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Odo rispondere che la teologia legislatrice e la poesia storica si dileguarono con le opinioni e con l’età per cui nacquero, e che le scienze essendosi rivendicato il diritto d’illuminare la mente, alle arti letterarie non resta che l’ufficio di dilettarla. È vero: il tempo trasforma il creato; ma il tempo non può distruggere né un atomo dell’universo; e voi tutti che derivate le vostre sentenze dalle mutazioni degli anni ed i vostri diritti dalle distinzioni dei nomi, avvertite che l’essenza delle cose non muore se non con esse, e che ne talvolta possono sembrare [55] impedite, non perciò sono sviate dalle loro tendenze. Non vive più forse nell’uomo il bisogno di rendere con le parole facile all’intelletto ed amabile al cuore la verità? qual taciturna contemplazione può apprendere ed insegnare questo nostro sapere, che ci fa sempre più superbi e più molli? le nostre passioni hanno forse cessato d’agire, o le nostre potenze vitali hanno cangiata natura? e le scienze morali e politiche, che prime ed uniche forse influiscono nella vita civile perché sole possono prudentemente giovarsi delle scienze speculative e delle arti, a che pro tornerebbero se ci ammaestrassero sempre co’ sillogismi e coi calcoli? L’uomo non sa di vivere, non pensa, non ragiona non calcola se non perché sente; non sente continuamente se non perché immagina; e non può né sentire, né immaginare senza passioni, illusioni ed errori. La filosofia non cambia che l’oggetto delle passioni; e il piacere e il dolore sono i minimi termini d’ogni ragionamento. Quindi la verità, quantunque d’un aspetto solo ed eterno, appare moltiforme e indistinta al nostro intelletto, perché noi dovendo incominciare a concepirla coi sensi e a giudicarla con l’interesse della sola nostra ragione, la vestiamo di tante e sì diverse sembianze, e le sembianze di tanti accidenti quante sono la disparità de’ climi, de’ governi, dell’educazione, e de’ nostri individuali caratteri; onde anche le cose men dubbie sono assai volte mirate dai saggi [57] con mente perplessa e dagli altri tutti con occhio incredulo ed abbagliato. E nondimeno il mortale non s’affanna d’errore in errore se non perché travede in essi la verità ch’ei cerca ansiosamente, conoscendo che le tenebre ingannano e che la luce sola lo guida; ma la natura mentre gli concesse tanto lume d’esperienza bastante alla propria conservazione, fomentò la curiosità e limitò l’acume della sua mente, ond’ei tra le crudelità ed i sospetti eserciti il moto della esistenza, sospirando pur sempre di vedere tutto lo splendore del vero: misero s’ei lo vedesse! non troverebbe più forse ragioni di vivere. Or per me stimo non potersi mai volgere l’intelletto degli uomini verso le cose meno incerte e per continuo esperimento giovevoli alla loro vita, prima di correggere le passioni dannose del loro [58] cuore, e di distruggere le false opinioni; il che non può farsi se non eccitando col sentimento del piacere e del dolore nuove passioni, e con la speranza dell’utilità fecondando di migliori opinioni la loro fantasia. Se dunque l’eloquenza è facoltà di persuadere, come mai potrà dipartirsi dalle umane passioni, e come la ragione e la verità staranno disgiunte dall’eloquenza? Però questa distinzione d’illuminare e di dilettare fu a principio pretesto di scienziati che non sapeano rendere amabile la parola, e di letterati che non sapeano pensare. La filosofia morale e politica ha rinunziata la sua preponderanza su la prosperità degli Stati da che, abbandonando l’eloquenza, si smarrì nella [59] metafisica; e l’eloquenza ha perduta la sua virtù e la sua dignità da che fu abbandonata dalla filosofia e manomessa dai retori. Sciagurati! si professarono architetti di un’arte senza posseder la materia; fantasticarono limiti alle forze intellettuali dell’uomo; s’eressero dittatori de’ grand’ingegni; ambirono di magnificare le minime cose, e di trasformare il falso nel vero e il vero nel falso; l’ozio, la vanità, l’avidità accrebbero la moltitudine degli scrittori; invano la natura esclamava: Io non ti elessi al ministero di ammaestrare i tuoi concittadini; l’arte lusingava, insegnando a non errare perché giudicava gli scritti derivati dalle passioni degli altri; ma l’arte non parlò più alle passioni, perché non le sentiva; la fantasia, destituta dalle fiamme del [60] cuore si ritirò fredda nella memoria; destituta dal criterio, inventò mostri e chimere; e la facoltà della parola si ridusse a musica senza pensiero.