APPENDICE
- A PARIGI - VIAGGIO DI GERONIMO E
COMP.
La signora Goldi,
oltre a quel suo famoso cappellino, aveva per nota particolare quindici anni di
più di suo marito e quindici centimetri di altezza sul livello del cappello di
lui.
Essa portava
ancora il crinolino gonfiato a pallone, come si usava nei tempi che
precedettero l'unificazione d'Italia; e con ciò essa credeva di essere così
ammirabile, che anziché diminuire pensava sempre di accrescere la sua sferoide;
né aveva mai potuto o voluto accorgersi dei cambiamenti radicali della moda.
Ma l'areostata,
dopo di essere salito vertiginosamente alle stelle mentre essa infilava lo
sportello del vagone, aveva poi dovuto sgonfiarsi e affaggottarsi umilmente in
un canto sotto gli sforzi uniti di tutti i viaggiatori.
Quindi oramai ciò
che inquietava sopratutto la vista di Geromino era il cappellino di lei, da cui
egli non sapeva distaccare gli occhi. Egli diceva fra sé: - Che ne diranno mai
i parigini, che hanno tanto buon gusto? I cavalli delle vetture cittadine
vorranno mangiare tutta quella insalata e quel fieno, che si fa distinguere
sulla sua testa; i birichini vorranno portarle via tutto quel frutteto di
ciliege, fragole e pere che le dondola sulla nuca; i camerieri d'albergo
crederanno di trovarvi un giardinetto bello e preparato... Ah! per fortuna, che
si rizza in mezzo a tutto quel podere lo spauracchio della alabarda rossa...
Sopravanzato
questo pensiero consolante, Geromino si consolava vieppiù voltando lo sguardo
dalla signora Clitennestra alla sua diletta moglie, che aveva dieci anni meno
di lui ed era appena due centimetri meno alta di lui. Era grassoccia, pienotta,
aveva più chiaro del suo solito il suo viso contento da Gesù bambino.
La signora
Angelica Giacomina Geromino era una giovine signora, che aveva più bontà che
ingegno. Però la sua bontà era grandissima, e il suo ingegno non era difettoso.
Attraverso a
quella fisionomia aperta, e più specialmente, attraverso i suoi occhi grandi ed
azzurri passava una floridezza, una limpidezza e un riposo di cose per bene,
leali, innocenti, sincere, di cose di famiglia e quasi da ragazzina; ma non
passava mai un pensiero cattivo e neppure una caricatura.
Essa aveva saputo
acconciarsi a meraviglia, si sarebbe detto, che aveva potuto estrarre
dall'ultimo figurino tutto ciò che è bello, è vero, è sostanziale, e lo aveva
separato da tutto ciò che è esagerato ed è messo soltanto per far spendere o
per darla ad intendere.
Geromino
guardandola con soddisfazione ed importanza affettuosa: - Oh! mi farò onore a
Parigi con mia moglie! - si diceva e si affermava a sé stesso con la sicurezza
impareggiabile dei mariti.
Si può facilmente
indovinare quali fossero i sensi, che la signora Clitennestra Goldi nutriva
verso la signora Angelica Giacomina Geromino; erano quei sentimenti che due
spalle ossute così dette da corista, ossia due costolette spolpate, possono
nutrire verso due spalloccie rotonde e ben tornite, due mila lire di dote,
compreso il corredo, verso 200 mila lire in contanti e quaranta anni verso
ventiquattro.
Però questi
sentimenti di invidia erano domati in lei da uno spirito di sommessione
burocratica e dalle prediche del marito che la facevano persino travolgere
troppo spesso in ismancerie di adulazione e di servilità.
Le deferenze
verso la famiglia del sindaco erano i principali anzi gli unici punti, su cui
Pino Goldi esercitava e ribatteva la sua autorità maritale.
Del resto il suo
buon umore gli permetteva di non incaricarsi e di non affliggersi troppo della
moglie. Egli conduceva e aveva sempre condotto una vita esteriore. A
venticinque anni egli poteva già contare di avere fatti più di venticinque
mestieri, che si trovava di avere realmente principiati. Educato in seminario,
ne aveva esportata la nota malizia che usava a minuti per confonderla presto in
una cordialità spensierata. Aveva cantato da tenore sui teatri, aveva fatto il
gazzettinista a Milano, aveva fatto un po' il caricaturista a Firenze, aveva
pensato di prendere la laurea, ma, appena superato lo scabroso esame di
licenza, nello stesso mattino, in cui aveva stabilito di recarsi a Torino per
l'ammissione all'Università, era andato sul Lago Maggiore con una artista disoccupata.
