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Giovanni Faldella
Una serenata ai morti

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    • APPENDICE - A PARIGI - VIAGGIO DI GERONIMO E COMP.
      • 2 - Sconfitta di Parigi
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2 - Sconfitta di Parigi

 

Un gradevole lavorio da celle d'alveare ferveva nelle teste dei nostri viaggiatori. Essi tiravano di indovinare Parigi da ciò che vedevano per istrada ferrata.

Sulle pareti di qualche stazione lessero un cartellone che portava scritto: - SOCIETÀ PER L'OSSERVANZA DELLE FESTE COMANDATE: - Nella celebrazione della domenica è riposto il principio più fecondo del nostro progresso avvenire: - L'industria è fatta per l'uomo, e non già l'uomo per l'industria; - Il riposo festivo è il primo comandamento della legge dell'Igiene... e altri motti e sentenze di scienza sacra o sacrestana, naturale o contorta.

- Ecco Parigi del Sacro Cuore! - preconizzò Geromino.

Fatto l'asciolvere (un pezzettino di carne con una abbondante guernitura di piselli, patate, rape, cocomeri ecc. ecc.) nel pagare il conto (addizione in francese e sottrazione in italiano secondo Goldi) questi volle dimostrare: - Ecco Parigi economica!

Nelle fermate di venti minuti, vedendo discendere dal treno alcune avventuriere dirette anch'esse a Parigi; creature pompose con i capelli gialli, con le sopracciglia dipinte e con tutta l'acconciatura propriamente clamorosa, perché scodinzolando o dando colpi di mano sugli svolti della veste suscitavano veri sconquassi di fruscii, - la sindachessa ebbe un tremito di vergogna, e dovette intervenire Pino Goldi a dire per lei: - Ecco Parigi immorale!

La segretariessa non aveva in mente altro pensiero fuorché questo: - Ah! Parigi deve essere una città propriamente bella, perché lo dice persino La Traviata: Parigi, o cara!

Questa era l'unica erudizione su Parigi, che albergasse in quel cervello da cicogna, oltre alla vecchia raccolta di un giornale delle mode regalatale dall'Agente delle Tasse.

Ben diversa era l'erudizione, presso che ingente, che nell'avvicinarsi di Parigi si intralciava e tenzonava nella testa dell'avvocato sindaco.

La storia, la cultura, la civiltà, il genio francese sono così chiari, simpatici, stuzzicanti ed espansivi, che non è una meraviglia, se ce n'era entrato qualche poco nella testa di un sindaco rurale italiano, appartenendo questi alla categoria dei sindaci liberali, illuminati, spregiudicati bevitori di vino e consumatori di libri, di riviste e di gazzette.

In tutto ciò, che è veramente e genialmente francese, havvi un non so che di gaio, di facile e di allettante, che avvicina anche gli spiriti contrari, e fraternizza con loro, purché siano sani e di quel buon umore che è aiutato dal cielo.

Così al credente tollerante, di buon conto e dal capo scarico, piace di più la miscredenza di Voltaire, che la fede ipocondriaca degli anabattisti; e così pel sincero ed allegro amatore del popolo e della libertà è più ammaliante la memoria di Napoleone il Grande, colla sua lucerna calcata su quella faccia sbarbata da prevosto d'avorio, con le sue spalle alte, con il suo panciotto tirato, bianco e rotondo, con le lunghe falde del pastrano sollevate dal vento, con il cannocchiale, che guarda Austerlistz, con la mazza, che scrive un'operazione aritmetica sulla neve, con la bandiera in mano sul ponte d'Arcole, con tutti i fulmini delle vittorie a ripetizione da lui vomitate, come le scariche dei futuri fucili ad ago, con l'intiera personificazione del piccolo sottotenente d'artiglieria, innalzato alla altezza della Reggia, dell'Impero e dell'apoteosi del mondo; - dico, per il vero e semplice amatore del popolo e della libertà riesce più affascinante e più commovente la memoria di quel grande macellatore di popoli e di libertà, che non la realtà di puri congiurati repubblicani ristretti nell'ambiente fosco di una birreria.

La Francia è la fanfara, è la canzone, è la doratura, è lo sciampagna, è la verità nel vino, è l'entratura senza soggezione dell'abboccatutto, è il coraggio militare, lo spasso mondano, è la potenza dell'elasticità, è la novità della Moda, l'Olimpo moderno; e chi vuole convertirla o svisarla in un convento della trappa, la avvelena, la ammazza.

Per la stessa ragione ripugnano alla Francia, e per conseguenza a Parigi, che non solo ne è la capitale, ma ne è la schiuma, ripugnano gli spiriti timidi, malinconici, duri, oscuri, politici o morali, giudaici o nazareni.

