Ugo Foscolo
Saggi sopra il Petrarca

PARALLELO FRA DANTE E IL PETRARCA

XVIII

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XVIII. Altri potrebbe credere che il Petrarca, compiendo fedelmente e generosamente a tutti i doveri sociali con ciascuno che gli stava intorno, e facendo continuamente ogni sforzo per tenere a freno le sue passioni, ne dovesse venir riputato virtuoso e sentirsi felice. Virtuoso fu; ma fu più infelice di Dante, da cui mai non trasparve quella irrequietudine e perplessità d'animo che fece il Petrarca minore di agli occhi proprii, e lo trasse ad esclamare negli ultimi giorni suoi: «Giovane, spregiai tutto il mondo, da me in fuori; nella virilità, me stesso; or vecchio omai, disprezzo e il mondo e me.»173 Se vissuti fossero in consueta comunicazione, Dante avrebbe avuto dall'emulo suo quel vantaggio, che quanti si fanno ad operare giusta prestabiliti e immutabili propositi hanno da chi cede a variabili e istantanei impulsi. — Il Petrarca avrebbe potuto dire con Dante

 

Coscienzia m'assicura,

La buona compagnia che l'uom francheggia

Sotto l'usbergo del sentirsi pura.

 

Ma l'ardente anelare a morale perfezione e il disperarne, lo indusse a guardare «con trepida speranza» al giorno che doveva essere citato al cospetto di Giudice inesorabile. Dante credeva espiare gli errori dell'umanità co' patimenti in terra:

 

Ma la bontà infinita ha sì gran braccia,

Che prende ciò che si rivolve a lei;

 

e par ch'ei volgasi al cielo da uomo che adora, più presto che da supplice. Fermo nella mente il concetto «l'uomo allora essere felice davvero che libero esercita tutte le sue forze174 Dante percorse con passo sicuro il cammin della vita,

 

E vigilando nell'eterno die,

Sì che notte sonno a lui non fura

Passo che faccia 'l secol per sue vie,

 

raccolse opinioni, follíe, vicissitudini, miserie e passioni, onde gli uomini vengono agitati, e lasciò dopo monumento il quale, se ne umilia con la rappresentazione di nostre fralezze, dovrebbe farci insuperbire di far parte d'una stessa natura con un tant'uomo, e ci conforta al miglior uso di nostra vita transitoria. Il Petrarca da saviezza piuttosto contemplativa che attiva fu guidato a conoscere, come le travagliose nostre fatiche in pro degli uomini eccedano a gran pezza qual benefizio ne possa ad essi tornare, come ogni nostro passo non ad altro riesca all' che ad approssimarci al sepolcro; e come la morte sia tra i doni della Provvidenza il migliore, e il mondo avvenire l'unica dimora nostra sicura. Vacilla quindi nel mortal viaggio, convinto «che stanchezza e fastidio d'ogni cosa fossero naturali all'animo suo;»175 — e così scontò il prezzo di que' doni che natura, fortuna e il mondo gli avevano largamente profusi, senza neppur la vicenda de' consueti rovesci.

 

 





173 Senil., lib. XIII, ep. 7.



174 Questa sentenza ricorre più volte ne' libri De Monarchia: citiamone due soli luoghi che leggonsi nel libro primo. «Patet quod genus humanum in quiete sine tranquillitate pacis ad proprium suum opus, quod fere divinum est (juxta illud: minuisti eum paulo minus ab angelis) liberrime atque facillime se habet». Cap. 5. — «Et humanum genus, potissumum liberum, optime se habet». Cap. 14.



175 Cum omnium rerum fastidium atque odium naturaliter in animo meo insitum ferre non possimEpist. ad Post.



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