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XVII. «Per lettere vostre, con debita riverenza e affezione accolte, ho compreso con grato animo e diligente considerazione quanto il mio ripatriare stiavi a cuore; però che tanto più strettamente mi obbligaste, quant'è più raro ch'esuli trovino amici. Al contenuto di esse poi rispondo, e (se non a quel modo che forse vorrebbe la pusillanimità d'alcuni) affettuosamente vi prego che, prima di giudicarne, vogliate pigliare con maturo consiglio a ventilare la risposta. Ecco dunque quanto per lettere del vostro e mio nipote e d'altri amici mi viene significato della parte pur dianzi presa in Firenze circa l'assoluzione de' mandati a' confini: che se volessi pagare certa multa e patire la nota dell'offerta, potrei venire assolto e ritornar di presente. Nel che, o padre, due cose sono pur degne di riso e male preconsigliate; dico male preconsigliate da chi tali condizioni ha espresse, giacchè le vostre lettere, con più discrezione e maturità conchiuse, nulla di ciò contenevano. È dessa gloriosa cotesta rivocazione alla patria fatta a Dante, dopo che patì esilio quasi trilustre? Tale forse la meritò un'innocenza manifesta a chiunque? Tale il sudore e la fatica continuata nello studio? Lungi dall'uomo famigliare della filosofia la temeraria umiltà di un cuore terreno, che, a modo di certo Ciolo e d'altri infami, comporti qual vinto l'oblazione di sè stesso. Lungi dall'uomo che predica giustizia e che ingiuria ha patito, il pagare del proprio danaro coloro che l'arrecarono, come fossero benefattori. Questa non è, padre mio, la strada di ritornare alla patria; ma se altra per voi, o in appresso per altri si troverà che alla fama di Dante e all'onore non deroghi, quella con passi non lenti accetterò. Che se per nessuna tale in Firenze si entra, non mai in Firenze entrerò. E perchè no? Non vedrò forse le spere del sole e degli astri da per tutto? Non potrò forse sotto qualunque plaga speculare dolcissime verità, se prima io non mi renda inglorioso, anzi ignominioso al popolo e al comune di Firenze? — Nè certamente mancherà pane.»169 — Nondimeno seguitò a provare
Lo pane altrui, e come è duro calle
Lo scendere e 'l salir per l'altrui scale.
I suoi concittadini ne perseguitarono fin la memoria; morto, fu scomunicato dal papa, e si minacciò di diseppellirne il cadavere, per abbruciarlo e disperderne le ceneri al vento.170 Il Petrarca chiuse i suoi dì in concetto di santo, pel quale il Cielo operava miracoli;171 e il senato di Venezia fece una legge contro chi ne trafugasse le ossa, vendendole come reliquie.172