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Gli ultimi passi miei verso la morte,
Giudice vera di noi tutti, alfine
Libero e forte io volgerò. La speme
Piú non m’illude; e certa è la mia pace. —
Fortune umane tenebrose! Questa
Spada, a’ Greci fatale, Ettore diemmi;
La mia si cinse; e col mio balteo il vidi
Legato esangue e strascinato. Or questa
Spada, sul lito a cui guerra io giurai,
Presso la tenda ove sdegnai curvarmi,
Mi prostra; ed invisibile un fratello
Esplora forse se piú il cor mi batte,
Per regnar poscia. — O Telamone, solo
Regna, e nella tua pira ardi quel scettro.
Tu, o madre mia, abbraccia e mostra ai Greci
L’unico figlio del tuo figlio. Un empio
Nato dall’abborrita tua rivale
Tel rapirà... — Ahi tornano frementi
Le umane cure e m’abbandona l’alta
Sicurtà della morte. Ajace, fuggi
Ove piú non vedrai nè traditori
Nè tiranni nè vili; ove imitarli
Piú non dovrai, nè calunniar chi forse
Or per te more. — O uomini infelici
Nati ad amarvi e a trucidarvi, addio!
O Salamina patria mia, paterne
Campi difesi dal mio sangue, addio! —
Ch’io veggia e adori quella sacra luce
Del sol prima ch’io mora. Oh come s’alza
Splendida e il mio occhio avvilito insulta!
Ah, se rivive la mia fama, allora
O glorioso eterno lume, o sole!
Sovra il sepolcro mio versa i tuoi raggi.
Or ti guardo dall’erebo, e ti fuggo,
E nell’ignota oscurità m’immergo
Inorridito!... — Ahi l’infelice donna
M’insegue; io l’odo... Morir non mi veda.