amico usciere omnipotente al Ministero dell'Interno. Fecero un viaggio e due servizii. Non solo combinarono il pateracchio tra l'avvocatino Pressendina e tota Rotellana, ma gittarono le basi della florida Casa del Sant'Oblio. Comperarono a buon prezzo dalla Ditta Israelitica quella gemma di antichità cristiana, e i circostanti terreni. Tacitando e mandando a spasso i creditori delle oberate famiglie Pressendina e Rotellana, i quali non isperavano oramai più niente dai giudizii di graduatoria, si impossessarono dei due poggi laterali coi relativi versanti, si può dire per un tozzo di pane. Di vero non vi era mai stato un candidato così ambizioso, così chimerico e così scemo di piattaforme elettorali, che avesse proposto un tracciato ferroviario per quella valletta abbandonata dagli uomini e da Dio. L'avvocato Pressendina si ebbe una cattedra di diritti civili in un istituto tecnico di Torino, donde, come è noto, salì al Consiglio di Stato. La famiglia Rotellana inoculata di nuove cognizioni rimase preposta all'agenzia agraria della rinnovata Casa del Santo Oblio. La Chiesa ebbe un generoso restauratore in un patrizio eccellente architetto archeologo. La facciata splendette come una paratoia di rivo conducente al Paradiso; nell'interno le gemine colonne apparveno gambe di santi onestate di brache luminose. La vasta possidenza venne circondata da un muraglione rivestito di edera, lungo come una cinta daziaria, destinato, come una muraglia della Cina a separare il Santo Oblio dal bulicame del mondo restante. Per evitare gli incameramenti di Rattazzi e dei ministri suoi successori la proprietà venne acquistata privatamente in testa del Canonico Giunipero. Sovventori furono principi plebiscitarii e pretendenti a ristorazione reazionaria, squarquoie arricchitesi nel commercio della carne umana e candide colombe della nobiltà e dell'alta borghesia. Avevano largamente concorso il comm. Vispi droghiere emerito, l'emerito macellaio Baciccia Calzaretta, il marchese Stefanina, i conti De Ritz padre e figlio, e il barone Rollone Svolazzini, non senza ragione di imbeccata personale. Il Canonico Giunipero nell'estasi della riuscita impresa, ebbe un'ossessione immaginosa, come la visita tentatrice del Diavolo. ¾ Sta bene! ¾ egli immaginò! ¾ Sta bene in fondo alla valletta attaccato alla Chiesa il nido del Santo Oblio per le spericolate e le pericolanti salve dai morsi e dai rimorsi del mondo. ¾ Ma là in alto sui due poggi vorrei giganti fronteggianti due ganglii virili. Sopra l'uno vorrei raccogliere uomini maturi, vecchi cadenti, sbattuti e rialzati per la Santa Fede; sopra l'altro vorrei raccogliere un reggimento di giovani operosi devoti alla santa forza! Ora che la soppressione degli ordini religiosi necessita il rifarsi, rinverginarsi del monachismo insito perpetuamente alla natura e ai destini dell'umanità, vorrei risuscitare i frati gramieri avamposti dell'agricoltura intensiva, vorrei risuscitare gli Umiliati pionieri dell'industria tessile e tintoria. ¾ Vorrei in più, ¾ e qui l'immaginazione vinceva le redini al canonico... ¾ Vorrei stazioni taurine di eccellenti riproduttori. Come se il diavolo gli ridesse sfolgorando in faccia, egli fantasticava: ¾ L'imbecille civiltà ha creduto distruggere un'impostura nociva, abolendo dei conventi; invece ha distrutto utili verità, che fruttificavano sotto l'ipocrisia apparente... Oh! la bella popolazione, che cresceva intorno ai conventi! Alla mia Laghetto da Po si ammiravano ninfe delle risaie, che le migliori non avevano potuto dipingere i classici pittori della Grecia, e ciò perché v'erano fratacchioni ben pasciuti di