Ugo Foscolo
Le Grazie

INNO TERZO - PALLADE

II

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II

 

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E a me un avviso Eufrosine, cantando,

porge, un avviso che da Febo un giorno

sotto le palme di Cirene apprese.

Innamorato, nel pierio fonte

guardò Tiresia giovinetto i fulvi

capei di Palla, liberi dall’elmo,

coprir le rosee disarmate spalle;

sentì l’aura celeste, e mirò l’onde

lambir a gara della Diva il piede,

e spruzzar riverenti e paurose

la sudata cervice e il casto petto,

che i lunghi crin discorrenti dal collo

coprian, siccome li moveano l’aure.

Ma né più rimirò dalle natìe

cime eliconie il cocchio aureo del Sole,

né per la coronèa selva di pioppi

guidò a’ ludi i garzoni, o alle carole

l’anfïonie fanciulle; e i capri e i cervi

tenean securi le beote valli,

ché non più il dardo suo dritto fischiava,

però che la divina ira di Palla

al cacciator col cenno onnipotente

avvinse i lumi di perpetua notte.

Tal destino è ne’ fati. Ahi! senza pianto

l’uomo non vede la beltà celeste.

 

 


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