È presto trovata
la ragione, perché Parigi sulle prime figurò così topicamente davanti ai nostri
volgari viaggiatori, ed è riposta nella differenza fra gli effetti della realtà
e quelli dell'arte figurativa.
Una volta un
fotografo ambulante fece la celia di prendere alla chetichella il ritratto del
castello municipale di Monticella, dove da quindici anni Geromino impera nel
suo sindacato, e glie ne presentò una copia. Il sindaco stentò un buon pezzo a
riconoscere nella fotografia il castello, sul cui ponte ex levatoio egli passa
tutte le mattine con il suo cane, e quando lo ebbe riconosciuto, dovette
confessare, che un processo rappresentativo, anche di fedeltà chimica, rende
più pittoresco e più romanzesco un oggetto, di quello che sia in realtà.
Nello stesso modo
egli aveva gustati di più certi famosi affreschi, riprodotti nella nitidezza
dell'incisione in rame, che non nella loro originalità affumicata.
A fortiori si accresce il distacco fra
l'espressione o meglio creazione letteraria, che agisce soltanto sulla
fantasia, e il vero delle cose, che può offendere il naso e gli altri sensi,
impillacherare il fondo ai calzoni e penetrare umidamente negli stivaletti che
siano sciaguratamente sdruciti.
A ciò si aggiunga
la potenza secreta delle relazioni e delle proporzioni fra le cose.
Per chi sta in
letto, è molto distante lo spazio fra il comodino e l'attaccapanni, e per chi
fa il giro del mondo è breve la distanza fra Parigi e Londra. A Monticella la
palazzina di Geromino è una vastità imponente, mentre a Roma il Quirinale è
scarso; a Parigi lo straordinario diventa naturale. Infatti quando crescono le
funzioni delle cose o le medesime sono tutte tagliate ad una grandezza, manca
lo spicco, il distacco. Così, per riparlare di Roma, il noto S. Pietro nasconde
da principio la sua ampiezza nella rispondenza ritmica di tutte le sue parti
ben proporzionate; e per rientrare nel regno della fantasia quel re di
Ghislanzoni, ammalato dalla malinconia, perché Madre Natura lo aveva fornito di
un naso troppo lungo, guarì completamente quando ebbe popolato la Corte e il
Consiglio dei ministri di proboscidi più lunghe della sua.
Ora, perché
Parigi faccia il necessario effetto con la sua grandezza, con la sua chiarezza,
col suo gaio e strepitoso brulichìo, e anche con la sua sfacciatezza
ciarlatanesca, qualità cui essa possiede in modo formidabile, bisogna che la
sua realtà batta sull'animo del forestiero, reso già ignudo delle prevenzioni
immaginose stategli procurate dall'arte rappresentativa.
Ciò posto, per
effettuare siffatto spoglio di prevenzioni non c'è nulla di meglio, che un po'
di riposo, ottenuto coi piedi sotto la tavola e coadiuvato da una bottiglia di
Chablis, vino limpido e magro, come il petrolio, il quale si accende poi nello
stomaco e sale ad infiammare la testa.
Con gli occhi
avvivati, accesi dal Chablis, la nostra brigata si sdraiò in vettura. Le teste
avevano una tendenza a riversarsi.
La carrozza
abbandonò la rete rotta dei sassi acuminati e scivolò sull'asfalto. Che andare
di velluto! Il sindaco e il segretario sentirono una forza quasi irresistibile,
che li spingeva a girare un braccio intorno ad un collo di sesso diverso, ma il
primo fu ritenuto dai doveri del proprio decoro davanti la pubblicità; e il
secondo spaventato dal genere della proprietà femminile, a cui era vincolato il
suo stato canonico e civile.
Si è sopra un
ponte.
Tutti quattro
allungano il collo fuori della vettura, e Pino Goldi sentenzia: - Questa serie
di ponti incastrati nei parapetti di questi Lungarni di qui, io dico che
son tanti pioli di una scala divina posata dal Padre Eterno in persona sulla
Senna, E anche la Senna è anche lei divina... Apro una sottoscrizione per far
passare alla Senna il titolo di divina. Sicuro! Si merita questo appellativo
più del Tevere…, che, per dire il vero, se lo usurpa, poiché è pulito come il
bastone del pollaio, mentre la Senna è lucida come un serpentone.
Passato il ponte,
si aprono di qua e di là le vie, i corsi, i viali, gli stradoni a stilettate, a
cannonate.
