Ugo Foscolo
Ajace

ATTO QUINTO

SCENA QUARTA

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SCENA QUARTA

Ajace

Gli ultimi passi miei verso la morte,

Giudice vera di noi tutti, alfine

Libero e forte io volgerò. La speme

Piú non m’illude; e certa è la mia pace. —

Fortune umane tenebrose! Questa

Spada, a’ Greci fatale, Ettore diemmi;

La mia si cinse; e col mio balteo il vidi

Legato esangue e strascinato. Or questa

Spada, sul lito a cui guerra io giurai,

Presso la tenda ove sdegnai curvarmi,

Mi prostra; ed invisibile un fratello

Esplora forse se piú il cor mi batte,

Per regnar poscia. — O Telamone, solo

Regna, e nella tua pira ardi quel scettro.

Tu, o madre mia, abbraccia e mostra ai Greci

L’unico figlio del tuo figlio. Un empio

Nato dall’abborrita tua rivale

Tel rapirà... — Ahi tornano frementi

Le umane cure e m’abbandona l’alta

Sicurtà della morte. Ajace, fuggi

Ove piú non vedrai traditori

tiranni vili; ove imitarli

Piú non dovrai, calunniar chi forse

Or per te more. — O uomini infelici

Nati ad amarvi e a trucidarvi, addio!

O Salamina patria mia, paterne

Are da me non profanate mai,

Campi difesi dal mio sangue, addio! —

Ch’io veggia e adori quella sacra luce

Del sol prima ch’io mora. Oh come s’alza

Splendida e il mio occhio avvilito insulta!

Ah, se rivive la mia fama, allora

O glorioso eterno lume, o sole!

Sovra il sepolcro mio versa i tuoi raggi.

Or ti guardo dall’erebo, e ti fuggo,

E nell’ignota oscurità m’immergo

Inorridito!... — Ahi l’infelice donna

M’insegue; io l’odo... Morir non mi veda.


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