corpo e di spirito a benedire con il loro amore le contadine: essi nel bacio recavano non solo un vitale nutrimento, ma portavano un soffio di canti, studî e sogni sublimi, come un intreccio raffaellesco di arcangeli e madonne. ¾ Erano depositi di stalloni umani per una razionale stirpicoltura e col celibato religioso offrivano una buona soluzione al problema di Malthus pauroso, che le popolazioni aumentino in proporzione geometrica, mentre i mezzi di sussistenza crescono soltanto in ragione aritmetica. ¾ Invece, ora, aboliti i conventi, lasciata la procreazione rurale soltanto ai mal nutriti fisicamente e intellettualmente, sparvero le ninfe delle risaie; e loro sottentrarono femmine verdognole dalle bocche di lucertola e di rana, facile preda, gaglioffe e terribili alleate dei galeotti sfruttatori ed impresarii del socialismo professionale. In quel punto entrò Suor Crocifissa solenne, pallida e pura, al pari di Santa Clara. Il canonico, come se avesse esposto a lei il discorso diabolico, le domandò: ¾ Non è la mia una concezione dantesca? Suor Crocifissa, che mangiava poco o nulla di Dante ed adorava soltanto l'Immacolata Concezione, fece un viso di voluta ignoranza e rimprovero. Allora il canonico Puerperio, cioè Giunipero, si sentì calare le ali diaboliche dell'orgoglio e del rigoglio virile, e domandò a Dio perdono dei suoi peccati di immaginazione. Egli allora si dedicò unicamente alla nuova fondazione femminea del Santo Oblio. Le prime reclute furono una dozzina come gli apostoli, e primario agente di arruolamento fu il padre Funari. Passato il cancello, in cui i ghirigori del ferro battuto delineano curve di nuvole a bambagia d'angioli, si vede spaziare un prato, intersecato da redole di ghiaia minuta, che partono dal piedestallo di una Madonna Stellata, come raggi da una stella. La statua della Vergine Madre Divina lucente di ceramica bianca, ha sulla fronte una stella metallica di doratura raggiante. Porta due iscrizioni sui quadri del basamento. L'una: Ave, Maris Stella è il saluto dei naufraghi della vita, che si salvano in quella casa del Sant'Oblio. L'altra: Hujus domus regina significa quale sovrana devesi riconoscere dalle casigliane e dai visitatori. Personificazione viva della statua è la superiora Suor Crocifissa. Il suo ideale vivente ed attuoso appare più fulgido e più alto della stessa statua. Dal beato Calasanzio al Pretore Martini è provato che l'abilità di consolare ed avvincere beneficamente gli afflitti ed i derelitti è una prerogativa personale straordinaria; non si può insegnare con regole; perché varia secondo l'infinita varietà delle afflizioni e degli abbandoni. Unica efficacia è l'asseveranza di una irradiazione d'amore. ¾ Tu orfanella, adunghiata, sputacchiata dalla matrigna, derubata dai costei drudi, non hai mai avuto un bacio rispettoso. Ed io ti bacio nel Divino Amore. ¾ Bella sartina, tradita dal sottotenente, a cui credevi dedicare il cuore e la vita, mentre egli ti ha presa come un'appendice di camera mobiliata, come il sopracaffè del mattino, ¾ vieni qui; ché la Madonna ti assegna nella sua casa un posto di eguaglianza umana e di fedeltà nell'amore Divino. ¾ Zitelle e dame gonfie dal livore e corrose dalla gelosia, che è il reagente più torbido e più corrosivo della chimica psicologica, venite qua dentro; e troverete nelle pieghe del Manto di Maria Immacolata la più olezzante fiducia in Dio, che fa sperdere persino la memoria dei terribili sospetti, per cui afferravate come documenti di tradito amore finanche le carte destinate a fetidi recessi. Oh! ben lo disse il canonico Puerperio, cioè Giunipero. Anche nella