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XVI. Ovunque n'andasse, ricoveravasi in una specie di eremo, e continuava a comporre volumi a iosa, pure sclamando ch'ei non faceva se non consumare il tempo, ma ch'eragli giuocoforza far qualche cosa per obliare sè stesso. — «O mi faccia radere, o tosare, o cavalchi, o sieda a mensa, leggo io stesso, o mi fo leggere. Sul mio desco e a canto al letto ho quant'occorre per iscrivere; e quando mi sveglio al buio, scrivo, benchè non sappia poi leggere il mattino appresso ciò che ho scritto.»136 Negli ultimi anni di sua vita dormiva sempre con a lato una lucerna accesa, e si alzava a mezza notte per l'appunto.137 «Quale stanco viaggiatore, io affretto il passo a misura che mi avvicino alla fine del mio viaggio. Leggo e scrivo dì e notte; è questo l'unico mio rifugio. Gli occhi miei sono aggravati dalle veglie; la mia mano è stanca di scrivere, e il cuore è consunto dalle cure. Bramo di essere conosciuto da' posteri; dove ciò non mi riesca, sarò conosciuto dal mio secolo, o almeno dagli amici. Sarei stato pago di poter conoscere me stesso, ma di ciò non verrò mai a capo.»138 — A che pro una vita così spesa? A qual fine tante notti vigilate e tanti giorni sì laboriosi, — tanti saggi di un nobile genio e di un cuore benevolo? Nella lettera che il Petrarca indirizzò pochi mesi prima di morire alla posterità, qual ultimo legato e frutto finale de' lunghi suoi studi, ci fa sapere; non aver lui trovato mai sistema filosofico che lo appagasse, e appena, un fatto storico nella cui verità potesse fidare; e così conchiude: «Che filosofare è amare saviezza; ed essere vera saviezza Gesù Cristo.»