Ugo Foscolo
Dell’origine e dell’ufficio della letteratura

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E Socrate, che non ambivagloria di scienziato, [72] né emolumenti di retore, né dignità di capitano e di pritano, ma che vedeva quanto le virtù cittadine scadeano con la vera eloquenza e con esse l’onore e la libertà della patria, ripetea que’ consigli che tanti scrittori hanno serbati a noi posteri. Ed io li leggeva per emenda della mia vita; ma oggi, poiché nelle poetiche e ne’ trattati non so discernere aiuti all’ istituto di professore, ordinerò que’ consigli di Socrate per unica norma alle lezioni ch’io potrò scrivere; e piaccia a voi pure di udirli. Uditeli: benché forse il mio stile, non certamente l’arbitrio de’ miei pensieri, potrà violare il discorso di quel giustissimo tra i mortali:

 

[73] O Ateniesi, adorate Dio, e non aspirate a conoscerlo: amate il paese ove la natura vi ha fatto nascere, e seconderete le leggi dell’universo: non disputate sull’anima, ma dirigete le vostre passioni verso le cose che giovarono a’ nostri padri. O miei concittadini, non a tutti è dato di essere oratore o poeta: coltivate i vostri poderi, permutate i frutti e le merci, poiché tutti abbiamo necessità della terra e a pochi manca l’industria: tutti i padri possono educare i loro figliuoli a venerare gl’iddii, ad obbedire alle leggi, ad amare la patria, e tutti i giovani possono difenderla co loro petti; ma in ogni studio ascoltate il proprio Genio, e sarete onorati e benemeriti cittadini. Sì, Ateniesi [74], un Genio parla nel petto a ciascheduno di noi; però l’oracolo, consultato da’ miei genitori, rispose: Che facessero voti a Giove padre e alle Muse, e che mi abbandonassero in tutto al mio Genio40 il quale, interrogato da me, esortavami di studiare ciò che poteva essere utile a me stesso ed agli altri. Onde imparai musica da Damone, e volli vedere cosa fosse poetica, rettorica e geometria, e considerai le arti e gli artefici, ed ascoltai filosofia universale dal vecchio Anassagora, e fui prediletto discepolo di Archelao, e volli anche da Diotima, donna d’elegantissimo ingegno, apprendere dottrine d’amore41. Or benché fossi da’ precettori stimato di felice intelletto, niuna verità m’avvenia d’imparare sì certamente ch’io potessi ridirla senza timor di mentire e di nuocere. Anzi il Genio mi comandava ognor più di rinunziare all’onore ed al lucro di quegli studi, ed anche all’arte della scultura insegnatami dal padre mio, e che unica omai potea camparmi da povertà, per vivere invece tra gli uomini, e considerare e dire le cose che li fanno disgraziati o felici. Da indi in qua mi vedete nelle vie più frequenti, e tra le gioie e le querele degli uomini e nelle tende e nelle officine, sì [76] che chiunque a cui piaccia mi risponda e m’ascolti; e dopo avere udita e considerata ogni cosa, paleso, com’io so, quelle sole verità che vedo chiarissime nella mente e che sento nel petto profondo, e che taciute mi fariano colpevole e disonesto dinanzi al mio Genio. Ma la verità che mi è da tanti anni manifestata dalla condizione della patria, e che mi fa ognor più colpevole ed importuno in Atene, è questa ch’io voglio ripetervi, perché mi si è fitta più tenacemente nell’animo. O Ateniesi, massima impostura e pubblica calamità si è l’accostarsi ad un’arte senza ingegno, studio e coraggio convenienti ad esercitarla. Ché né io, tuttoché figliuolo e discepolo di scultore, avrei potuto emulare le statue di Fidia; né Fidia cessò di fare il simulacro [77] di Pallade, quantunque ei prevedesse che per quel lavoro sarebbe morto in prigione42. Se dunque l’amore di un’arte vi conforta contro la povertà e l’ingiustizia, voi sarete miseri forse nell’opinione degli altri, ma compianti dagli uomini buoni, e gloriosi in futuro, e, quel che è più, soddisfatti nel vostro cuore. Ma se studiate eloquenza e poesia non per altro che per vivere mollemente, voi non seconderete lo scopo di queste arti, le profanerete con mercimonio servile, e lascerete quelle che potriano farvi più avventurati e più onesti. Però il divino Omero cantò che la Musa gli avea rapito il caro lume degli occhi, ma che l’avea pur compensato di tanta disavventura, [78] concedendogli l’amabile canto43. E in vero la poesia è una divina concitazione del Genio e certa sapienza ispirata; e non è molto che udimmo l’oracolo di Delfo, interrogato da Cherefonte, rispondere ch’Euripide e Sofocle erano sapienti tra gli uomini44. Or chi non reputa eminentissima la facoltà di persuadere? ché senz’essa né poetistorici acquisterebbero grazia e credenza; e vedo che quante discipline s’insegnano, tutte s’insegnano col discorso; e so che per essa Temistocle ed altri forti salvarono la repubblica, e la fecero gloriosa e possente, [79] tuttoché arringassero nell’assemblea ravvolti, all’uso di Pericle, nella clamide e senza gestimelodia45. Però chi tiene quest’arte e può compartirla per oro, come s’usa da Gorgia Leontino e da Polo, è da stimarsi cittadino benefico e beatissimo tra’ mortali. Ch’ei senza dubbio deve insegnare che questi facitori di ditirambi agguaglino Alceo, senza avere liberata la patria; e mentre pur vegliano all’altrui cena motteggiando piacevolmente, scrivano i cori d’Euripide nostro che avea sembiante verecondo e [80] severo, e che nell’ilarità de’ conviti ospitali cantava agli amici: Abborriamo coloro che celebrando motteggi fanno gli uomini più maligni46: anzi deve insegnare a’ nuovi poeti, i quali si vanno insidiando con invidia mortale, ad emulare le tragedie di Sofocle; e pure Sofocle, benché contendesse ad Euripide la corona, non però cessò d’onorarlo; e quando Euripide morì, egli comparve in veste lugubre, e pianse con tutta la città che quel nobile capo giacesse in tomba straniera, né patì che gli attori a que’ giorni rappresentassero coronati l’Edipo47. Inoltre Gorgia deve negli oratori politici infondere giustizia per discernere [81] l’utilità delle leggi, e temperanza per amministrare l’erario, e prudenza per non irritare le tribù negli scandali, e gravità per sedarli, e fortezza per dissipar le fazioni, e desterità co nemici e cogli alleati, e lealtà in parlamento, e valore nel campo, perché le sentenze non siano smentite dai fatti. Come si possa insegnar tutto questo non saprei dire; e mi pare potenza maggiore dell’umana. Vedo bensì giudici ed oratori sorgere giovani da quelle scuole; e voi vedete a che termini siano gli ordini e i costumi della repubblica. Ché se quell’arte non tende che ad accattare regali dagli ambiziosi e voti dal popolo, non dubito ch’ella sia facilissima da che basta piaggiare i più [82] prodighi, e decretando i tre oboli a’ poveri sì che v’intervengano, far ozioso teatro dell’assemblea per proverbiare i più saggi. Or tutti voi ricordate che i trenta tiranni pubblicarono legge perch’io solo non fossi oratore; e quella legge mi significò che nell’amor della patria spira certo fuoco divino, e nella verità una beltà incorruttibile a cui non giunge il discorso impetuoso e ripulito de’ retori; e ch’io dovea tenermi veracemente oratore, poiché a me solo e non ai maestri vien dato di non far peggiore con l’eloquenza veruno di voi, anzi giovai per alcuni ad innamorarvi dell’onestà. Ma come stiasi la cosa, certo è che il Genio mi consentì questa proprietà di oratore; perché né quando mi opposi solo alle crudeltà dell’oligarchia, né quando in democrazia per non violar il pubblico giuramento negai d’approvare nel senato una sentenza che mi pareva non giusta, né adesso né mai avrei detto parola se la voce del Genio m’avesse, come suole talvolta, disanimato. Or, poiché quei trenta si sono cangiati, ma non i modi della città, io mi vedo assai vicino alla morte. E veramente Omero attribuì ad alcuni nella fine della loro vita certa prescienza dell’avvenire; e piace anche a me di emettere un vaticinio: Io morrò ingiustamente. Se il vivere o il morire sia miglior cosa, è a tutti incerto fuori che a Dio; questo so che di me faranno testimonianza il tempo passato e il futuro.

