Ugo Foscolo
Ajace

ATTO PRIMO

SCENA TERZA Agamennone, Ulisse

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SCENA TERZA

Agamennone, Ulisse

ULISSE

Terrore è in campo, o re de’ re. La turba

Che all’Ellesponto accompagnò gli avanzi

D’Achille, ove gli alzò tomba e trofeo

Il Telamonio Ajace, al campo riede

E fa insanir di nuovo lutto i Greci.

Finge orrendi prodigi; e vien narrando

Che di querele l’Ocean fremea

Per la pietà della divina prole

Di Teti; che un sanguigno astro per l’aere

Notturno errava, e illuminando i mari

Ver occidente si perdea, la Grecia

Quasi accennando ed il ritorno. Invano

Or la pugna a bandir corron gli araldi

Come jer m’imponesti.

AGAMENNONE

Ma la furia

Forse o la trama del terrore illude

Anche i re delle genti?

ULISSE

Inerme il volgo

Lungo il lito del mar trascorre a torme

Chiamando a nome i padri, i figli e l’ombre

De’ perduti compagni. Al grido, ai cenni,

Al consigliar de’ prenci un disperato

Gemer risponde, e per geme ognuno,

Per te, per noi, or che il Pelide è spento.

violenza di comandi certo

Varrebbe, or che travolto ha il cor di tutti

Religïosa una demenza.

AGAMENNONE

Il campo

Me per or non vedrà. Que’ numi suoi

Che alla fuga il sospingono, tra poco

Lo irriteranno alla battaglia. — Annunzi

Un araldo a Calcante augure sommo

Che il re supremo degli Achei lo attende.

ULISSE

Ove uno, arcano, irrevocato il cenno

Non sia d’un solo, il ciel spesso gli audaci

Favorirà. Non pel suo brando e i truci

Suoi Mirmidoni il figlio di Peleo

A tutti primo ed a te pari visse,

Ma per l’are e gli oracoli. Dal rogo

D’orgoglio or arde, e di speranze il petto

Di tal che forte e al par di lui feroce

Piú di lui forse, e ben piú accorto... Ajace.

AGAMENNONE

Intrepidalma, altero ingegno, aperti

Detti, e severo amor di patria ostenta:

finge forse. Ma finch’ei sostiene

Tutto il furor delle dardanie posse,

Non io l’applauso invidierò del volgo

A chi per noi guerreggia. Ove fortuna

Contraria torni al valor suo, la fama

Non gli varrà d’antichi merti in core

De’ sospettosi e sconoscenti Achei.

Or pugni e vinca, e me non ami. Amarlo

L’alta virtú che in lui ripose il cielo

Mi sforza quasi e ad ammirarlo.

ULISSE

Ammiri?

temi?

AGAMENNONE

In me sempre starà che Troja

Per Ajace non cada. E indarno il mio

Scettro usurparmi ei tenterebbe: Atride

A rissa forse scenderia col sire

Di pochi armati? M’apparecchia ei stesso

La difesa di tanti emuli prenci

Irati a lui, che sprezzator di tutti

Con la jattanza di virtú gl’insulta.

Un solo ardia disobbedirmi, un solo!

E allor dovea, se ambizioso è tanto

Questo Ajace, affrontarmi, allor che ardire

Trovava e forze nell’insano Achille. —

Ma re volgare e guerrier sommo il tengo

A dannoso, utile a noi.

ULISSE

D’Achille

Contro te ribellante è ver che Ajace

Non assumea le parti. A noi fedele

S’attenne ei forse? A poche navi duce,

circondato dalla falsa fama

Di progenie celeste, invan potea

Primeggiar sul Pelide. A lui secondo

Farsi sdegnò. Ma mentre ei si divise

Dall’implacabil Tessalo, le nostre

Tende e la tua fuggía superbamente.

Muto severo all’assemblea de’ regi

Sedeva, e il volgo interprete si fea

Di quel fero silenzio. A suo talento

Pugna, ed a tutta la vittoria a tutta

La lode anela: e deplorando i Greci

Tratti a sterminio dalle risse inique

De’ lor prenci, campione egli si vanta

Sol della patria, a popolar licenza

E a tirannide occulta utile nome.

Ma con Achille gareggiava intanto

Di forti fatti: e quando il truce Eroe

Ostinato nell’ozio, al greco nome

Onte imprecava, e con gioja crudele

Vedea fumar di greca strage i campi

Sotto il brando d’Ettorre, Ajace apparve

Propugnator comune, Ajace quasi

Tolse al Pelide del valor la palma.

Ed ecco volti in lui gli sguardi omai

De’ ribelli e del volgo, a cui sol manca

Un condottier che contro noi lo guidi.