Così Cesare Beccaria chiamato in Francia dagli Enciclopedisti, che volevano festeggiarlo per quel suo Vangelo Dei delitti e delle pene tanto benefico dell'umanità e della civiltà, sentì la battisoffia di Parigi, appena giunto a Novara; - da Chambery voleva già ritornare indietro; - con lo spesseggiare delle sue lettere, che sarebbero state ridicole se non fossero state pietose, si aggrappava alle veste della moglie lontana, come un bambino che piagnucola sul grembiule della mamma; - giunto a Parigi in mezzo al brillante accoglimento fattogli da quegli abati volterriani splendidi, rumorosi ed agevoli come la superficie della migliore seta canterina, egli rigido come la camicia da notte di un sindaco di montagna, chiuso come una marmitta, semplice e casalingo come una lasagna lombarda, - si trovò impacciato peggio di un pulcino nella stoppa; - egli, l'autore di un'opera di sugo filosofico maraviglioso, fu trovato da quegli spiriti eleganti ed allaganti tonto, buzzo e soturno come scrisse lombardamente Cesare Cantù; - e mendicando pretesti di salute, se ne ritornò più presto che in fretta all'ombra del suo Duomo e al tepore della sua sposa, quando prima di partire aveva disposto di fermarsi sei mesi a Parigi.

Così Vittorio Alfieri, la cui sublime mania di ferocia ferrea, tirannicida, greco-romana ora sembrerebbe parodia da giornale umoristico, se non avesse spoltrito la nostra antica servitù cortigiana, - il conte Vittorio Alfieri da Asti, per un sequestro di carte e di calze, scriveva in questo tono al Presidente della Plebe Francese: «Il mio nome è Vittorio Alfieri: il luogo dove io son nato, l'Italia: nessuna terra mi è patria. L'arte mia son le muse: la predominante passione, l'odio della tirannide; l'unico scopo di ogni mio pensiero, parola e scritto, il combatterla sempre, sotto qualunque o placido, o frenetico, o stupido aspetto ella si manifesti o si asconda...

«Io adunque ridomando alla Plebe Francese i miei libri, carte ed effetti qualunque, da me lasciati in Parigi sotto la custodia del comune diritto delle genti civilizzate. Se mi sarà restituito il mio, sarà mera giustizia; se ritenuto o predato, non sarà altro che una oppressione di più fra le tante, che hanno alienato ed alienano giornalmente i più liberi e sublimi animi dell'Europa dal sistema francese...».

E Vittorio Alfieri trovava il cielo di Parigi più sucido del suolo fangoso che ha procacciato alla grande città il nome di Lutezia; e la gentilezza parigina egli chiamava frasario urbano d'inurbani petti - figlio di ratte labbra e sentir tardo.

Così discendendo dalle persone grosse alle piccine, ai tempi della banda zingaresca, brigantesca e sanfedista di Brandalucioni, quando il Piemonte era scorrazzato dagli eserciti russi, tedeschi e francesi, una volta il sacrestano di Monticella, che si recava al mercato con una cesta di uova e un mazzo di polli, fu assalito, saccheggiato e picchiato sonoramente per istrada da quattro soldati e un caporale alemanni; - ma egli, ritornato nel paese tutto lacero, svaligiato, pesto e bollato, - da uomo di partito e di convinzione quale era, ebbe la cura di spargere la voce, che erano stati non i tedeschi ma i francesi quelli che l'avevano derubato e malconcio, e ciò per accrescere l'antipatia contro le novità galliche, nemiche del vecchio trono e dell'altare.

Per lo contrario, Enrico Heine, benché elettrizzato dal più ampio spirito di libertà, - pure perché egli aveva la febbre beffarda, satanica, ardente e sitibonda del gusto ellenico e mondano - metteva in canzone gli spiriti rudi, puri e sofferenti dei suoi liberali compatrioti tedeschi, e folleggiava di carezze intorno a Parigi, come fosse stata il collo scollacciato di una ballerina, pure professando il timore di farle del male con le sue zampacce da orso alemanno.

 

Geromino non sapeva nemmeno lui se doveva atteggiarsi a Cesare Beccaria, a Vittorio Alfieri, ad Heine, o a sacrestano di Monticella nell'ordine dei sindaci campagnuoli rimpetto a Parigi.

Fatto sta ed è che nell'avvicinarsi alla Babilonia moderna egli sentiva una spasimata soggezione di accostarvisi.

Il treno si incanalava fra le abitazioni; e il dabben sindaco leggendo sulle porte e sulle finestre delle trattorie suburbane: Stanzini per nozze, salotti per brigate, sentiva scorrere sul suo cuore il diamante degli anelli, che rabescano motti osceni sopra il vetro degli specchi incrinati; sentiva il grido soffocato di fanciulle, a cui si faceva del male; guardava sua moglie, che si ripiegava su se stessa all'annunzio che si entrava in Parigi.