Aveva avuto i suoi momenti di celebrità per certe appendici musicali, e aveva
pensato un istante di riuscire un grand'uomo; poi era finito segretario
comunale in un villaggio alpino. Per isfuggire a Torino una zitellona sua
vicina di pianerottolo, egli si era raccomandato al suo antico compagno di
scuola, l'avvocato Geromino, perché gli facesse ottenere il posto vacante di
Machiavelli di Monticella.
Installato
segretario comunale in quel luogo igienico, messa su serva e casa (un alloggio
di 12 membri ben esposti per 120 lire annue) egli si riteneva completamente
scampato ai pericoli della ragazza del pianerottolo torinese, quando si vide
comparire innanzi lei, la signorina Clitennestra in persona, mandargli via la
serva, impadronirsi lei della cucina, prendere possesso della credenza,
lavargli sulla faccia i bicchieri e le tazze da caffè e dirgli risolutamente,
che non si muoverebbe più da quella camera, se egli non la sposasse.
Il povero Goldi
pensò, che per levarsi provvisoriamente quella seccatura, era meglio
prendersela in perpetuità; pensò altresì che era corto a calze e a pezzuole, e
che la signora Clitennestra doveva essere ben fornita di biancheria. Insomma se
la sposò con l'intima persuasione, che avrebbe sposata qualsiasi altra, la
quale avesse saputo prima di lei usare con lui un trattamento egualmente
energico.
Fatto il
matrimonio, egli si trovò contento di avere acquistata una moglie più vecchia e
più brutta di lui. Trovava comodo di avere in casa chi lo stirava, lo
rammendava, lo consigliava e gli faceva da cassa di risparmio con interesse
coniugale e non con intento mercenario. Egli aveva i vantaggi del coniugio e
della famiglia senza le seccature della figliuolanza, della gelosia e dei
soverchi timori inspirati da Balzac sulla fedeltà femminina; imperocché la
signora Clitennestra con la sua figura di una giraffa, aggirantesi nella più
accertata sterilità di un deserto, era proprio al riparo di ogni tentazione,
anche del demonio.
Pino alla fine
d'ogni trimestre rimetteva alla moglie il mandato già firmato dello
stipendio, cui riscuoteva poi dessa dall'esattore, dando al marito cinquanta
centesimi al giorno per le consumazioni quotidiane, che gli permetteva fuori
del santuario domestico.
Così, dal
fortunato possesso d'una moglie, che portava lei i calzoni, egli era impedito
di profondere tutte le sue entrate all'osteria, come soleva fare prima; si
trovava pagato il fitto, il salcicciaio, il sarto ecc., senza che egli pure se
ne accorgesse; - sapeva per di più che sua moglie tesaurizzava nella Cassa
Postale, mentre egli ai tempi del celibato si era sempre dichiarato ed era
sempre stato un illetterato del risparmio. Per giunta il soprappiù dei minuti
piaceri largiti quotidianamente dalla moglie egli se lo guadagnava lautamente a
tarocchi, in cui era professore abilissimo, dando lezioni molto retribuite allo
studentino nipote del parroco e agli altri novellini dell'Antico albergo
della volpe.
Aveva anche la
consolazione di esilarare sé stesso e il prossimo chiamando sua moglie mamma!
o salutandola per sua veccbia, o raccontando ai
tarocchisti da lui pelati le serie e frequenti quanto infondate preoccupazioni
che essa provava consultando dottori ostetrici e levatrici più o meno
approvate, e votandosi alla Madonna d'Oropa, di cui essa era però sempre
scontenta.
Come si vede, Pino Goldi era un
cervello un po' scarico, e non solo scarico, ma incapace di qualsiasi carico,
gravità o peso specifico; e lo dava subito a divedere all'aspetto: un aspetto
leggero, di poca importanza, una faccia fra l'Esopo ed il clown, fra
l'intontito per disegno e il corbellatore per caso.
Quando egli si
trovava fermo per qualche necessità davanti a una cantonata o era lasciato due
minuti solo col sigaro in bocca, egli architettava già la caricatura, ruminava
già la facezia, con cui avrebbe fatto ridere la brigata al suo prossimo
comparire.
A Geromino egli
dava sempre del tu, ma condito di quel rispetto, che un uomo
sapendo di non essere serio, professa sinceramente verso gli uomini di polso, e
circonfuso di quella sollecitudine ubbidiente che un povero diavolo stipendiato
tributa al personaggio ricco, capo dell'amministrazione che lo stipendia.