mitologia vi erano simboli di verità, che qui si realizzano. ¾ Qui in quel Rio «Lavatojo» abbiamo realmente il fiume Lete, che travolge, sperde la memoria di ogni male; e in quell'altro rivo «Ortolano» abbiamo realmente il fiume Eunoè che coltiva ed accresce la memoria di ogni bene. La immagine matura di Suor Crocifissa in mezzo al prato dirimpetto al cancello raffigura quella di una cruda bambina che erige una pertica invitando a posarvisi le libellule: «Signorine e signorone! Venite sul mio bastone». Ma la bambina acchiappa le libellule per infilzare crudelmente una pagliuzza nella loro coda. Invece Suora Crocifissa offre a tutte le ferite, a tutte le offese del devoto femmineo sesso il balsamo, pregustazione del Paradiso. Ai disordini della materia umana niun riparo più sicuro, che un ordine spirituale, in cui si riflette umanamente un raggio di ordine divino. La creatura bersagliata dal delitto altrui o dalla propria passione ha perduto il contatto benefico con l'Universo creato. Può riacquistarlo in una comunità religiosa. Questo è il vero socialismo ideale, per cui con gli altri vantaggi sociali si moltiplica il tempo. Come è difficile per un individuo ed anche per una privata famiglia il fissare e mantenere un orario! La mancanza di zuccaro nel caffè o il male di denti d'una sorella possono assorbire o fare cadere nel nulla, come per un giuoco di mattoni, tutte le ore della mattinata preziosa al lavoro. Invece in una comunità governa inamovibile l'orologio di precisione. Quanto possa fare uno studioso libero dalle cure domestiche, lo riconobbe il Taine deplorando lo strazio e lo sperpero delle corporazioni religiose fatto dalla Rivoluzione francese. Simile beneficio si può riconoscere per qualsiasi lavoro. Alle cinque del mattino la campanella sveglia per la preghiera. Il cronometro distribuisce il tempo esatto per la religione, lo studio, il lavoro, e la ricreazione; dalla Santa Messa, alla grammatica, all'aritmetica, alla inaffiatura dei fiori, alla potatura, all'innesto, alla composizione italiana, al saggio di lingue straniere, alle refezioni, alla raccolta dei frutti, alla macchina da cucire, al telaio Iacquart, al lawn tennis e al missisippì ecc. ecc. Nel nitore di un paesaggio romito ed aprico, tra Terra e Cielo, Dio e Natura, studio, lavoro, ed Amore Divino danno unicamente la pace umana. Questa sentirono, dopo l'abbraccio e il bacio di Suor Crocifissa le prime ricoverate, che non sospettarono neppure di essere recluse. Una figliastra ritrovò la madre ideale; una tradita ritrovò fedeltà d'amor celeste, nove altre vittime di gelosie o martiri di persecuzioni entrarono in quel porto della rassegnazione generosa e persuasiva, persuadendosi che la partecipazione accresce l'amore e la vera contentezza risiede nel volere di Dio. Notevoli tra le prime reclute le soprannominate Bimblana e Gibigianna. Bimblana nata ottava da una famiglia di schiavandari ad Ypsilon Novarese era stata battezzata coi nomi di Ottavia Rosa Antonia. Era cresciuta come un rosolaccio; di bella presenza, era mandata a servire in città, essendo già superflua la precedente figliuolanza per la schiavenza in campagna. Aggirandosi nel mercato degli erbaggi veniva ammirata ed amata per le sue forme slanciate e scultorie e per il suo andamento di maternità anticipata, che ai bambini e alle bambine la faceva parere una superiora amorevolissima. Suo gesto favorito era un ritmico allargare di braccia e scotimento di mani, con cui si direbbe avesse voluto raccogliere e sollevare in Paradiso un asilo infantile. Per quella sua andatura ondeggiante, quasi cascante di noncuranza