Ugo Foscolo
Saggi sopra il Petrarca

SAGGIO SOPRA LA POESIA DEL PETRARCA

XII

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XII. Quantunque sì fatta maniera di poesia fosse in uso presso i Siciliani e i Provenzali per più di due secoli, rado fu inspirata dal genio o dalla passione. Amanti di professione intitolarono rime alle donne loro, che cantanti ed erranti trovatori ripetevano a' banchetti de' mecenati. A parere di Dante e dell'amico suo Guido Cavalcanti, essi furono piuttosto dicitori per rima, che degni del none di poeti.50 Non sì tosto fu la poesia italiana nobilitata dalle platoniche speculazioni intorno all'amore, che i predecessori del Petrarca pronunciarono, le anime volgari non essere capaci degne di venir iniziate a una tale passione. Guido Cavalcanti, instantemente richiesto da una gentildonna di scrivere intorno agli affetti ch'ella inspirava, protestò: «ch'egli non avrebbe potuto confidarsi d'essere compreso, fuori che da menti elevate

 

Donna mi priega, perch'io voglia dire

D'un accidente che sovente è fero

Ed è sì altero, che è chiamato Amore;

Sì chi lo niega possa il ver sentire!

 

Ed io non spero ch'uom di basso core

A tal ragione porti conoscenza.

 

Di questa canzone fu data contezza da alcuni celebri commentatori, e fra gli altri da Pico della Mirandola; ma non perciò si è fatta più intelligibile. Dante fece egli stesso il commento a' suoi versi d'amore; esempio seguito, due secoli dopo, da Lorenzo de' Medici, la cui Teorica d'Amore è uno de' pochissimi trattati che o sfuggirono alle indagini indefesse, o non furono riputati degni di essere fatti conti dallo storico, le illustrazioni del quale intorno al secolo de' Medici fecero caro il nome suo agl'Italiani riconoscenti.51 Dalla comparazione di alcuni versi, dove Guido, Dante, Petrarca e Giusto de' Conti pigliano a descrivere la sovrumana bellezza delle donne loro, è agevole a seguire i progressi di siffatta poesia, e accorgersi che Dante fu più che mai vicino a toccarne la perfezione. Il Petrarca in appresso lo trattò per modo, che nessun altro poeta fu mai capace di accostarglisi: ma non a lui si spetta il vanto dell'invenzione; poichè le leggi metriche e musicali di questa specie di lirica poesia erano già fermate.52 Per quanto a' nostri moderni compositori di Opere possano apparir brevi i Sonetti e le Canzoni, ond'essere di musica, non è per tal rispetto men vero, che quelle voci sono derivate da Suono e da Canto, e che da' poeti furono spesso poste note musicali alle stanze loro. Tra' manuscritti di Franco Sacchetti e d'altri contemporanei del Petrarca, che ancora si conservano in Firenze, la seguente nota trovasi in capo di alcuno de' loro sonetti: Intonatum per Francum, — Scriptor dedit sonum. Il sistema della musica italiana per contrappunto era stato creato tre secoli innanzi da Guido d'Arezzo; e solo a' nostri fu raffinato e complicato da' seguaci della scuola tedesca. La poesia non era a que' tempi in Italia il mero caput mortuum della musica; e l'umana voce, in luogo di venir sottomessa quale accessorio all'orchestra, teneva la parte principale, ed era accompagnata da inanimati strumenti tanto solo, quanto fosse necessario a sostenerla, e a regolarne le modulazioni. Le parole potevano allora colpire l'orecchio di minor maraviglia che i toni; ma più vibrate penetravano il cuore, e con più utilità parlavano alla mente. Il Petrarca compose i suoi versi al suono del suo liuto, che legò nel testamento ad un amico;53 ed ebbe voce dolce, flessibile e di grande estensione.54 Tutta la poesia d'amore de' predecessori, da quella di Cino in fuori, manca di dolcezza di numeri; ma la dolcezza del Petrarca è animata da varietà e ardore tale, che nessun lirico italiano ha mai conseguito l'uguale. La facoltà di serbare e variare a un tempo il ritmo è tutta sua: — la melodia ne' suoi versi è perpetua, e pur non istanca l'orecchio mai. Le sue canzoni (sorta di composizione che partecipa dell'ode e dell'elegia, l'indole e la forma della quale è d'esclusiva ragione dell'Italia) comprendono stanze, talvolta di venti versi. Egli nondimeno collocò le cadenze in guisa da lasciare che la voce si fermi alla fine d'ogni tre o quattro versi, e fissò la ricorrenza della stessa rima, e le stesse pause musicali ad intervalli bastantemente lunghi per evitare la monotonia, e bastantemente brevi per conservare l'armonia. Però non par duro a credersi quanto Filippo Villani ne assicura: «che la musicale modulazione de' versi del Petrarca indirizzati a Laura scorreva con tanta melodia, che nemmeno i più gravi potevano frenarsi dal ripeterli55





50 «Acciò che non ne pigli alcuna baldanza persona grossa, dico: Che i poeti parlano così senza ragione, quelli che rimano deono parlare così, non avendo alcuno ragionamento in loro di quello che dicono; però che gran vergogna sarebbe a colui che rimasse cose sotto veste di figura, o di colore rettorico, e domandato, non sapesse dinudare le sue parole da cotal vesta, in guisa che avessero verace intendimento. E questo mio primo amico ed io ne sapemo ben di quelli che così rimano stoltamente ». Dante, Vita Nuova, § XXV.



51 Io devo attestare qui la speciale mia gratitudine al signor Roscoe, per averne ricevuto in dono, nel momento appunto ch'io stavami inteso alla correzione di questo foglio, le sue Illustrations historical and critical of the Life of Lorenzo de' Medici, recentemente pubblicate; nel qual libro, fra gli altri originali e curiosi documenti, egli inserì pure il suddetto trattato. [F.]

Affinché niuno, cui le opere del Roscoe fossero ignote, sospetti contraddizione tra il testo e la nota, giovi ricordare come nel testo si alluda alla Vita di Lorenzo de' Medici, pubblicata prima delle Illustrazioni accennate nella nota, opere ambedue di Guglielmo Roscoe. Il tema de' Saggi, e l'occasione del dono comportavano solo un ringraziamento. Ma chi pure bramasse più di un complimento, potrà della prima di tali opere leggere maturo giudizio in un articolo dell'avvocato Paolini, inserito nell'Antologia di Firenze, tomo XIV, n.° 41, 1824, maggio, [T.]



52 La Summa Artis rithmicæ di Antonio da Tempo è del 1332.



53 Magistro Thomæ Bombasio de Ferraria lego leutum meum bonum, ut eum sonet, non pro vanitate sæculi fugacis, sed ad laudem Dei æterni. Petrar. Testam.



54 Doctus insuper tyra mire cecinit. Fuit vocis sonoræ atque redundantis, suavitatis tantœ atque dulcedinis. Ph. Villani. Vit. Petrar.



55 Tanta siquidem dulcedine rithmi fluunt, ut ab eorum pronunciatione et sonis, gravissimi nesciebant abstinere. Phil. Villani, Vit. Petrar.



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