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I. La visione dello spirito di Laura fu scritta, come raccogliesi dalla chiusa, allorchè il Petrarca era molto innanzi cogli anni. Rivedutala quattro mesi prima di morire, la inserì quale episodio in un poema morale, che intitolò Trionfi, — serie di allegoriche visioni sopra la forza dell'Amore, della Castità, della Morte, dell'Ingegno, della Fama, del Tempo e della Eternità. Parecchi poemi provenzali anteriori al Petrarca, e il Sogno, il Fiore e la Foglia, e la Casa della Fama del suo contemporaneo Chaucer, sono dello stesso genere.33 Forse i modelli di queste poesie si possono rintracciare nelle visioni che i monaci predicavano, ad imitazione di quelle di Ezechiello e dell'Apocalisse di San Giovanni. L'ultimo canto de' Trionfi è intitolato: Della Divinità, e comincia
Da poi che sotto 'l ciel cosa non vidi
Stabile e ferma, tutto sbigottito
Mi volsi, e dissi: Guarda; in che ti fidi?
E conchiude, dicendo di Laura:
Se fu beato chi la vide in terra,
Or che fia dunque a rivederla in cielo?
Egli stimava quest'opera una grande impresa, e la tralasciò temendo non gli bastasse la vita a finirla.34 Nondimeno vi si applicò di nuovo: si accorse di aver fallito; ma pure perseverò, e lasciolla sì sfigurata dalle varie lezioni, che, per farne compiuta una copia dopo la sua morte, fu mestieri di supplir molto per congettura. In questo poema il genio del Petrarca, illanguidito più per la incresciosa vita che per la gravezza degli anni, non apparisce avvivato dal fuoco del suo cuore, se non dov'egli parla di Laura. Il poeta nota i suoi melanconici sentimenti su pe' margini del manoscritto: «Più considero ciò che sono, e più sento vergogna di quest'opera: non sono più io, è un altro che scrive.»35 — Il Petrarca era nato per creare con ansietà, e per disperdere ne' momenti di sconforto le illusioni necessarie al suo riposo: così fu spesso in procinto di annientare per fino le poesie liriche da lui indirizzate a Laura.36 Neppure ne fa menzione nella sua Lettera alla Posterità, quantunque, se non era per queste medesime poesie, gli altri meriti letterari del grand'uomo non sarebbersi ricordati con tanta gratitudine. Cogl'intimi amici si mostra vergognoso di avere adoperato l'ingegno a sollazzo di canterini di frottole e di amanti, lagnandosi che i suoi versi fossero stati troppo largamente sparsi ond'essere ritirati; e dolendosi che talvolta gli fossero stati travisati in parte, e tal altra attribuitigliene di quelli che non erano suoi, e che i cantanti di mestiero faceansi pure gran merito di aver raccolti.37 Presenta egli a' leggitori la scusa medesima nel primo sonetto della raccolta,38 che si risolvette di preparare in vecchiaia, rifiutando le composizioni apocrife, e quelle da lui giudicate indegne di sè.39
Ma ben veggi'or sì come al popol tutto
E del mio vaneggiar vergogna è 'l frutto,
E 'l pentirsi.