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Giovanni Faldella
Una serenata ai morti

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    • APPENDICE - A PARIGI - VIAGGIO DI GERONIMO E COMP.
      • 5 - Mabille
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5 - Mabille

 

Mabille - diceva il sindaco - è una istituzione consacrata dal carreggio dei romanzi, delle guide e della tradizione. Ciascun viaggiatore venuto a Parigi va a Mabille, come assaggia l'acqua minerale il forestiere che si trovi a Vichy o visita la mortificante rupe Tarpea lo straniero a Roma. Ora quantunque una generazione di viaggiatori vada ripetendo sotto voce, dopo l'esperimento fattone, che a Mabille ci si annoia potentemente, e che Mabille è oggimai un mito ecc., tutti seguitano ad accorrerci, e non solo i giovani principi del sangue, ma altresì i venerandi pastori inglesi con le loro reverende consorti; semplici spettatrici, s'intende.

Cionondimeno vi fu una discussione assai animata fra i nostri provinciali, se le rispettive signore potessero andare al Mabille.

Goldi citava la favorevole autorità del Baedecker, che assicura non commettersi nel giardino Mabille alcun peccato visibile ad occhio nudo.

- si balla, o meglio si vede ballare; si suona, cioè si sente suonare; si beve, o piuttosto si paga da bere; si possono anche stipulare contratti criminosi, ma si eseguiscono altrove. E poi l'Achille degli argomenti! Vogliono esser più smorfiose delle miss inglesi, le quali leggono il breviario e non nominano neppure la biancheria di bucato?

Con grande meraviglia di tutti, la signora sindachessa Geromino annunziò, che avrebbe accondisceso di andare al Mabille. Per lo contrario la signora Clitennestra Goldi ricusò formalmente di profanare i suoi principî con una scappata di quella sorte; tanto più, perché aveva male ai denti e si proponeva di andare la mattina seguente a fare le sue devozioni a Nostra Donna. Allora la signora Geromino si impuntò maggiormente a non volere rinunziare a quella spedizione.

- Ho capito. Tu sei diventata gelosa a Parigi, e desideri di starmi continuamente alle costole per sorvegliarmi - le disse il marito.

- E se anche ciò fosse... Ma niente affatto... Voglio vedere... anch'io, voglio...

- Oh! moglie proterva... Vorresti rompermi la cavezza (dandomi evidentemente dell'asino) eh? Ebbene mi vendicherò generosamente... Ma, no; senti un po', mia cara: se tu ti accontentassi di rimanere a casa insieme con la signora Goldi...

- È la mia età, che mi tiene a casadisse costei con accento, immaginò Pino, verdognolo.

- Oh! Lei è sempre più brillante di me - rimbeccò la Geromino con accento di fuoco.

- Ebbene! - ripigliò il sindaco di lei marito - mi vendicherò poi proprio ad usura... Ma via, guarda, ti ripeto: se tu mi lasci andar libero, te lo giuro! sarò savio, buono, e pieno fino sopra ai capelli di sacro orrore contro le tentazioni mondane. Ti garantisco un anacoreta della Tebaide... Ma, poiché sarò accompagnato a scuola, come un bambino, te la farò sotto i tuoi occhi, te la farò salata, te la farò.

- La mia vendetta sarà forse di maggiore importanza, trattandosi che io sono tua moglie - conchiuse freddamente la sindachessa, e il povero sindaco tremò, impallidì.

 

Pino Goldi e i coniugi Geromino si incamminarono verso il Giardino Mabille. Quella massa granitica di antichità grattata, che è la cattedrale di Nostra Dama sfumava nel bigio, in cui tutto si tingea. Dello stesso colore di Nostra Dama stagnava nel cielo come un lacrimone, l'areostata coatto. L'umidità dell'atmosfera pareva una densità di bolle, che crepassero sul viso dei passanti.

L'acqua saliva dalla melma nelle ossa.

Appena rallegrossi quella tetraggine umida e grigia per una bottata di Goldi, il quale vedendo passare alcune avventuriere sole in fiacre, disse: - Ecco delle signore disponibili, sfitte, le quali contrastano visibilmente con ciò che sta scritto sulla banderuola della loro vettura: loué.

