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Giovanni Faldella
Una serenata ai morti

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      • Dedica
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Dedica

 

Al Prof. avv. Nino Pettinati1

 

Caro Nino,

Mi tarda significarti in pubblico il riconoscente affetto, che a te mi lega. Io che da due lustri e più cammino come un solitario viandante in questo così detto campo delle lettere (con poche scorribande politiche fatte per ingenuità di coscienza) e finisco per riposarmi soltanto nell'eremo del mio studio e della mia famiglia, sono particolarmente grato alle poche anime affini, ai cari amici che mi riconoscono, mi confortano, mi sorridono, mi accompagnano o mi visitano nella mia solitudine.

Fra queste anime comprensive c'è la tua, mio ottimo Nino, che principiasti ad essermi amico, appena mi hai letto, e tosto illustrasti i miei poveri libri con diffuse bibliografie, in cui mediante la tua prosa fluida, colorita di affetto ed elevata di sentimenti come un poemetto di famiglia, hai fatto vedere facilità e luce, dove io aveva messo sforzo ed ombra; e svolgesti rigogliosamente i miei germi d'arte intirizziti o contusi; tantoché inspirasti pittoricamente per me un gentile poeta; ed io preferirei candidamente che i miei lettori mi leggessero e conoscessero ognora non nel mio testo, ma nelle tue rassegne.

Né tu fosti soltanto per me amico benevolo nel campo delle lettere che si vantano amene; ma mi hai seguitato nelle gravi e spinose noie della politica; sei intervenuto a battaglieri banchetti elettorali ed operai per raccogliervi i miei poveri discorsi, e come un invidiabile revisore e correttore parlamentare li pubblicasti integrati, abbelliti dal tuo rapido e gentile ingegno di scrittore giornalista. E fuori delle lettere e della politica mi hai consolato e sorretto in scoramenti tristissimi.

Ora per rimeritarti di sì larga cortesia, ti scaravento addosso la mia prosa più villana, che i malevoli non tarderanno a gridare scurrile e brutale.

Ma se queste osservazioni greggie e rabbuffate io metto sotto gli auspici di te, che vai ravviato come il tuo nome e sei corretto come un gentiluomo della tua materna Inghilterra e sei il bozzettista degli ideali di famiglia, e sei il modello degli sposi e dei babbi e sei altresì argutamente fine come la nativa tua sagacità genovese, ho voluto appunto significare che le mie intenzioni non erano grossolane, né laide, né bestiali.

Se io tento di escuotere con la mia penna ogni angolo di vita sociale fino al tanfo delle osterie, e proseguo la sinfonia di una sbornia fino all'orazione o al sacrilegio, gli è perché credo che a conoscere e a riferire che cosa sia e che voglia la società presente (scopo d'ogni arte non sfaccendata) bisogni proprio affondare il bistorì nei tumori sociali ed osservarne con paziente microscopia gli sgorghi e le squarciature.

A raggiungere questo scopo di conoscenza artistica e di ragguagli scientifici, ritengo non basti rendere con le solite frasi le usuali virtù dei libri scolastici, che non fanno più presa.

Ritengo non basti neppure raffigurare soltanto gli artifiziali spasimi della società gaudente, ladra od oziosa, che fa principale occupazione della vita gli amorini e gli amorazzi senza cuore e senza cure morali. A svolgere con sapiente bravura le volute di quelle nebbie erotiche si attraggono certamente le voglie e si usurpa a buon mercato l'ammirazione del pubblico, come ad una potenza, ad una ricchezza e ad una raffinatezza romantica e nevrotica. Invece è un frigido e scettico lenocinio, e una venale cantaride per le alte cortigiane scioperate.

L'evaporazione sensuale che si dipinge dalle eleganze corrotte è imbiancatura di sepolcri, e fumo di verniciato letamaio, è alito affannoso di una società che basisce, esalando retoricamente l'ultimo sospiro.

Forse i germi della nuova vita sociale si trovano nelle terre vergini, nelle plebi.

Quali siano gli accomodamenti che potranno appianare al termine di questo ciclo storico le perpetue differenze fra le varie commettiture sociali, non è del romanziere o del novelliere il dirlo.

Ad esso incombe il dovere che Giuseppe Mazzini assegnava ad ogni artista di «interrogare la vita latente, addormentata, inconscia del popolo».

            Se da tali inchieste coscienziose, che intraprenda coraggiosamente l'arte non schifiltosa, verrà a riconoscersi che c'è molto marasmo spirituale e molto predominio animalesco in questa defezione di fedi, e che sopra tutti i disgusti del presente e fra tutti gli apparecchi di rivoltoloni e disgregazioni per l'avvenire, appena permangono vincoli immarcescibili la religione dei sepolcri, la santimonia della famiglia, la redenzione e la salubrità fisica e morale del lavoro e la fratellanza patria ed umana, noi per siffatto modo avremo indicati agli apostoli i concetti, che essi dovranno fomentare, gonfiare od ingrandire per la salvezza comune.

Così io, intitolando a te queste cattive e brutte scene plebee, confido di portare il mio piccolo tributo alla gentilezza ed all'estetica del bene.

Addio.

 

                        Il tuo GIOVANNI FALDELLA.

                                    Saluggia, 17 marzo 1884.





1 La Dedica di Faldella a Nino Pettinati precedeva Una serenata ai morti nell'edizione del 1884.




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