estatica, aveva avuto il nomignolo popolare di Bimblana. Un ardito scultore l'aveva voluta per sua modella. Una guardia carceraria le diede prigioniero il suo cuore. Ma essa, senza riuscire ad amare nessuno, si lasciava amare quasi da tutti. La sua letteratura erano le avventure di Ol Carlin e la so dona a Milan, anche tradotte dal dialetto milanese al piemontese. Ma essa orgogliosa di aver appreso il meneghino, in modo da non disimpararlo più, realizzava pur troppo il distico originale: Te pacjria tuta SYMBOL 190 \f "Symbol" \s 12¾ E mi me lassi pacià. Piegava la testa pudibonda, e lasciava fare e si lasciava baciare. Ottavia Rosa Antonia era on tocc da marcantoni da bon, che tirava i baci stagn. Non di rado aveva verificato nella vita i dialoghi del suo libro galeotto: ¾ Sa gh'avii Carlin! SYMBOL 190 \f "Symbol" \s 12¾ Sont scia ch'a va mangi coi eucc. A sii na gran bella forlana vidii...! Sanforment! SYMBOL 190 \f "Symbol" \s 12¾ Lassem no Carlin!... lassem no! Salveves mia col... sentimento... Essa aveva più docilità muta, che espressione di sentimento. Vittima dei capricci di fantasia, da cui sperava forse qualche tesoro del Caso era caduta d'una in altra disgrazia, fino a parere una bella e grossa mela fracida da buttare sul letamaio. Una notte la folata di giovani briganti esteti, che terrorizzano quella cittadina rurale, rimanendo impuniti, perché figli di avvocati o nipoti di canonici, con cui il deputato non vuole assolutamente disgustarsi, dopo avere ubbriacandosi fraternizzato con i garzoni da caffè e rotto il naso al busto del generale Garibaldi nei giardini pubblici, avevano attirato Bimblana sulla panca più scura del viale per godere in combutta il distico: ¾ Bimblana! a va paci da sbalz... mi SYMBOL 190 \f "Symbol" \s 12¾ E vu paciem... SYMBOL 190 \f "Symbol" \s 12¾ E mi va paci SYMBOL 190 \f "Symbol" \s 12¾ E mi me lassi pacià... traduzione bestiale, note alla Spirito Losati, traduzione bestiale dell'angelico invito pronunziato dagli inquilini danteschi nella Stella Venere: Tutti sem presti al tuo piacer, perché di noi ti gioi. La lasciarono con le vesti oscenamente stracciate. Così turpemente abbandonata essa pianse a dirotto... In quello stato miserabile non osava più presentarsi ai padroni e ai genitori. Voleva gettarsi nel Canale. Ma un filo di luce la salvò: la fama dei capelli della madonna, posseduti dal Santone padre Funari. Fece otto miglia a piedi per portarsi da lui; e fu condotta alla Casa del Santo Oblio. Vi era allora in visita apostolica il canonico Giunipero, il quale, veduta la rifugiata e sentitine i casi, appartossi nella libreria, si fregò gli occhi, come per un'aspra visione ed esclamò in un soliloquio silenzioso, che sarebbe stato forte, se pronunziato in un teatro filodrammatico di venerando seminario: ¾ Manzoni! Manzoni! Dove hai conosciuto la tua immacolata ingenua Lucia Mondella?... Oh! tipi di campagnuole oneste ed istruite offerte ad imitazione da Cesare Cantù e Felice Garelli!... Perché, perché la verità è così diversa? Soltanto la musa stenografica, fotografica porca villana o villana sporca è la sincera interprete dell'anima femminile popolare, se non la salva, se non la purifica Religione. Con questa esclamazione in pectore Egli si curvò sull'inginocchiatojo a pregare per la salvezza dell'eterno femminino popolare. Nei primi giorni del suo ricovero Bimblana si sentì non solo salva, ma felice. Ravvisando un godimento senza peccato, sentendosi amata, senza essere goduta, né sprezzata né vituperata, confessò ingenuamente: ¾ Non sono mai stata così bene a questo mondo. Mi pare di essere in un paradiso terrestre. Di