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SCENA 2a
EDIPPO, TESÈO, TALETE, ARCADE.
Alta cagion vuol ch'io t'appelli.
E quale?
Ohimè! Qual altra
Cura può trar qui di Creonte un messo,
Agli agitati
Tuoi sensi alcun breve di calma or dona.
Vuo' pria però che, se a parlar qui teco
Scendo, al voler non mio l'arrechi, ai preghi
Bensì del re.
A te non vuoi, fia Tebe dunque – Or volge
Gran tempo Edippo, che ramingo...
Vani racconti, a che ne vieni?
Il regno,
Che i figli iniqui ti rapir, che l'avo
Per te si tien, vengo ad offrirti...
È questa
Del tuo venir l'alta cagion? Pensato
Deh! chi s'avria che di Giocasta il padre,
L'industre, il solo eccitator di risse
Tra me ed i figli, or che null'uom s'arroga
Poter su Tebe, a me riserbi un trono,
Che sempre fu de' suoi pensier l'oggetto?
Pensier più grave è il ben di Tebe...
E tale
Forse era il dì, che me cacciava in bando?
Sì.
Non i tuoi figli?
I figli
Seguian lor fato – Entro le vene nostre
Scorreva non dissimil sangue, giusto
Era il lor odio, anzi minor di quanto
Aveami allor per ambo. Ma Creonte,
Che avea Creonte di comun col sangue
Della stirpe Cadmèa? Ch'altro mai l'arse
Se non talento d'assoluta possa,
O quando me cieco, cattivo indusse
I nepoti a cacciarmi fuor di Tebe?
O allor che forse d'Argo Polinice,
E 'l vecchio Adrasto, e in un Tidèo sospinse
Ei non vel trasse, ed i tuoi figli...
A gara
L'uno blandir, l'altro istigar, far pompa
D'amistade, dividerli, tradirli,
Onde più certa s'appianar la via
Oh se tal fosse
Or ben tel vedi, e i tuoi Tebani il sanno,
Ed io mel so, che in tutti i cuor, le bocche,
E dentro i lari, e sin ne' templi augusti
Altro che il tuo suonar nome non s'ode.
Oh in altro suon ben più tremendo udrassi
Là un dì, mio nome; or va, che quanto io debba
Fede prestarmi all'arti vostre infami
Appien m'han dotto i tempi andati – A prova
Creonte e quanti abitator rinserra
Quella ingrata città, conosco. Io venni
Perciò ratto assai più, che l'età lunga
Speme, e forza men desse – Alta ventura
Fu ben la mia d'esser qui giunto in tempo,
Sì che sfidar vostri pretesti or possa –
Tebe m'appella? Oh che sperar può Tebe
Da re proscritto?
Dalla tua somma povertade, ammenda
Far de' tuoi torti, locarti sul trono,
E vendicar...
Deh, che no 'l fea pur dianzi?
A che per pegno di sua fede il ferro
Tinto dal sangue di Creonte in pria
Non mi mandava?
Potrai tu stesso in mezzo a' tuoi! Deh vieni,
Credimi, Edippo, v'hanno petti in Tebe,
E ferri pronti a vendicarti.
Oh iniquo
Te quanto il tuo signor! Ma scerre ei mai
Altr'uom potea, che pari a lui non fosse?
In Tebe Edippo? Io ricalcar le infami
Strade di Tebe? Santi Dei, non ch'uomo,
Né il poter vostro unqua il saprebbe! Oh gioja,
Onde bearsi ornai può sol mio cuore!
Né troppo or duolmi esser vissuto – Tempo
Venne, e mai tardo è di vendetta il giorno!
Torna dunque a tua posta, e a lui che servi
Reca ch'io vivo, e assai più che nol crede
Noti mi sono i scaltri appigli, e 'l fine
Per cui vorria me a sua salvezza or pegno.
Oh vedi a cui fero livor ti porta!
Esul tu fatto, e re senz'armi, ei cinto
Dai mille, qual da te potria temersi
Danno, se brama di regnar sol fosse
E vorrai sempre
De' tuoi rifiuti,
Del tuo tenace odio, nol niego, ingiusta
Omai mi sembra la cagion – Se Tebe
Cacciar te vide un dì, né contro i crudi
Nemici tuoi non sorse, il puoi tu a colpa
L'ascriver anzi che al terror, che l'armi
Di quei tuoi figli le infondean nel seno?
Non il terror, al mal oprar sol duce
Era la rabbia – Eternamente fitta
Nel cuor sarammi quella infausta notte,
Ov'io scacciato per le vie di Tebe
Udiami a prova e figli, e padri, e spose
Altamente appellar infame, e a morte
Dannarmi anzi l'esiglio, se Giocasta
Non feasi scudo al popolar tumulto –
Or va, spargi il tuo sangue, e suda, e anela,
E su quell'idra, che plebe si noma,
Versa e profondi i doni tuoi, mercede
Poi ne corrai, qual non mertata io colsi.
