Ugo Foscolo
Saggi sopra il Petrarca

SAGGIO SOPRA LA POESIA DEL PETRARCA

XIII

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XIII. Metastasio, per gradire alla corte di Vienna, a' musici ed al pubblico de' suoi , e per compiacere alla dilicatezza del suo gusto femminile, ridusse la sua lingua e versificazione a tanta penuria di parole, frasi e cadenze, che paiono sempre le stesse, e nella fine non fa più effetto di un flauto, il quale apporta anzi dilettosa melodia, che vive e distinte sensazioni. Il Petrarca all'opposto, non pure vigorosamente afferrò, e bellamente usò tutta la ricchezza delle parole, tutta la varietà del numero, tutte le grazie e l'energia e gl'idiomi della propria lingua, ma vi saturò quelli de' provenzali e spagnuoli poeti. Nessun vocabolo adoperato da lui è divenuto obsoleto; ed ogni sua frase può essere, ed è tuttavia, scritta senza affettazione. Nel tempo stesso ch'egli accresce i materiali onde l'italiana lingua di già abbondava, pare che la impronti di fresca e novella creazione, perchè in fatto questa lingua eragli insieme e naturale e forestiera. Non aveva più di nove anni quand'ei fu condotto in Francia, dove passò la giovinezza e la maggior parte di sua vita. I genitori, da cui avrebbe potuto apprendere l'idioma toscano, morirono mentr'era egli ancor giovinetto. Ne' frequenti viaggi ch'ei fece in Italia dimorò a lungo da per tutto, tranne in Firenze, dove solo passò tre o quattro settimane. A formarsi uno stile che fosse affatto suo proprio, egli ne afferma che non tenne mai copia del gran poema di Dante, la cui dizione affetta di sprezzare.56 Sol quando fu per chiudere i giorni suoi cominciò il Petrarca a pentirsi di non essersi valuto «della lingua volgare; campo novellamente scoperto, ma squallido, perchè molti gli diedero il guasto, niuno saggiamente lo coltivò57 Devo alla libreria e alla liberalità di Lord Holland l'unico saggio ch'io m'abbia mai veduto della prosa italiana del Petrarca. Gli è un manuscritto, di propria mano del Petrarca, di due lettere che, lontane dalla eleganza e grammaticale correzione di Dante e del Boccaccio, o da quella pure de' loro minori contemporanei, sono solo notevoli per calore di sentimento e per la perspicuità di pensiero, peculiare al suo stile. Se, invece di dedicare la vita ad una lingua antica, nella quale erano già tanti inimitabili autori, egli avesse scritto le numerose opere sue in italiano, ne avrebbe potuto lasciare modelli d'ogni fatta di composizioni. La grande maestria nella poesia di tale lingua che aveva coltivata sì poco, è di quelle arcane maraviglie che il genio opera, non se ne avvedendo egli stesso, a modo che veggiamo talora sementi sparse dal caso in qualche benigno terreno spontaneamente far prova migliore e più lussureggiare, che non avrebbe ottenuto l'arte più industre in suolo meno propizio.





56 Vedi l'epistola del Boccaccio al Petrarca: Italiæ jam certus honor.



57 Hic vulgaris stylus modo inventus, vastatoribus crebris, et nullo squallidus colono. Senil., V, ep. 2, 3.



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