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IX. Per lo contrario la bella vergine che Dante vide in lontananza in un paesaggio del paradiso terrestre, in vece di apparirti un ente immaginario, sembra accoppiare in sè tutti gli allettamenti che trovansi in quelle amabili creature nelle quali talvolta ci scontriamo, che ci accora di perdere di vista, a cui la fantasia rivola del continuo; — la pittura del poeta richiama più distinta alla memoria l'idea dell'originale, e la scolpisce nell'immaginazione:
Cantando ed iscegliendo fior da fiore,
Ond'era pinta tutta la sua via.
Deh, bella donna, ch'a' raggi d'amore
Ti scaldi, s'i' vo' credere a' sembianti,
Che soglion esser testimon del core,
Vegnati voglia di trarreti avanti,
Diss'io a lei, verso questa riviera,
Tanto ch'io possa intender che tu canti.
Come si volge con le piante strette
A terra, ed intra sè donna che balli,
E piede innanzi piede a pena mette;
Volsesi 'n su' vermigli, ed in su' gialli
Fioretti verso me, non altrimenti
Che vergine che gli occhi onesti avvalli:
E fece i prieghi miei esser contenti,
Sì appressando sè, che 'l dolce suono
Veniva a me co' suoi intendimenti.
Tal è lo stupendo magistero con cui Dante mischia le realtà di natura con accessorii ideali, che ti crea nell'animo una illusione da non si poter dissipare per tardi riflessi. Tutta quella grazia e beltà, quel caldo raggio d'amore, quella vivezza e lieta baldanza di gioventù, quella sacra modestia di una vergine, che osserviamo, benchè disgiunte e miste a difetti, in persone diverse, son qui concentrate in una sola; mentre il canto, la danza, il côrre fiori dan vita e incanto e grazia di movenza alla pittura. — A giudicare schiettamente tra questi due poeti, diresti, che il Petrarca sovrasti nel mettere in cuore un sentimento profondo della sua esistenza; e Dante nel guidare l'immaginazione ad accrescere di sconosciute attrattive la natura. Genio non fu mai forse che in sè accoppiasse a sì alto segno queste due facoltà.