Ugo Foscolo
Saggi sopra il Petrarca

SOPRA L'AMORE DEL PETRARCA

XII

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XII. La solitudine, che trae le menti passionate a' fantasticare intorno a tutti gli estremi della tristezza e della gioia, non valse ad altro che a vie più agitare i già turbati pensieri del Petrarca. La pittoresca bellezza delle scene e la tranquillità di una vita eremitica ne affascinò gli occhi, elevandone la mente verso il cielo:

 

Qui non palazzi, non teatro o loggia,

Ma 'n lor vece un abete, un faggio, un pino,

Tra l'erba verde e 'l bel monte vicino —

Levan di terra al ciel nostr'intelletto.

 

Ma poi soggiugne:

 

E 'l rosignol, che dolcemente all'ombra

Tutte le notti si lamenta e piagne,

D'amorosi pensieri il cor m'ingombra.

 

Uccelli, fiori, fonti, ogni cosa in somma che pareagli fatta da natura ad esser felice, «conversava con lui d'amore

 

L'acque parlan d'amore, e l'ôra, e i rami,

E gli augelletti, e i pesci, e i fiori, e l'erba;

Tutti insieme pregando ch'io sempr'ami.

 

Sempre ch'egli studiavasi di volgere la intensità de' suoi pensieri a contemplare la reale condizione della propria vita, il dolore diveniva in lui più intenso:

 

I' vo pensando, e nel pensier m'assale

Una pietàforte di me stesso.

 

Di pensier in pensier, di monte in monte

Mi guida Amor.

 

Per alti monti e per selve aspre trovo

Qualche riposo; ogni abitato loco

È nemico mortal degli occhi miei.

A ciascun passo nasce un pensier novo

Della mia donna, che sovente in gioco

Gira il tormento.

 

Or potrebb'esser vero? or come? or quando?

 

«A me forse non si darà fede, pure quanto riferisco m'è avvenuto più volte. Sovente in luoghi riposti, ov'io mi pensava di essere solo, la ho veduta apparire dal tronco di un albero, dalla bocca di una caverna, da una nube, da non so dove. Il timore faceami immobile. Io non sapeva più che fosse di me, dove andare22

In altri tempi la stessa illusione lo dilettava fino all'estasi; ed egli credevasi in mezzo alle gioie eterne del paradiso, quando s'immaginava che i suoi occhi si scontrassero negli occhi di Laura, e li vedeva sfavillare di un sorriso d'amore; gaudio da lui descritto in tre versi che nessuna versione può rendere, e nessuna critica è bastevole ad apprezzare:

 

Pace tranquilla, senza alcuno affanno,

Simile a quella ch'è nel cielo eterna,

Move dal loro innamorato riso.

 

In uno di quegl'istanti d'estasi beatifica, il Petrarca vede Laura uscire dalle chiare acque del Sorga, adagiarsi sopra le sue sponde o passeggiare sull'erba:

 

Or in forma di ninfa o d'altra diva,

Che del più chiaro fondo di Sorga esca

E pongasi a seder in su la riva;

Or l'ho veduta su per l'erba fresca

Calcar i fior com'una donna viva.

 

In tante parti, e sì bella la veggio,

Che, se l'error durasse, altro non chieggio

 

Ma la notte dissipò queste visioni:

 

Nella stagion che 'l ciel rapido inchina

Verso occidente, e che 'l nostro vola

A gente che di forse l'aspetta;

Veggendosi in lontan paese sola,

La stanca vecchierella pellegrina

Raddoppia i passi, e più e più s'affretta;

E poi così soletta,

Al fin di sua giornata

Talora è consolata

D'alcun breve riposo, ov'ella obblia

La noja e 'l mal della passata via.

Ma, lasso! ogni dolor che 'l m'adduce,

Cresce qualor s'invia

Per partirsi da noi l'eterna luce.

 

Al venir del silenzio e delle tenebre, la fantasia del poeta vestiva di terrore quell'oggetto medesimo ch'erasi dilettata d'abbellire e di ornare il giorno. Sovente il Petrarca vide Laura di notte, e per le membra gli corse il gelo della paura. «Tremante balzai di letto al primo albeggiare, onde spiccarmi da una casa ove tutto mi metteva terrore. Mi arrampicai su per alture, attraversai selve, guardandomi intorno per vedere se l'imagine, che m'aveva turbato il riposo, seguiva i miei passi, mi teneva sicuro in verun luogo23 Quando ebbe a spiegare in italiano ciò che si racchiude in questo passo d'una delle sue opere latine, un sol verso bastò a farlo sentire ad ogni lettore che abbia sperimentato violente passioni nella solitudine:

 

Tal paura ho di ritrovarmi solo.





22 Carminum, lib. VII, ep. 7.



23 Carminum, lib. II, epist. 7.



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