Sul ponte Reale la signora Geromino diede una forte stretta al braccio di suo marito e lo costrinse a fermarsi.

Nel buio formicolava sopra, al di qua e al di del fiume uno sciame di lumicini, a perdita di vista.

- Mi fa pena, ho quasi paura! - disse la signora Angelica Giacomina al suo sindaco. - Chi sa? penso devano essere le povere anime di tutti coloro, che si annegarono nella Senna.

- Storie! - le rampognò Geromino. - È magnifica preparazione pel Mabille, a cui pure tu stessa ti sei intestata di volere andare! Torniamo indietro?

- No! No! Andiamo - gli ripeté la moglie di proposito; e, mentre quasi lo spingeva innanzi, si stringeva vieppiù tenacemente al braccio di lui.

 

Ecco la porta illuminata dello storico giardino dei putativi gaudenti; i nostri tre forestieri passano frettolosi a pagare le loro cinque lire d'entrata.

Alla signora Geromino parve che si chiudesse dietro le spalle l'usciolo di una trappola invisibile.

Sono nel giardino.

Quei fiori di zinco illuminati dal gaz e così magnificati dagli scrittori non parvero una grande cosa a Pino Goldi, il quale assicurò che il magnano di Monticella avrebbe saputo farne di migliori, senza che li decantasse il cantastorie locale.

Povera signora Angelica Giacomina! Essa, che al mercato del capoluogo passava così fiera perché luminosamente bella ed onesta, essa che a Torino non si degnava neppure di guardare le acconciature più sfolgoranti delle padrone dei mariti altrui, essa che a Monticella era così feroce, ingenuamente ed innocentemente feroce nel giudicare le debolezze delle nuove Lucie verso i nuovi Don Rodrighi!

Ed ora essa si trova d'accosto a creature della sua età, del suo sesso, e del suo vestiario signorile, ma che Dante non avrebbe chiamato certamente donne di provincia.

Queste passavano radendole i gomiti e gittando larghe occhiate assassine a suo marito quasi per fare legale concorrenza a lei, a lei sposa legittima, santa e severa, entrata nel loro agone.

Le pareva di sentirsi susurrare chi sa quali birbonate in francese, in inglese, in arabo e in tedesco, e si aggrappava sempre più al suo Geromino; temendo con raccapriccio, che gli dovesse sparire in un brutto momento come un profeta della Bibbia. Eppure avrebbe pagato anche una grossa birbonata di lui, pur di non essere venuta lei dentro... Ma rimorso! lei si trovava proprio fra quella perduta gente, non per la ragione dall'aria comune, che lascia passeggiare sotto lo stesso viale le fanciulle immacolate e quelle matricolate, ma si trovava , perché di suo capo ne aveva fatto pagare dal marito il prezzo d'entrata!

 

Il giardino Mabille è contornato da atrii e da corridoi; e in mezzo vi campeggia una tettoia. sotto, si suona e si balla; ma chi balla è una microscopica minoranza di due o tre garzoni parrucchieri o di due o tre disgraziate, retribuiti gli uni e le altre dal padrone dello Stabilimento a tanto per sera. Così si mantiene la tradizione del nazionale can-can.

Gli spettatori e le spettatrici, che formano la grossa maggioranza del Mabille, si accerchiano intorno alle pochissime coppie o quadriglie danzanti.

I ballerini hanno la fronte callosa, la faccia annerita e incatricchiata pel vizio e pelle veglie. Eccoli; volteggiano le pieghe dei loro abiti neri, dentro cui vaneggia un pozzo di appetito o di inappetenza da lungo tempo non soddisfatta.

Fra le ballerine ce ne sono delle compassionevoli e delle stomachevoli. Una fra esse ha la faccia putrida, squinternata, ha la vita sfiancata da esercizi o impedimenti d'ostetricia.

Ecco: raccolgono e rialzano i lembi della loro vesta.

Alla addolorata sindachessa parve che facessero l'atto dei moribondi, che brancicano le lenzuola prima dell'ultima partenza. Invece quel poltrone del Goldi osservò, che esse facevano precisamente come le ninfe dei campi, quando si chinano per convertirsi in fontane.