 

E morì; e un retore ordì la calunnia, e un ricco fazioso [84] pagò lo spergiuro de’ testimoni e de’ giudici, e un poeta d’inette tragedie perorò contro Socrate, e trecento Ateniesi lo condannarono, e la sapienza fuggì dal governo, e l’eloquenza ammutì, e Atene fu serva de’ retori, che fecero esiliare tutti i filosofi48; e Italia pure li vide espulsi quando Domiziano insigniva un retore del consolato49, il retore Quintiliano che nelle Istituzioni ovei predica la lealtà indispensabile agli oratori, parlando di Domiziano, di quell’ingrato insidiatore di Tito, di quell’invido tiranno d’ogni virtù, di quel carnefice industrioso, lo chiama censore santissimo de’ costumi, e in tutto e nelle lettere eminentissimo50.

 





40 Plutarco De Genio Socratis. Tutti i pensieri e gli argomenti di questo discorso furono da noi religiosamente ricavati da molti scritti antichi, e segnatamente dai Memorabili e dal Convito di Senofonte, e dalla Apologia di Platone.



41 Di tutti questi studi di Socrate vedi il Bruckero, Historia philosophiae, tomo I, parte II, lib. II, cap. 2, De schola socratica.



42 Diodoro Siculo, lib. XII; Plutarco, in Pericle.



43 Omero, Odissea, canto VIII, versi 63-64.



44 Vedi i due celebri versi di quest’oracolo e l’interpretazione, di Suida all’art. Sofñw.



45 Eschine, in Timarco. Ed è memorabile il passo di Plutarco nella Vita di Nicia: Cleone levò la decenza e il decoro che si convengono al tribunale e alla bigoncia; e avendo egli il primo cominciato a gridar forte nel concionare, ad aprirsi la veste, a battersi sulla coscia e a scorrere qua e nell’atto stesso che pur favellava, insinuò quindi in coloro che il maneggio avevano della repubblica quella libertà licenziosa e quella trascuranza dell’onesto e del convenevole dalle quali poco dopo messi furono in iscompiglio tutti gli affari.



46 Eliano, Varia hist., lib. VIII, cap. 13; Eurip., in Melan., presso Ateneo, lib. XIX.



47 Thom. Mag., in Vita Euripidis; Suida, in Sofokl.



48 Vedi Bruckero, Storia filosof., alla Vita di Teofrasto; e l’Enciclopedia, articolo Aristotélisme.



49 Tacito, Vita d’Agricola sul principio; Svetonio, in Domiziano; ed Enrico Dodwello, Annales Quintilianei.



50 Institut. Orat., lib. IV, nel proemio.



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