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E a me un avviso Eufrosine, cantando,
porge, un avviso che da Febo un giorno
sotto le palme di Cirene apprese.
Innamorato, nel pierio fonte
guardò Tiresia giovinetto i fulvi
capei di Palla, liberi dall’elmo,
coprir le rosee disarmate spalle;
sentì l’aura celeste, e mirò l’onde
lambir a gara della Diva il piede,
e spruzzar riverenti e paurose
la sudata cervice e il casto petto,
che i lunghi crin discorrenti dal collo
coprian, siccome li moveano l’aure.
cime eliconie il cocchio aureo del Sole,
né per la coronèa selva di pioppi
guidò a’ ludi i garzoni, o alle carole
l’anfïonie fanciulle; e i capri e i cervi
ché non più il dardo suo dritto fischiava,
però che la divina ira di Palla
al cacciator col cenno onnipotente
avvinse i lumi di perpetua notte.
Tal destino è ne’ fati. Ahi! senza pianto
l’uomo non vede la beltà celeste.