Levando la testa
in su verso quel cielo grigio, Pino Goldi scoperse il ballon captif (l'areostata
legato) che al prezzo di venti lire (per andata e ritorno) conduce qualsiasi
curioso all'altezza di 500 o 600 metri su questa valle di amarezze; e non tardò
a giudicarlo: l'ascensione di un uovo immenso ripieno di rugiada, una zucca
spropositata, e un luccicone dell'impassibile Giove stavolta commosso, poiché
gli si tirano giù i lacrimoni con le corde.
E conchiuse: -
Vorrei essere lassù per studiare i comizi... calati.
Si seguita a
scarrozzare... Si scoprono da tutte le parti raggiere di largo, di infinito...
Per ogni parte si potrebbe remigare, si potrebbe volare a perdita di remi, a
perdita di ali e a perdita di testa. Tutto è distante, e tutto li tocca, i nostri
passeggieri crogiolati in calesse; li tocca quell'immenso pastrano che cammina,
e dipinge di se stesso tutta la stroncatura di un palazzo a sette piani, dalle
finestre della cantina agli abbaini delle soffitte, per richiamo di un sarto di
abiti fatti a 39 lire il vestiario completo; li toccano i caratteri rossi,
verdi, azzurri che non basta più dire di speziale, o d'arco trionfale, ma
bisogna dire d'arcobaleno, onde si annunziano le gazzette, vantando miliardi di
lettori.
Tutto è spazio, e
tutto è foresta.
Tutto è massa, e
tutto è chiaro.
Tutto si può
intitolare più in là del segno, come il bel racconto di Roberto
Sacchetti; e tutto è nel segno relativo.
I giornali si
stampano di notte con la data di due giorni avvenire; - i cartelloni
dell'Ippodromo annunziano una donna proiettile; non c'è cravatta
in vetrina, che non porti la scritta di fuor di linea, di superiore
ad ogni eccezione, di indistruttibile; - due magazzini
si intitolano l'uno al Povero Diavolo, e l'altro al Paradiso delle
Signore; - c'è il Magazzino delle tentazioni, c'è quello del Ribasso
incommensurabile; - c'è persino quello della Roba per niente; -
un calzolaio battezzò la sua bottega Montagna di Calzature.
- Tutte queste
insegne si sgolano! - disse Pino Goldi - e se Parigi ha da morire, credo che
creperà di voce, come una cicala.
Passano i carrozzoni dei tramways
e gli omnibus, vere Arche di Noè.
I venditori di giornali innalzano i loro
fogli nello spacco di una pertica all'altezza degli abitanti l'imperiale, e ne
ricevono l'obolo nel bossolo annesso alla sommità della pertica.
Pino Goldi li
chiamò spegnitoi da sacrestano quegli elevatori dei lumi della stampa.
Parigi man mano
guadagna terreno negli animi dei nostri viaggiatori.
Geromino parla
come ebbro di meraviglia e di entusiasmo. Egli aveva studiata la pianta della
città; la sapeva a memoria, e ne discorreva con cognizione di causa, come
l'avesse costruito lui quel pandemonio.
Ma in certi punti
non si raccapezza più.
Vede il palazzone
dell'Opera (Accademia Nazionale di Musica secondo la nomenclatura o
meglio sgolatura francese) palazzone di corona in tempi di repubblica; e dice
esterrefatto davanti alla tratta di largo che gli sprazza davanti: - Qui
dovevano esserci venti quartieri, e li sbarazzarono in pochi mesi. Ah! Parigi è
una grande città perché si ha avuto il coraggio di distruggerla... Imparino gli
amministratori di Roma, che da tanto tempo tirano innanzi al passo della lumaca
la via Nazionale. Giù piccone! senza riguardi a ciottoli storici! Ciò che è
stato è stato. Aria pei polmoni moderni! Guardate, guardate! tutto largo, tutto
lungo, tutto in riga per fila destra o per fila sinistra. Stamane ero
sbalordito di non essere sbalordito di Parigi, ed ora sono sbalordito di
esserlo troppo...
Pino Goldi aveva
i gomiti, che dicevano: - Si aprono le cateratte del cielo.
