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I. Nel secolo di Leone X una erudizione strabocchevole recò i raffinamenti della critica tant'oltre da preferire per sino la eleganza del gusto agli ardimenti del genio. Così le leggi della lingua italiana vennero desunte, e i modelli della poesia trascelti esclusivamente dall'opere del Petrarca; il quale proclamato allora da più di Dante, la sentenza durò fino a' dì nostri indisputata. Lo stesso Petrarca non facendo divario da Dante ad altri dalla propria fama ecclissati, così li mesce:
Ma ben ti prego che 'n la terza spera
Guitton saluti e messer Cino e Dante,
Franceschin nostro, e tutta quella schiera.
Così or quinci or quindi rimirando,
Vidi in una fiorita e verde piaggia
Gente che d'amor givan ragionando.
Ecco Dante e Beatrice; ecco Selvaggia;
Ecco Cin da Pistoia; Guitton d'Arezzo;
. . . . . . . . . .
Ecco i duo Guidi, che già furo in prezzo;
Onesto Bolognese, e i Siciliani.
Il Boccaccio, scoraggito dalla fama di questi due maestri solenni, erasi proposto di ardere le sue poesie. Il Petrarca ne lo distolse, scrivendogli in cotal aria di umiltà alquanto discorde dall'indole di un uomo che di sua natura non era ipocrita. «Voi siete filosofo e cristiano,» dic'egli, «e pure siete scontento di voi, perchè non siete illustre poeta! Dacchè altri occupò il primo seggio, siate pago del secondo, e io mi piglierò il terzo.»145 — Il Boccaccio, accortosi dell'ironia e dell'allusione, mandò il poema di Dante al Petrarca, supplicandolo «a non volere sdegnare di leggere l'opera di un grand'uomo, dal cui capo l'esilio e la morte, che lo rapì nel vigore degli anni, avevano strappato l'alloro.»146 — Leggetelo, ve ne scongiuro; il vostro genio arriva al cielo, e la gloria vostra si stende oltre i limiti della terra: ma considerate, essere Dante nostro concittadino; aver lui mostrato quanto può la lingua nostra; la vita sua essere stata sventurata; lui avere impreso e sostenuto ogni cosa per la gloria; ed essere tuttavia perseguíto dalla calunnia e dall'invidia fin entro il sepolcro. Se voi lo loderete, farete onore a lui — farete onore a voi stesso — farete onore all'Italia, di cui siete la gloria maggiore e l'unica speranza.»