meno facile contentatura si palesò Gibigianna, che irruppe nel Santo Oblio come una meteora annunziatoria di fulmine maggiore. Intanto dessa la bella Gibigianna faceva notevole riscontro alla bella Bimblana. Questa purificava le sue meneghinate; quella guardando nella lampada della chiesa rattizzava il fuoco errante dei suoi occhi e lo splendore vago dei suoi capelli, che le avevano fruttato il nomignolo fin da bambina. Come un raggio riflesso da un piccolo specchio, che si muova o si rompa, coagula sopra una volta grummi di luce, che vanno e vengono con l'agitazione di uno staccio o setaccio, fenomeno, dai toscani detto occhibagliolo, la vegia dai piemontesi, e dai lombardi gibigianna, così era la biondezza di Lia Lei, una biondezza da traveggole. Si conformava a tale biondezza la grazia mobile del capo chino arieggiante alla filigrana pendula di argento dorato, che adorna la testa alle fattoresse lomelline. La piccola Gibigianna sarebbe riuscita una Vespina, una svelta ed onesta cameriera da commedia di Tommaso Gherardi Del Testa, se il padre non l'avesse menata agli stravizii. Il padre suo, Teodoro, tramviere, dopo parecchi mestieri ed uffici abbandonati, aveva fatto girare la testa alla maravigliosa signorina figliuola di un causidico da mandamento rurale, e se l'era sposata o piuttosto rubata. Con una faccia innamorativa da impostore aveva fatto sognare castelli in aria alla sposa; e l'aveva condotta in una soffitta. Ma egli si ripagava delle strettezze domestiche nei pubblici esercizii. Questi gli parevano la vendetta sociale dei proletarii, che nei caffè e nelle trattorie si trovavano eguagliati da una illusione di Corte, facendosi servire da camerieri in coda di rondine come diplomatici. Teodoro aveva educato, addomesticato all'ubbriacatura dei pubblici esercizii non solo la moglie maravigliosa, ma altresì la piccola innocente Gibigianna. Gli esercenti, anche socialisti, non sono gratuiti; e adottano il cartello dei vecchi osti: oggi non si fa credito, domani sì. Teodoro il tramviere, con quel bel titolo e con la posa attraente da teatro diurno, aveva sempre difficile il quarto d'ora di Rabelais, cioè quello di pagare il conto; ma riusciva a superare le difficoltà, facendo la corte alla padrona con occhi lampeggianti, o chiudendo un occhio, se il padrone faceva la corte alla maravigliosa di lui metà. Ognora egli aveva dimenticato il borsellino a casa; o non aveva voluto uscire con un biglietto di grosso taglio; ed ordinava che si registrasse il suo debito. Ma una sera, in cui Teodoro accompagnato dalla inseparabile mogliera e figliuola dopo avere preso il caffè e sopracaffè, aveva ordinato una bottiglia di barolo, e poi ancora il ponce, il trattore del Cannon d'oro dichiarò a se stesso: basta!; e poi venne a proclamarlo davanti alla triade, che si indugiava a libare nei lieti calici, mentre gli altri avventori avevano già lasciato l'esercizio. L'esercente del Cannon d'oro si era offeso, accorgendosi, che Teodoro in una momentanea uscita gli aveva abbracciata l'aurea moglie intronizzata al banco. Della moglie di Teodoro egli non sapeva che farne, egli che possedeva una cannonessa d'oro. Quindi: ¾ Alle strette! Teodoro, sono stanco di riempire il mio gran libro dei tuoi puffi. Stassera, o mi paghi; o ti rinchiudo in questa stanza, e faccio chiamare le guardie vicine, perché arrestino te come un gargagnan e tua moglie come una Venere Vagabonda. ¾ E la piccina? ¾ domandò Teodoro. ¾ La piccina ¾ rispose il trattore, sarà condotta dalla Questura in qualche ospizio, dove starà meglio che a casa tua. Teodoro si era rivolto indarno a fiammeggiare uno