Ugo Foscolo
Saggi sopra il Petrarca

SAGGIO SOPRA LA POESIA DEL PETRARCA

XV

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XV. Dalla poesia latina non poteva il Petrarca uscire ad onore, da che le natie bellezze di quella erano sì poco sentite, che in gioventù trascorse egli medesimo a scrivere esametri in rima.61 La pronunzia, dalla quale tutti i metrici sistemi degli antichi derivano, si era già tanto alterata, ch'ei fu sovente astretto a congetturare, sempre apponendosi, la quantità delle sillabe. Ov'anche fosse stato fornito delle più alte poetiche facoltà che natura impartisse mai a verun mortale, non sarebbe potuto riuscire in lingua morta più che ordinario poeta. Il magico accozzamento di armonia, splendore, freschezza, forza, spirito, affetto e grazia nel descrivere ogni oggetto del creato, per minuto che sia, ogni oscura e sfuggevole idea, e tutti i più comuni sentimenti del cuore, non si ottiene se non con parole, si potrà ottener mai, ove il poeta non maneggi la sua dizione con tanta padronanza da rifonderla in lingua di propria creazione; ed ecco forse il grande vantaggio che diede a' poeti primitivi il potersi di tanto lasciare addietro tutti i lor successori. Ma più son fatte irremovibili le leggi di una lingua, e più stretto sentesi il genio tra duri ceppi; e dov'altri vi si metta volontario, merita poca indulgenza: il Petrarca non pertanto si pose sotto a un tal giogo, qual unico mezzo di far forza all'ammirazione d'Europa; e la conseguì. Il primo libro dell'Affrica sua gli procacciò la corona in Campidoglio. Intantochè i cantatori di ballate campavano la vita canterellando i suoi sonetti per le pubbliche strade, i dotti li tenevano poco meno che indegni dell'ingegno suo; e intanto recavansi a vanto di arricchire le loro librerie d'alcun frammento di quell'epico poema delle gesta di Scipione. «Io nego» — scriveva egli al Boccaccio — «ma nego indarno: chi da me riceve un rifiuto manda prima un intercessore, poi un altro. L'importunità è cotanto ingenua e modesta! Non mi bastò l'animo di persistere a lungo nella mia disdetta, chè mi pareva di venir meno a' debiti uffizi dell'amicizia; sicchè alla fine ebbi a cedere. Se ben mi ricorda, gli diedi un trentaquattro versi dell'Affrica; e siccome aveano mestieri di tempo e correzioni maggiori, posi fermo patto che altri non avesse mai a vederli; il che egli con grande sicurtà mi promise, ma poi dimenticò di osservare, se non erro, lo stesso giorno62 Tali versi trovansi fra quelle Miscellanee, le quali, prima che si diffondesse il sapere, venivano apposte ora al vero, or ad apocrifo autore; e riferendosi essi alla morte di Magone, fratello di Annibale, un copista del decimoquinto secolo gli attribuì a Silio Italico, il cui poema della Guerra Punica era stato di recente scoperto dal Poggio. Circa trecentocinquant'anni dopo, un critico francese nel ristampare questo poema accusò il Petrarca di averlo trovato e soppresso, e di averne adulterato la purità de' versi originali affine di più effettualmente occultarne il plagio.63 Emendato l'episodio della morte di Magone, il critico lo innestò nel decimosesto libro di Silio, senza pensare che nel sesto libro dell'Affrica Magone parla e muore più da canuto filosofo che da giovine eroe, e non conoscendo che, qualsiasi tocco di natura individuale palesi, spetta al Petrarca, cui era appena possibile di scrivere una sentenza che nol tradisse.





61 Vedi il Saggio sopra l'Amore del Petrarca, capo VII, nota 15.



62 Senil., lib. II, ep. 1.



63 Habe Silium cultiorem, egregio auctum fragmento, quod sibi minus verecunde, nonnullis mutatis, vindicaverat, suoque poemati Africæ VI adsuere non est veritus Fr. Petrarcha. Lefebvre de Villebrune, Epist. ad Villoison præfix. ad Silii edit.; Lutetiæ 1781.



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