Quindi egli
accompagnava ognora il tu con un signore o sindaco o
avvocato, non osando mai dire puramente e semplicemente: Geromino,
prestami, ma dicendo sacramentalmente: fammi il piacere, sindaco,
o avvocato, o signor Geromino di ecc.
Geromino d'altra parte non
ismentiva certamente per nulla l'amicizia da compagno di scuola che lo legava
al suo subordinato, però si permetteva spesso e assai volentieri di correggerlo
e di strapazzarlo per fargli del bene, s'intende; e se ne serviva altresì per
comodo proprio. Gli faceva copiare le sue relazioni, le sue monografie e i suoi
articoli più o meno amministrativi, con la più precisa e più dichiarata
intenzione di non lasciargli frequentar troppo l'osteria; intanto risparmiava a
se stesso un copista privato; - gli faceva cercare le parole del dizionario; -
quando voleva palesare in paese un secreto del potere, lo propalava al
segretario; e la parrocchia, il Comune, i travi pubblici, tutti i tavolini e i
tavoloni da tresette e tarocchi erano serviti nello stesso giorno a meraviglia.
Da ciò si può con
qualche fondamento arguire, che l'avvocato e sindaco Geromino, oltreché lodato
e lodevole per la sua bontà e ingenuità e qualche volta per la sua serenità ed
arguzia, aveva eziandio uno spirito, come si dice, eminentemente utilitario, e
senza soggezione, sbrigativo, che voleva colpire subito perpendicolarmente la
verità e i vantaggi delle cose e delle persone, anche a costo di passare o di
riuscire un tantino vanitoso, indiscreto e seccante.
Quindi non è da
stupire, se nei pochi giorni preparatorii della gita, egli aveva voluto
ferrarsi molto bene anticipatamente di tutte le nozioni necessarie ed utili sui
paesi che avrebbe visitati, per risparmiare poi tempo e disagi, ed evitare
molte delle mille difficoltà che il Cancelliere confessò di avere incontrato
sulla faccia del luogo.
Perciò, oltre a
un corso preliminare di lingua francese, a cui aveva assoggettato eziandio la
moglie, egli aveva ristudiato sulla Storia d'Europa del Ricotti (quella
stessa che gli aveva servito così bene nel liceo) i principali rivolgimenti
francesi; e per fare poi uno sfarzo scientifico-letterario
con sé stesso, con i suoi compagni e con quanti avrebbe incontrato nel viaggio,
aveva ricercato e rivedute le impressioni dell'andata e del soggiorno a Parigi
di molti illustri italiani, specialmente dell'Italia settentrionale, fra cui
Vittorio Alfieri, Carlo Botta, Angelo Brofferio, e Cesare Beccaria, che secondo
lui andò fra gli Enciclopedisti imbrogliato come una comare; -
aveva riletto i libri umoristici su Parigi di Sterne, di Heine, di Taine e
del dott. G. Raiberti; - aveva con una spesa riguardevole fatto acquisto delle
rinomate Guide Baedecker e Joanne; e vi aveva studiata la carta della grande
città, facendosene presto un concetto esatto, come l'avesse costruita lui.
Ora, mentre il
treno rullando guadagnava terreno a precipizio, e mentre la signora Goldi
manifestavasi di pessimo umore, forse perché nessuno dei paesi finora trascorsi
aveva applaudito alla sua penna rossa, o salutatala colla musica e coi
mortaletti, - il buon sindaco spiegava beatamente sulle ginocchia alla sua
signora la pianta di Parigi, indicando i giri concentrici degli antichi
bastioni e le enormi spaccature Haussmann.
A un tratto,
levando gli occhi, colse in fallo la faccia del Goldi tra l'ilare e
l'imbrogliato, come chi è sorpreso a preparare qualche corbelleria da spacciare
presto. Forse il cattivello stava per dire qualmente, essendo venuti di moda i
piccioni viaggiatori, egli e sua moglie si erano creduti in obbligo di
viaggiare anche loro; ma Geromino gli ruppe in bocca qualsiasi sciocchezza,
dicendogli con amichevole confidenza e impero sindacale: - Non cominciare a
farmi il poltrone adesso; prendi il temperino e lavora.
Quindi estratti
dalla coperta da viaggio due volumi intonsi, glie li diede, perché tagliasse
loro i fogli. Erano lo Zig Zag per l'Esposizione Universale di Folchetto
e il Ventre de Paris dello Zola.
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