E il sindaco
continuò: - Tutto si spiega... anche le nostre impressioni di stamattina. Si
direbbe proprio, che Parigi era una grande torta, o se volete una forma di
formaggio in muratura. o meglio un solo fabbricato con il ripieno nelle vie e
nelle piazze attuali; e che Hausmann e Napoleone III postisi di sopra col
coltello l'abbiano tagliata senza misericordia. Così i cittadini sono contenti
dei nuovi oceani di aria e di luce, e i cannoni possono spazzare più facilmente
le barricate... Ah! Come è chiaro tutto ciò...!
Il sindaco diceva
queste cose quasi con l'arrabbiatura di chi capisce troppo e dispera che gli
altri arrivino a capire in qualche modo.
- Ma osservate,
osservate! - Egli ripicchia: - È proprio così... Rombi di torta!... Come è
semplice Parigi nella sua vastità complicata! Vero come ho il battesimo in
testa! In mezzo venne lasciato il solco della Senna, perché vi si trovava già
prima sulla faccia del luogo e torno torno vennero utilizzati gli antichi bastioni,
che formano adesso gli anelli concentrici dei boulevards, piantati,
vedete qui, nella torta. E poi per ultimo giro intorno al margine della
medesima c'è il nastrino, quasi il legacciolo della strada ferrata di
circonvallazione...
L'accento del
sindaco significava: ‑ Darei dei pugni a cui non entra un'evidenza di
questa fatta.
Passano altre
facce giocose appollaiate sul cielo degli omnibus e dei tramways; e
salutano i nostri provinciali d'Italia con una spacconata mista di
galanteria e di canzonatura.
Circola per tutta
Parigi una ostilità permanente, di aspetto alcoolico, contra la malinconia e la
serietà dei sentimenti. Si direbbe che vi si deve eziandio morire per una baia
convulsa. Fatta fermare la vettura, e discesi in un caffè di lusso, ma fuor di
mano, il caffè Delta, che pare un fòro di marmi e di specchi per gli operai, i
nostri scarrozzatori furono assediati da un vespaio di rivenduglioli e
rivendugliole ambulanti.
Volevano far
comperare per forza pettinini, nettadenti, limettine da unghie e stecchine
d'avorio da sgrullare le orecchie, i quali oggetti annodati a un capo portavano
incastrata nell'altro la scheggiuola di vetro con la fotografia microscopica
dell'Esposizione.
Non è riducibile
in prosa scritta la ciarla, la persuasione, l'insistenza zingaresca ora
mendicatrice, ora autorevole adoperata da quei merciaiuoli. Uno di essi vendeva
delle raccolte complete di bottoni neri per lutto. E non invocava mica nessun
corrotto della patria per esitarli; diceva con un muso, in cui era stillata tutta
la filosofia del capitolo di Balzac sulla Belle-mère:
- Comprateli, comprateli! Signori.. vi serviranno sempre per
piangere qualche vostra suocera...
La sindachessa
aveva volontà di annuvolarsi per protestare contro quella irriverenza usata
verso sua mamma; ma finì anche lei per ridere.
Risaliti in
carrozza si sentivano oramai vinti da Parigi.
Passavano
squarquoie intonacate, ballerine stanche, andate a male, e visini freschi di
bustai, le quali Pino Goldi avrebbe voluto mettere in gabbia e dare loro
dell'insalata come ai cardellini; e passavano signorine, la cui vita
arrotondata nel busto fin dall'infanzia aveva preso le dimensioni di un vaso di
fiori.
- Ah! eccoli,
sono lì quei famosi zerbini con la testa ingommata... Entrano in una trattoria
economica con la vergine sigaretta sopra un orecchio.
- Eccoli
nell'ultimo abito della moda europea.
Uh! uh! sono
entrati certi signori esotici con la faccia da candelabro di bronzo e relativo
verderame.
- Persino gli
accattoni sono vestiti di nuovo, e si atteggiano a supremazia parigina. Proprio
così! Qui c'è anche il figurino dei mendicanti... Vedi, vedi...
- Vedo! Vedo!
Si va, si va...
La signora Goldi,
dopo avere covata una rabbia contra le rotondità coniche delle signorine che
tacitamente la insultavano, e averle accusate di artifizio posticcio, era
guadagnata anche lei dalla fiumana di Parigi.
Oramai essa
porgeva il capo da una banda e dall'altra, come se avesse ammiratori dell'est e
ammiratori dell'ovest, e sognava la conquista di un principe indiano.
Suo marito a
quella sconfinata grandezza di spettacoli ribolliva di idee grandiose da par
suo.