Dopo un'altalena di melensa monferrina, su...! coraggio! Dio lo vuole! lo vuole la Francia! lo pretendono le tre lire del padrone dello Stabilimento! Su, su: calcio in aria; gli svolazzi delle sottane impillacherate coprono le facce sudanti; si disegnano sconce mutande, su! su! calci in aria; finché una ginocchiata percuote la fronte. Che cosa importa che a questo mondo vi siano delle mamme e delle ragazze buone?…

Chi sa quali immagini si affacciano a quegli occhi sbarrati per ispasimo di mestiere, quando la sottana sale a coprirli! Forse baci, forse crudeltà, forse agonie, forse istanti di pensieri e gaiezze di mamma, forse germi di innocenza di antenate, forse... Ma che cosa importa tuttociò a noi figlie della melma?... Calci in aria, calci da portar via netto il cilindro del bishop curioso, fattosi troppo vicino, e da demolire gli occhiali verdi della sua signora. Allora la povera moglie di Geromino si sentì oscurare la vista e comparirle innanzi come un mare in burrasca, quella fitta di lumicini, che la avevano trattenuta a guardare sul ponte della Senna. Ora quei lumicini la offendevano, la ferivano, come una febbre, un inferno di animucce uscite stridendo dagli infanticidi, forse originati dentro.

È finita la danza.

Le spettacolose cortigiane che non ballano, ricominciano le loro passeggiate conquistatrici. Hanno le acconciature superbe, gli inviti mordaci, gli splendidi tagli di vita, le teste lussureggianti, i declivi delle vesti infiorati, le ciglia e le sopracciglia dipinte all'anilina, gli occhi fosforescenti nell'azzurro metallico delle libellule. I loro volti sono larghi pallori quasi rubescenti di luna. Muovono alle imprese della gioia, e sono cupe come usuraie.

La signora Geromino, cercando un volto di cristiana su cui riposarsi, rinvenne un gioiello di signora giapponese. Era bellissima, malgrado le ditate di compressione che il Creatore ha impresso nel volto della Venere giapponese, malgrado gli occhi a mandorla e malgrado la sua tinta di caffè battezzato. Era alta, svelta e flessuosa come una canna; aveva l'aspetto buono, gentile, casalingo e felice. Passeggiava a braccetto del suo ambasciatore. Ed era ridente davanti a quello spettacolo singolare, perché lei non era europea, non era cristiana.

Geromino ammirava un'ambasciata di beduini con le croci della legione d'onore sugli ampi e bianchi mantelli e con le teste lievemente ricciute e barbute, teste di una bellezza e di una finezza primigenia sotto i giri morbidi e colorati del turbante. Erano stati il giorno prima a visitare il Maresciallo presidente e il Gambetta, come saggi della civiltà pubblica, e quella sera visitavano la civiltà privata parigina.

Guardavano con alta noncuranza quel formicolìo di fogge poco artistiche del nostro meschinissimo figurino; e respingevano con una parsimonia di atteggi indicanti appieno la loro noia e il loro sdegnoso sprezzo, respingevano come assurdi gli inviti di quelle bellezze posticce e rinfagottate, pensando sicuramente e vittoriosamente alle loro serre olezzanti di vere bellezze caucasee.

In un punto la carovana fu letteralmente circondata da uno sciame impertinente di ragazze, che tirandoli da tutte le parti, volevano far forza a quei bianchi e ricchi loro mantelli. Allora gli occhi dei beduini scintillarono amaramente e ferocemente, come gli occhi dei senatori romani al tocco della mano barbarica, che ne profanava la barba.

Con una dignità, una economia, e una risoluzione di gesti statuari, da tragedia di Racine, cercarono di allontanare frettolosamente l'assalto dato dalla civetteria parigina al pudore della loro dignità maomettana. Ma vedendo che colle buone non riuscivano a nulla, il loro capo, il principe, appuntando un gomito e poi allargandolo si aprì il passo fra quelle noiose baiadere, come un Cesare che sbucasse da un assalto di congiurati.

Gli altri dietro a lui. E tutti con uno sguardo altezzoso sulla civiltà che si lasciavano alle spalle, uscirono dal giardino.


 

 




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