sguardo per implorare la padrona che non si lasciava vedere. ¾ Discese invano uno sguardo sulla propria moglie per illustrarne le offerentisi bellezze. Addolcito dal vino, egli aveva più che le prepotenze e le viltà del gargagnan, l'amenità del brillo. ¾ O cannon d'oro! Che credi di guadagnarci? Io non ho in tasca un cito. I gioielli, che porta mia moglie, sono di princisbecco. Il trattore del Cannon d'oro con uno sguardo d'acciaio da banchiere crudele aveva avvistato che non erano di princisbecco gli orecchini di Gibigianna. ¾ E questi qui? ¾ Questi sono un regalo del nonno procuratore, che sarebbe capace di mandarti in galera, se tu li toccassi. ¾ Non temo la galera. Dammi alla buona in pegno questi orecchini. Ed io, anziché molestarti e minacciarti, faccio portare due altre bottiglie di barolo stravecchio ch'a rangiu lo stomi e per addolcirti ancora più la bocca alla fine ti darò un passito di Caluso, che non hanno i Cardinali... E berremo anche in compagnia della mia signora moglie, che farò venire per te... Vieni qua, Madama, Madamona Catlonessa! Fu la stessa Cannonessa d'oro, che tolse gli orecchini del nonno a Gibigianna, dei quali padre e madre non furono inconsolabili; Gibigianna sì. La fanciulla, dopo una notte fremente, ebbe alla mattina da una compagna di scuola un filo di salvezza; andò in una sacrestia, si confessò a un prete; e venne anch'essa destinata al Sant'Oblio con il consenso dei genitori, ai quali venne regalata una cesta di bottiglie. Onde lo spensierato Teodoro, quando gli domandavano della figlia scomparsa, rispondeva: ¾ Sta bene al caldo! Me la sono bevuta.
* * *
Qualche volta il protettore canonico Giunipero e la superiora Suora Crocifissa, contemplando quell'onda di vivezza giovanile, che corrispondeva ai raggi del sole, sentivano il rammarico di imprigionarla là dentro fuori della vita mondana. Ma loro si affacciavano i fantasmi dei persecutori dell'innocenza: faccie torbide, ferine, culari e patibolari. Via da loro gli angeli della terra. Bisogna sottrarre dall'empietà, salvare gli angeli della terra. Gli è vero, che bisognava ripulire le ali di questi angeli da molte brutture. ¾ Bisogna convenirne, mia cara, mia santa Suor Crocifissa. Un presidente nord- americano ci chiamerebbe muck rakers, frugatori di fango. Però anche il fimo giova alla buona semente, che per noi è la Parola di Dio. Proseguiamo senza ribrezzo nell'opera buona e necessaria. Il materialismo moderno troppo sequestra l'Umanità dalle speranze celesti, fondandosi sull'ignoranza precisa dei Cieli, che pure indubbiamente esistono. Noi purghiamo le anime avvelenate, noi preserviamo le creature vergini, pascendole del più puro azzurro. I nostri sono serbatoi e traiettorie, che mantengono il contatto, sia pure forzato, dell'Umano con il Divino. Il Canonico Giunipero e Suora Crocifissa intrecciando le mani alzate come in una figura di ballo celestiale, formavano un arco mistico, sotto cui invitavano a passare tutte le minacciate od offese da brutali persecutori, tutte le guaste dalla corruzione, tutte le tocche dalla follia contemporanea. ¾ Venite, passate alla salvezza del regno di Dio e della Madre Divina. Vieni Regina delle Gambe, rappresentante delle Risaie, ai tempi delle laute abbazie. Vieni Fiorina Lucy, vieni Tilde, vieni Maria, vieni Eugenia, vieni bastarda, vieni, purissima. Vieni anche tu, conferenziera socialista, anarchica, Solima Del Lago, che i curati e i sacrestani chiamano limo del lago. Vieni a zampillare fresca, purgata dalla contemplazione delle verità divine. E vieni nell'abbraccio della Croce, o Gilda, nell'abbraccio della più bella croce, che