Pensava, che
l'eloquenza del deputato X avrebbe bastato a gonfiare il ballon-captif
ed egli si immaginava per suo conto di uccidere pulci col revolver,
e di scrivere un parallelo da Plutarco fra l'ingegno vasto, incisivo,
versatile e riversante di Thiers, e l'ingegno arretrato del figlio del
capo-sezione giubilato di Monticella, il quale figlio da
tre anni ripete la terza elementare.
La signora
Geromino guardava suo marito con quell'aria di ammirazione, che dice: - Pensa
lui per me...
E Geromino non
solo pensava, ma giudicava; giudicava non essere Parigi una città come tutte le
altre, in cui un certo numero di individui e di proprie famiglie nascono, fanno
i fatti loro e muoiono; ma è una proprietà, un albergo, un ristorante, un
casino della Francia, anzi del mondo intero, dove si viene da fuori per godere
o per far parlare di sé o per diventare addirittura un grand'uomo, dove si
muore necessariamente di sorpresa nel lavorìo della lotta o dei godimenti, e
dove si nasce solo per caso come nei vagoni della strada ferrata o sui
piroscafi...
Il sindaco vedeva
trascorrere lungo la sua carrozza una vita sempre sorridente, sempre più
scettica e sempre più frettolosa; e arguiva, che a Parigi si dorme persino in
fretta; rivedeva altresì quei fiotti di fantasmi storici, letterari, che ora
sovrapponendosi alla realtà la adornavano e la ingrandivano, anziché
sconciarla.
Diceva: - Maga
Francia! Maga Parigi! Le convulsioni, anziché prostrarla, la elevano e la
dilatano. Dopo il terrore, la monarchia universale; dopo Sédan e la Comune,
l'Esposizione mondiale.
Geromino ripensava
alla Pulcella d'Orleans, la cui statua equestre cavalca mingherlina in piazza
di Rivoli, come sopra una consolle; alla vita gaia e cavalleresca, ai
Parlamenti, alla processione degli Stati generali, a Versaglia, alla plebe, che
sfondò l'assemblea e la reggia; al successore di San Luigi, che, rintanato nel
vano di una finestra dorata, fu costretto a bere, come si usa in una osteria;
ai trentadue mila milioni di assegnati divenuti incapaci di pagare la
nota del calzolaio.
Geromino, vedendo
passare una faccia di operaio, rossa come il rame, tormentata dall'alcool
permanente, con gli occhi bianchi come in una pipa annerita, ripensava ai
preticidii, ai nobili scannati come in un fòro boario, alle mitrate figure
degli arcivescovi colpiti a morte nelle rivoluzioni; e con un po' di orgoglio
ricordava: - Qui abitava Carlo Botta, deputato del Piemonte al Corpo
legislativo di Parigi, il nostro Carlo Botta così puro, così ingenuo, così
onesto, così bisognoso... Qui abitò da giovinetto Alessandro Manzoni, uno dei precursori
letterari della nostra rivoluzione politica, Alessandro Manzoni, a cui gli
israeliti si rivolgevano per farsi cristiani e i vescovi domandavano consigli
di direzione spirituale.
Di ricordo in
ricordo, egli rammemorava tutto il giglio immacolato del Risorgimento d'Italia,
appena chiazzato dal brontolamento di Massimo D'Azeglio sull'eccidio parmigiano
del colonnello Anviti...
Paragonava,
paragonava... e oramai soggiogato dallo scalpore di quella vita parigina, da
quel moto assiduo di conquista, che deve indurire alla stessa tempera il cuore
della monaca e quello della cortigiana, e sconvolto da quegli impulsi
indemoniati che spingono a carpire il momento, per cui ogni istante a Parigi ha
l'aspetto di un'epoca, egli ritornò colla mente quasi atterrita al tempo
monotono, che gli colava nel suo villaggio a settimane, a mesi e ad anni, senza
che egli si accorgesse pure del loro transito, a quel tempo, in cui essendoci
la fiaccona nella politica paesana, i più grandi avvenimenti per lui e i più
dispettosi dolori erano la morsicata data dal cane al gatto sotto la tavola, e
l'avere il campanaro suonata l'Ave Maria cinque minuti più lunga della
prescrizione sindacale.
A questo punto
ebbe il coraggio di trovare più importante la vita parigina di quella di
Monticella.
Parigi aveva
vinto.
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