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AVERARDO. Oh figlio mio! - Tu piangi
Dimmi tu pur, se impallidir vedesti
Mai, se non oggi, di tuo padre il volto?
GUIDO A pianger tu.... forza mi fai; tu solo.
AVERARDO. Né gemi tu per l'onor nostro? Il nome
Mentir degg'io; venir furtivo e umile
Dov'io saprei correr col brando: e quasi
Da bassi iniqui oltraggi, e più dal troppo
Timor per te, tratto a svelarmi, e insieme
Perdere e fama e patria e figli: e quando
Da vincitore io dar potrei perdono,
Il chieggo; e a chi!... - Sangue vuol Guelfo.
GUIDO Il nostro
Incerto e poco è a dissetarlo: ei pronto
Tien della figlia l'innocente sangue.
AVERARDO. Dono è di lei se ancor son padre; e il paga
D'acerbissime lagrime: né mai
Mi crederei d'averti salvo, ov'ella
Schiava restasse. Ma il suo scampo e il nostro
Nell'armi sta. Se qui non eri, or certo
M'era il trionfo. Molte vele a noi
Pisa inviò che il mar quindi e la fuga
Torriano a Guelfo. Alle mie tende, irati
Del sangue ond'ei punisce ogni lor fallo,
Molti de'suoi rifuggono: e se pronti
Assalirem le mura evo la notte
Ombrosa sorga, sbaldanzito a un tratto
Il tiranno vedrai, che dal timore
Proprio e dal nostro il suo furor desume.
GUIDO Quindi il furor fia disperato - Ahi! certo,
Ricciarda mia, certo il tuo scempio or veggio.
AVERARDO E teco il mio - se patria io non avessi.
GUELFO Signor, deh corri a vendicar quel figlio,
Che non moriva ingrato; abbatti l'empio;
Spegni le faci onde in Italia infuria
La Guelfa setta. Io no, padre, non bramo
Che il glorioso brando tuo si calchi
Dal traditor. Ma né sperar tu dèi,
Né bramar più ch'io viva. Ogni mia speme,
Poca, ed iniqua.... Odimi, e fremi - tutta
Posta io l'avea nella vittoria sola
Di Guelfo.
AVERARDO. O mio misero figlio!... Al pianto,
Più che all'ira mi sforzi. E sì funesto
Sol io mi so quanto da lunge ci scerna
Le sue vere sciagure. In forza altrui
E' l'infelice donna mia; più m'ama
Più ch'io stesso non l'amo; e in sé pur chiude
Core e virtù di figlia, e il padre mai
Non lascerà finché è in periglio; ed io
Non vorrò indurla, a tal disdoro io mai.
Sol se un dì ci vedrà' miseri e inermi
Vinti da Guelfo e senza patria... allora
M'anteporria forse al felice padre -
Ma non che mai gioirne io sdegno e abborro
Cosi iniqua lusinga, e mal mio grado
Talor m'assale; e a te svelarla, io deggio:
Giusto è ben che tu sappia or per qual figlio
T'armi e t'arrischi, onde ti sia men grave
Anzi che te; ma tutto perdo io teco
Finché tu chiudi a ogni speranza il core,
Finché ogni umano ajuto or la deserta
null'altro può, né vuol Ricciarda,: e questo
Sol da lei sperar deggio; e da te, o padre,
Il non vietarlo. Alla tua patria vivi,
O generoso; e il deturpato scettro
A redimer degli avi, e la tua casa,
E queste tombe; e il tuo Guido, e Ricciarda
Saranno in sacro o lagrimato avello
Di tua, mano congiunti - altro non puoi.
Quai che pur sien dell'armi oggi gli eventi,
Si certo io son ch'ella sé stessa, or serba
Vittima incauta a sua virtù, ch'io spesso
Veggo lo spettro di Ricciarda; e l'odo
Parlar, e dirmi - Il padre mio m'ha uccisa.
AVERARDO Empio il conosco; non però il presumo
Sì disumano. O Guido mio! non vive
Padre sì iniquo, che non senta in core
Pietà de'flgli suoi -- Ma il cielo a'figli
Non diè pietà per gl'infelici padri!
Terror t'illude per l'amata donna;
Or mi costringi a seguitar tuoi passi,
Ch'io snaturato figlio esser non posso,
Quanto infelice io sono - ma ch'io viva,
Far non potrai. S'anche pietà del padre
A tollerarle m'astringesse, ahi lente
Ali struggeranno agli occhi tuoi le angosce
Mie disperate. Con sicuro e quasi
Lieto sguardo io finor vidi la morte.
Solo il tuo lungo necessario lutto
Pianger mi fea; ma il tuo periglio orrendo
Mi strazia il cor di nuova piaga, e ch'io,
Padre.... io da te non attendea.