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Torna deh! torna al suon, donna dell’arpa;
guarda la tua bella compagna; e viene
ultima al rito a tesser danze all’ara.
Pur la città cui Pale empie di paschi
con l’urne industri tanta valle, e pingui
di mille pioppe aerëe al sussurro,
ombrano i buoi le chiuse, or la richiama
alle feste notturne e fra quegli orti
freschi di frondi e intorno aurei di cocchi
lungo i rivi d’Olona. E già tornava
questa gentile al suo molle paese;
così imminente omai freme Bellona
che al Tebro, all’Arno, ov’è più sacra Italia,
non un’ara trovò, dove alle Grazie
rendere il voto d’una regia sposa.
Ma udì ’l canto, udì l’arpa; e a noi si volse
agile come in cielo Ebe succinta.
Sostien del braccio un giovinetto cigno,
e togliesi di fronte una catena
vaga di perle a cingerne l’augello.
Quei lento al collo suo del flessuoso
collo s’attorce, e di lei sente a ciocche
neri su le sue lattee piume i crini
scorrer disciolti, e più lieto la mira
mentr’ella scioglie a questi detti il labbro:
Grata agli Dei del reduce marito
da’ fiumi algenti ov’hanno patria i cigni,
l’alta Regina mia candido un cigno
Accogliete, o garzoni, e su le chiare
acque vaganti intorno all’ara e al bosco
deponete l’augello, e sia del nostro
fonte signor; e i suoi atti venusti
gli rendan l’onde e il suo candore, e goda
di sé, quasi dicendo a chi lo mira,
simbol son io della beltà. Sfrondate
ilari carolando, o verginette,
il mirteto e i rosai lungo i meandri
del ruscello, versate sul ruscello,
versateli, e al fuggente nuotatore
che veleggia con pure ali di neve,
fate inciampi di fiori, e qual più ameno
fiore a voi sceglia col puniceo rostro,
vel ponete nel seno. A quanti alati
godon l’erbe del par l’aere e i laghi
amabil sire è il cigno, e con l’impero
modesto delle grazie i suoi vassalli
regge, ed agli altri volator sorride,
e lieto le sdegnose aquile ammira.
Sovra l’òmero suo guizzan securi
gli argentei pesci, ed ospite leale
il vagheggiano, s’ei visita all’alba
di più freschi lavacri, onde rifulga
sovra le piume sue nitido il sole.
Donna l’invia, che nella villa amena
de’ tigli (amabil pianta, e a’ molli orezzi
propizia, e al santo coniugale amore)
nudrialo afflitta; e a lei dal pelaghetto
lieto accorrea, agitandole l’acque
sotto i lauri tranquille. O di clementi
virtù ornamento nella reggia insùbre!
Finché piacque agli Dei, o agl’infelici
cara tutela, e di tre regie Grazie
genitrice gentil, bella fra tutte
figlie di regi, e agl’Immortali amica!
Tutto il Cielo t’udìa quando al marito
guerreggiante a impedir l’Elba ai nemici
pregavi lenta l’invisibil Parca
che accompagna gli Eroi, vaticinando
l’inno funereo e l’alto avello e l’armi
più terse e giunti alla quadriga i bianchi
destrieri eterni a correre l’Eliso.
Ma come Marte, quando entro le navi
rispingeva gli Achei, vide sul vallo
fra un turbine di dardi Aiace solo,
fumar di sangue; e ove dirùto il muro
dava più varco a’ Teucri, ivi attraverso
piantarsi; e al suon de’ brandi, onde intronato
avea l’elmo e lo scudo, i vincitori
impäurir del grido; e rincalzarli
fra le dardanie faci arso e splendente;
scagliar rotta la spada, e trarsi l’elmo
e fulminar immobile col guardo
Ettore, che perplesso ivi si tenne:
tal dell’Ausonio Re l’inclito alunno
fra il lutto e il tempestar lungo di Borea
si fe’ vallo dell’Elba, e minacciando
il trïonfo indugiava e le rapine
dello Scita ramingo oltre la Neva.
Quinci indignato il sol torce il suo carro,
quando Orïone predator dell’Austro
sovra l’Orsa precipita e abbandona
corrucciosi i suoi turbini e il terrore
sul deserto de’ ghiacci orridi, d’alto
silenzio e d’ossa e armate esuli larve.
Sdegnan chi a’ fasti di fortuna applaude
le Dive mie, e sol fan bello il lauro
quando Sventura ne corona i prenci.
Ma più alle Dive mie piace quel carme
che d’egregia beltà l’alma e le forme
con la pittrice melodia ravviva.
Spesso per l’altre età, se l’idïoma
d’Italia correrà puro a’ nepoti,
(è vostro, e voi, deh! lo serbate, o Grazie!)
tento ritrar ne’ versi miei la sacra
danzatrice, men bella allor che siede,
men di te bella, o gentil sonatrice,
men amabil di te quando favelli,
o nutrice dell’api. Ma se danza,
vedila! tutta l’armonia del suono
scorre dal suo bel corpo, dal sorriso
della sua bocca; e un moto, un atto, un vezzo
manda agli sguardi venustà improvvisa.
E chi pinger la può? Mentre a ritrarla
pongo industre lo sguardo, ecco m’elude,
affretta rapidissima, e s’invola
sorvolando su’ fiori; appena veggio
il vel fuggente biancheggiar fra’ mirti.