Ampia mercé nel perdonar non trovi
Chi sé colpevol noma? O se vendetta
Brami tu, se non piena, in parte almeno
L'avesti già; lascia che il tempo intera
Poi la daratti – Ah d'altri sensi, Edippo,
Più generosi, e di virtù men fiere
Fa' pompa, e a' tuoi, e a Grecia, e al mondo apprendi
Che Edippo padre era dal re ben lungi.
Io l'era sì – Ma passò tempo – A nullo
Mi torna ormai biasmo, né laude, o intera
M'aver vendetta, o niuna – Ma si parli
Or d'altro, o re – Dentro Colono io venni
Supplice, uman tu m'accogliesti, or serba
La tua promessa, la tua fe', difendi
Me dalle insidie di costui, Tebano.
Non io, siccome Polinice in Argo
A mendicar straniera possa, venni
Entro tua reggia, o per desìo di trarre
Comoda vita, il sai – Ben altro io chiesi,
Non ti stupir, è uomo il re, non bada
Giove ai diademi, a grado suo punisce
Gli error, le colpe assolve – Sia pur buono
Il cuor, che val Tesèo, se una tremenda
Irrefrenabil forza arbitra siede
Sul destin dei mortali? Il mio qual fora
Ovunque il puoi – Deh se pietà non senti
Del popol tuo, pietà di lei ti prenda,
Che patria, ed agi, e pace, e trono, e vita
Pose in non cale, onde alleviar tua sorte –
Ah se a tal voce non t'arrendi, in petto
Purtroppo, [...]
È ver tal voce al cor mi suona – Sento,
Se duolo è in me, s'io son di duol capace,
Che per lei sola... Ah no, commetto al Cielo
D'Antigone la sorte, ei, che talvolta
Suol l'innocenza d'un benigno sguardo
Degnar, sottrarla alle sventure puote,
Per me nol posso.
Ah non v'ha dunque cosa,
Che a smuover te non valga? In te possente
L'odio fia più che la pietà di padre,
Che il ben de' tuoi? Dunque hai deciso...
Ho fermo
Morire, anzi che trarmi a Tebe –
Oh sempre
A te simil uom fero, cui né i mali,
Né l'età lunga ad ammollir non giunse!
Ma sia, che puote – A' tuoi Tebani scudo
Farommi, io sì; scegli: me presto a tutto
Avrai se cedi, ma se in tuo proposto
Persevri, io forza al mal tuo senno opporre
Saprò ben certo.
Contro un vecchio cadente, inerme – Possa
So quanta è in te, quanta sia fede in Grecia
Ben mel sapea, che darla, e torla, e usbergo
Farsi a ragion suolsi tra voi, qualora,
Non ch'a profitto, a talento vi torna...
Franco tu parli, e insulti mesci...
Oh rabbia! Insulto osi appellar tu il grido
Della pria data, e violata fede?
A che ricovro sull'alba mi davi
Per poi tradirmi all'annottar? Delitto
Qual m'ascrivi? Che feci? Addur tu quale
Ragion potrai, che per sé basti a torti
La macchia vil d'un tradimento?
Potrei che nome a me mentivi...
Or senti
Regale appiglio! Oh, s'il svelava a quale
Pena maggior, che egual per me non avvi,
Lungi da questi
Lidi...
Deh a che nol fai? Lasciami, mezzo
A me non manca, onde sottrarmi al fero
Spettacolo di Tebe, e tal che intatta
T'avrai tu fama.
Dal tempo spero, e dall'oprar mio prova
Avrai tu poscia se qual credi io fede
Rompa a mio senno – Oh potess'io vederti
Grande qual fosti, e qual merti felice! –
La mia grandezza, il mio ben, la mia pace
Nel mio fato si stan – Lasciami, cessa
Di mercar scuse a' tuoi pretesti. Chieggo
Solo che trarre me tu faccia, e lasci
Libero alquanto colla figlia – Udirla
M'è d'uopo or sommo – Al primo sol fors'anco...
Me... più... tranquillo rivedrai –
Frattanto
In me t'affida, Edippo; oh guai se l'avo
Le promesse non serba, guai se Tebe
Osa altra volta la rubella fronte
Innalzar contro te, non sì furenti
Volvono i fiumi in sen del vasto Egèo
Quant'io da rabbia più ch'umana invaso
Volerei sull'infida, e tal vendetta
Ne farei, che fora ultima per Tebe.
E la farai, lasso! ma allor dall'urna
Ergerò invano per vederla il capo!
Vanne alla figlia – Intero un giorno a scerre
Lascioti, e spero che più che i miei prieghi
L'alto suo pianto al tuo dover trarratti –