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SCENA 1a
Eccoci Edippo – Appena or sorge l'alba,
E già siam presso alla città – Sinch'alto
Rifulga il sol, lena ripiglia – Molto
Oltre l'usato in questa oscura notte
Senza arretrarci mai le vie calcammo
Anzi di trarci in questo loco – Antichi
Volga lo sguardo, altro non veggo intorno
Che cipressi, ed allori, e in lunga fila
Il verde ulivo – Eppur, s'io mal non scerno,
Ergersi miro in non lontana parte
Marmorea porta, e sulle eccelse basi
Sculta d'astata Vergine discopro
La immagine – Se ben m'avviso, è quella
Pallade, Edippo, e tal pingeasi Atene
In Tebe nostra...
E dolce a un tempo rimembranza! Allora,
Che giovinetto, e puro il cuor, più puro
Di quest'aura che spira, da Corinto
A Focide men gìa – Misero! Or quale
Ritorni Edippo! Esul, canuto, infame
Per cento colpe, abbandonato, e solo...
Ah solo no, meco per tutto io porto,
Meco la impronta del mio crudo fato!
Oh padre!... Questa, che ti stringe al seno,
E che d'amare lagrime ti bagna
Lasso! se almeno te nomar potessi
Senza arrossir mia figlia, al par che padre
Me tu appellar non sdegni, e che i miei voti
Ergere osassi insino ai Numi... fausti,
Per me non già, ma per Antigon sola
Gl'invocherei...
Né i miei non s'ebbe a nullo,
Eccoti il dono
(Dono fatal) che col viver ti diedi,
Ecco l'infausto retaggio paterno
Il pianto, la miseria, e 'l tremar sempre!
Forse ch'il sa!... Deh nol dicevi? ... Atene
Scopo a' tuoi voti ella non era?
Ell'era,
Ma che perciò? Fuor che miseria, e pianto
Assente il Cielo al sangue nostro?
Almeno
Lungi di Tebe, e 'l pianto nostro, e i stenti
Nostri, trarremo...
Oh sì!... Ma a qual terracci
Essi da tanto? ... E la tua madre stassi,
E qual si stia, lasso! ch'il vede in Tebe!
In odio ai figli, al fero padre, oppressa
Sotto il carco fatal de' non suoi falli...
Eppur ch'il crederebbe? e tu tel membri,
Com'ella il dì che me cacciavan sordi
Alle voci del sangue i rei fratelli
Mi scortasse oltre Tebe – Ohimè!... di pianto
Ella bagnava l'assassin suo crudo,
E osava al ciel porger sommessi voti...
Ah! perché i Numi i miei, pria non udiro
Certo vivrà, ché eterno il duolo in Tebe
Esser pur debbe – Ma speranza il petto
Dolce m'avviva che il minor fratello,
Quel Polinice, che pur ella amava
Meno dell'altro, l'alto suo dolore
Rattempri...
È ver, indol men cruda, e sensi
Più generosi d'Etèocle, aversi
E' ben mostrava – Ma il cuor ch'il scerne,
Nel cuor chi legge dei figli d'Edippo?
L'innato aggiungi odio dell'avo, l'arti
Del rio Creonte, oh quanto infame vile!
Ei me prima tradia, traditi a un tempo
I nepoti poi forano; quant'essi
Brama di trono, e assai più ch'essi, l'alma
Gli incende, – ed avrà trono in Tebe, degno
Ben ei di starsi a paragon del nostro
Sangue su seggio scellerato –
Il Ciel che mai questi tuoi voti, o padre,
Avverati si veggan... Forse un giorno
Mossi i Numi a pietà de' tanti affanni
Tuoi...
Che puon darmi altro che morte alfine
Questi empj Dei? Che quasi poco fosse
E onor, e lumi, e patria, e figli tormi,
M'han tratto a tal, che sino il pianto ascritto
Emmi a gran fallo, e s'io versarlo osava
Nel tuo seno pietoso, al mio non certo,
Al tuo stato pensando, io lo versava –
Oh caro padre!... Benché alto il mio duolo
Fosse, nel petto i miei lunghi singulti
Premea tacitamente, onde i tuoi mali
Non addoppiar co' miei lamenti, e 'l Cielo
Pregavo io sì, che ricader pur fesse
Tutta su me l'ira sua eterna...
E tutta
Versolla il dì, che me seguivi a Lerna –
Oh che dici?... anzi io mai da te staccarmi,
Mai non dovea, ma i fratei crudi svelta
M'ebbero a forza! ... In dubbio orrendo intanto
Tristi giorni vivea presso Giocasta
Infelice, dolente, e di tua vita
In forse ognor – Ma eluder quindi io seppi
L'empie lor cure, ond'io giungessi in tempo
Di partir le tue pene – Oh come io ratta
Venni di Tebe ad abbracciarti a Lerna!
Oh come all'ansio paterno tuo petto
Tenacemente m'avvincevi senza
Muover parola... Oh Edippo!... in quel momento,
E 'l sangue nostro, e i lunghi affanni, e Tebe
Ben io scordava... Oh caro padre!... io teco
Starommi io sempre...
Sì... sempre... lo spero –
Ma deh, tu 'l vedi, il tempo passa, vuolsi
Cercar da noi qual egli sia tal loco,
Ristatti or dunque, e teco in breve io torno.