possa piallare, intarsiare e scolpire il buono e curvo Simone tuo padre. Non aveva costato molto al prefetto emerito barone Rollone Svolazzini il sequestrare babbo Simone e relativa figlia, a fine di preservare il proprio Svembaldo allontanato. Il falegname Simone era un'anima di vassallaggio medievale; aveva insita nel sangue la fedeltà alla Chiesa e all'Impero rappresentato dal nobile barone. Era pure medievale nella sua abilità tecnica. Invece del macchinario a vapore per l'impazienza moderna, egli aveva la curosa lentezza della commettitura e dell'intarsio manuale. Pella concorrenza del giorno e dell'ora egli sarebbe rimasto senza ordinatori; sarebbe languito nell'abbandono ad intagliarsi la cassa da morto. Di questa prospettiva si rese presto capace l'angusta e rispettosa mentalità dello stipettajo rurale, a cui parve una Terra promessa dalla Sacra Bibbia la dimora e la pensione vitalizia al Santo Oblio. Con la minuzia consentita dalla massima larghezza del tempo, senza disturbo di sollecitazioni, egli finirebbe armadii di sacrestia, cassepanche da sancta sanctorum, stalli da coro, cofani da Suore; incrosterebbe di fiori lignei, sottili come carta, la nicchia della Madonna... Oh se potesse lui fabbricare la custodia per le ali dell'Angelo Custode! Intanto egli era relativamente felice, perché la sua Gilda sotto i suoi occhi paterni sarebbe custodita, sarebbe riparata dalle insidie, dalle seduzioni e dalle pretese sproporzionate del mondo. Gilda si mostrò restia dinnanzi alla facile contentatura del papà; oppose lacrime e lacrime; ed entrò al Sant'Oblio irrorata di lacrime, come un passerotto bagnato dalla pioggia, il quale si rincantucciasse sprofondandosi sotto una gronda. Volgeva gli occhi spauriti, come se spiasse tra i fili della gabbia un'evasione. Suora Crocifissa sentiva difficoltà ad ammansarla, asciugarla, e intepidirla del suo fuoco sacro. E temeva, che l'operazione del prosciugamento venisse compita invece da un terribile vento, che pur si aspettava. Il vento della Contessa De Ritz... Sorridendo con ironia celeste il canonico Giunipero aveva notato, che la Contessa De Ritz era destinata al Santo Oblio dal Clericalismo e dalla Massoneria. Ma pigliarla quella contessa! Qui stava il busillis... Si erano tese le ragne in Europa e nell'Asia Minore. Fino allora era stato come tendere la rete per acchiappare un vento. Le informazioni secrete dei gesuiti e della Massoneria recavano avventure strabilianti. C'erano di mezzo corone di re e corone da rosario, scimitarre, pugnali e bisturì. Le informazioni massoniche facevano capo principalmente al conte De Ritz; e le informazioni gesuitiche al Comm. Vispi padre della Contessa. Ma gli stimoli e i reagenti, e le direttive, e le curve strategiche si intrecciavano, quando non si intralciavano. Ostinate forze congiuravano ad attrappare finalmente quell'indomita potenza della bellezza e del capriccio femminile. ¾ Ci riusciranno? Ci riusciremo? ¾ si domandavano il canonico Giunipero e Suor Crocifissa; e le loro stesse persone diventavano due punti interrogativi ripiegati tra il desiderio e il terrore. Che beneficio sarebbe salvare quell'anima: un beneficio grande per l'anima da salvarsi, e un beneficio ancora più grande per le innumerevoli vittime, di cui è ancora capace quella furia allettatrice di pervertimenti! Ma che pericolo per il Santo Oblio! Alle reminiscenze classiche del Canonico Giunipero pareva, che neppure Eolo sarebbe capace di incarcerare quel vento di lussuria. E con un videmibus infra si chiudeva la longanime aspettativa del Santo Oblio.
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