Pino Goldi aveva un aspetto da operetta buffa, la signora Clitennestra pareva attendere il prossimo trionfo a lei dovuto e al suo cappellino.

Il sindaco si sentiva a volte a volte vuotare la testa e poi riempire da mille ricordi: - Cesare coi suoi piccoli soldati, e le sue parlate superbe, nervose, di due righe a quei parlamenti di giganti, sempre promettenti e sempre mancatori di parola; - Faramondo, e tutta quella galleria di re con chiodi e pettini in testa; - il conte Orlando e Rodomonte; - i Merovingi, i Carolingi, i Capetingi e i Napoleonidi, - la duchessa di Berry accalappiata da Thiers, - Luigi Filippo che faceva da re con la dignità di un negoziante da paracqua, e che usciva al proscenio del suo balcone pei battimani di quattro impresari di applausi pagati dai viaggiatori inglesi; - Napoleone III con il suo plumbeo ingegno da giocatore; - l'occhio di bue di Luigi XIV; - i calzoni unilaterali della figlia di Madama Angot; - il lievito minotaurino che bolle nel ciclo romanzesco di Emilio Zola; - Gustavo Buona Lana del Kock, che gioca al bigliardo alle spalle di un marito baggeo; - il mondo tornito e luccicante di Balzac; - i generali russi di Scribe; - i gesuiti di Sue; - le spalle quadre e le scarpe basse contadinesche del menestrello patriarcale e patriottico Bèranger; - la critica, la tribuna, a cui sta attento tutto il mondo.

Il povero sindaco aveva paura di vedersi comparire dinanzi realmente le cose e le persone, che aveva conosciuto pel mezzo fantastico della letteratura; non gli sembrava vero di dovere scendere proprio lui a Parigi; tutte quelle reminiscenze di storie, di commedie, di romanzi e di giornali facevano del suo pensiero un proiettile che andava, volava, quasi fosse lanciato da una balista, e poi cadeva con il languore del convoglio che si fermava. Dopo quell'eruzione scompigliata di evocazioni letterarie il meno che egli si aspettava di vedere a Parigi era una città, le cui case avessero le fondamenta in aria.

Invece, appena uscirono dalla stazione di Lione: Déception! fu la voce, che pronunciata dal Goldi con la maggiore imitazione comica dell'accento francese interpretò meglio il sentire di tutti.

Una stazionaccia; una piazzaccia rialzata; la prospettiva sprofondata di osterie, e di caffè nell'architettura impolverata degli stabilimenti che si ammirano lungo gli stradoni provinciali; - malgrado lo sciopero dei fiaccherai, quattro vetturaccie disponibili, e un omnibussaccio, sul quale si caricano Geronimo e compagnia.

Sentono per via i ribaltoni cagionati dall'acciottolato acuto, rado e scomposto, peggiore di quello di Roma; e credono di camminare con il sedere seduto sopra baionette di nemici sotterranei.

- Ah! è quella la grande cattedrale di Notre-Dame?... Un pendolo da caminetto. - Sono quelle le torri del Palazzo di Giustizia?... Tanti spegnitoi. - Quell'altra torre?... Un agoraio.

La bocca di Geromino si riversa in un punto di esclamazione: e quella del segretario si virgola in un punto di interrogazione.

Palazzi in forma di gabbie, case troncate come tagli di formaggio, spaccati di abitazione sporchi di fuligine, coi segni dei passaggi delle cloache intestine, - muraglie da gioco del pallone, che formano un solo castello da ciarlatano, ecco quello che veggono unicamente i nostri attori nella loro prima entrata in Parigi. Sui loro visi sta dipinto quel broncio di un nero particolare, che si deve quasi sempre ai calzolai per le scarpe che fanno troppo strette.

Rotolati fino all'alloggio particolare ed economico, che eglino avevano già fissato in rue du Bac, ecco le impressioni, che si comunicarono a vicenda, appena si sedettero tutti e quattro sulle due sedie del loro appartamento.

La signora Clitennestra, cui i Parigini, benché assuefatti a vedere chinesi, beduini e donne dei Paesi Bassi nelle loro fogge originali, avevano guardato fermandosi per istrada con una specie di ammirazione spavalda e di spavento minchionatorio, fermandosi specialmente sull'enorme cappellino munito della terribile penna rossa, disse, che ella già capiva, come in questo paese non ci fossero signori, ma ci fossero soltanto contadini.

Pino Goldi confessò che aveva fame, e che dubitava di potersi sfamare a Parigi.

La signora Geromino si ricordò con raccapriccio, che non aveva dato i due giri della serratura alla guardaroba della biancheria, prima di partire da casa.

E Geromino conchiuse: ‑ Certi viaggi è meglio leggerli, che farli.

 


 




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