AGAMENNONE

Alta prudenza è in te. Forse talvolta,

Inclito Ulisse, a stimar troppo altrui

Ti persuade. — Sorgeran ribelli?

Ma inerme forse è il nostro petto? o trema

Di tanti regi nella man lo scettro?

Agamennon non tremerà. Fremea

L’oste dapprima a’ miei comandi; apprese

Poi mormorando ad obbedire: il tempo

Ed io ben presto avvezzerem gli Achei

All’ossequio e al silenzio. Ajace segua

Del Pelide l’esempio; esempio ei stesso

A tutti, ei solo insegnerà ch’io regno.

ULISSE

S’io temo, Atride, in parlamento io temo;

In campo no, tu il sai: a me rileva

Ch’altri il rimembri. Oh ben mi duol che un tempo

Non inclinavi ad ascoltarmi! Antichi

Ma veri avvisi io ridirò. Tu fidi

Troppo nella tua grande anima invitta,

E nella de’ regi, e nel tremante

Ossequio delle turbe. Armata plebe

Pria d’atterrir vuolsi ingannarla; e primo

Non assoluto regnator tu sei.

Destan odi, timor, ira e licenza

In tante schiere a lor talento i duci

Che da tetti paterni alla vendetta

Del fratel tuo le han tratte a lunga guerra.

Mostravan tutti di seguirti in nome

Della Grecia e de’ Numi; e ognun correa

Di fama avido, e piú delle opulente

Spoglie dell’Asia. In te pervenne il sommo

Scettro, e Achille usurpò la gloria prima.

Quasi a vendetta del superbo ognuno

Te non amando t’onorava in vista.

Ma successor d’Achille oggi il piú ardito

Sorge; e ne’ molti in chi il valore è scarso

Molto è l’orgoglio, e te che sei piú grande

Temono e attizzan la discordia. Gli altri

Dopo tanti anni di speranze e tanto

Sangue e tesor per te consunto, appena

Il giuramento, ed il pudor costringe;

Ma volti han gli occhi e il desiderio ai liti

E alla pace de’ lor vuoti regni.

Il troppo indugio omai svelò gli eccelsi

Disegni tuoi. Già bisbigliar s’intende

Che il pugnar per l’adultera è pretesto;

Che ad ardua guerra oltre l’Egeo raminghe

Le danae genti a te sommesse adeschi

Per usarle al tuo freno, e stender quindi

Lo scettro tuo sovra la Grecia.

AGAMENNONE

E il lungo

Dissimular finor mi spiacque; ed oggi

Che giova?

ULISSE

E tempo di svelar tua mente

E il tuo potere omai saria. Ma Achille

Non rivive in Ajace? A’ Salamini

Congiunge i suoi saettator quell’acre

Ajace figlio d’Oïleo che in petto

Non ha virtú che di corrucci e sangue:

Derisor de’ mortali e de’ celesti,

di patria gli cal, di fortuna:

di molto: forte nacque, e pugna:

D’Ajace è amico e sol per lui combatte,

E a lui baldanza il nome e la comune

Stirpe degli avi accresce. Ajace in campo

Non ha un fratel nato d’Iliaca madre?

Di profeti, di vittime e d’Eroi

Invaso, ardente, credulo, facondo,

Sovvertitor de’ popoli; ed a tutto

Pronto ed appena al suo fratel sommesso.

Ajace ha frigia sposa: in mezzo a noi

(Vinti e prigioni è ver) ma in mezzo a noi,

Si stanno i prenci suoi congiunti; in Troja

Han le lor armi. Ajace oggi d’Achille

Venerator magnanimo si mostra,

Oggi rimembra che di sangue avvinto

Gli era e d’amor: ma un capitano manca

A’ ribellanti Tessali d’Achille.

Che bado or piú? Valor, possanza e senno

È in lui. Tu dianzi sprezzator d’ognuno

E imprudente il nomavi. Oh non t’avvedi

Ch’arte col volgo è il disprezzar chi ’l regge?

AGAMENNONE

Disprezzar me?

ULISSE

Di quante armi si cinga

Tu il vedi; e tempo aspetta.

AGAMENNONE

L’ira mia

Armi, consiglio, ardir, tempo e speranza

Gli rapirà.

ULISSE

Ma non la fama. Il sangue

Temi, se il versi venerato e pianto.

Al volgo che ama e invidia e anela a un tempo

Di conculcar gl’idoli suoi, sospetti

Rendili e vili; e avrai dall’altrui ferro

Senz’odio tuo, vittime inulte.

AGAMENNONE

Indegni

Mezzi e soverchi or che col brando impero.


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