Ugo Foscolo
Jacopo Ortis

PARTE PRIMA

XVII - Ore 2

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XVII - Ore 2

 

Il paggio m'additò un gabinetto ove innoltratomi appena, mi si fe' incontro una donna di forse trentacinque anni leggiadramente vestita, e ch'io non avrei presa mai per cameriera se non mi si fosse appalesata ella stessa, dicendomi - La padrona è a letto ancora: a momenti uscirà. Un campanello la fe' correre nella stanza contigua ov'era il talamo della Dea, ed io rimasi a scaldarmi al caminetto, considerando ora una Danae dipinta sul soffitto, ora le stampe di cui le pareti erano tutte coperte, ed ora alcuni romanzi francesi gittati qua e . In questa le porte si schiusero, ed io sentiva l'aere d'improvviso odorato di mille quintessenze, e vedeva madama tutta molle e rugiadosa entrarsene presta presta e quasi intirizzita di freddo, e abbandonarsi sovra una sedia d'appoggio che la cameriera le preparò presso al fuoco. Mi salutava più con le occhiate, che con la persona - e mi chiedea sorridendo s'io m'era dimenticato della promessa. Io frattanto le porgeva il libro osservando con meraviglia ch'ella non era vestita che di una lunga e rada camicia la quale non essendo allacciata radeva quasi il tappeto, lasciando ignude le spalle e il petto ch'era per altro voluttuosamente difeso da una candida pelle in cui ella stavasi involta. I suoi capelli benché imprigionati da un pettine, accusavano il sonno recente; perché alcune ciocche posavano i loro ricci or sul collo, or fin dentro il seno, quasi che quelle picciole liste nerissime dovessero servire agli occhi inesperti di guida; ed altre calando giù dalla fronte le ingombravano le pupille; essa frattanto alzava le dita per diradarle e talvolta per avvolgerle e rassettarle meglio nel pettine, mostrando in questo modo, forse sopra pensiero, un braccio bianchissimo e tondeggiante scoperto dalla camicia che nell'alzarsi della mano cascava fin'oltre il gomito. Posando sopra un piccolo trono di guanciali si volgeva con compiacenza al suo cagnuolino che le si accostava e fuggiva e correva torcendo il dosso e scuotendo le orecchie e la coda. Io mi posi a sedere sopra una seggiola avvicinata dalla cameriera che si era già dileguata. Quell'adulatrice bestiuola schiattiva, e mordendole e scompigliandole, quasi avesse intenzione, con le zampine gli della camicia, lasciava apparire una gentile pianella di seta rosa-languida, e poco dopo un picciolo piede, o Lorenzo, simile a quello che l'Albano dipingerebbe a una Grazia ch'esce dal bagno. O! se tu avessi, com'io, veduto Teresa nell'atteggiamento medesimo, presso un focolare, anch'ella appena balzata di letto, così discinta, così - chiamandomi a mente quel fortunato mattino mi ricordo che non avrei osato respirar l'aria che la circondava, e tutti tutti i miei pensieri si univano riverenti e paurosi soltanto per adorarla - e certo un genio benefico mi presentò la immagine di Teresa; perch'io, non so come, ebbi l'arte di guardare con un rattenuto sorriso il cagnuolino, e la bella, poi il cagnuolino, e di bel nuovo il tappeto ove posava il bel piede; ma il bel piede era intanto sparito. M'alzai chiedendole perdono ch'io fossi venuto fuor d'ora; e la lasciai quasi pentita - certo; di gaja e cortese si fe' un po' contegnosa - del resto non so. Quando fui solo, la mia ragione, che è in perpetua lite con questo mio cuore, mi andava dicendo: Infelice! temi soltanto di quella beltà che partecipa del celeste: prendi dunque partito, e non ritrarre le labbra dal contravveleno che la fortuna ti porge. Lodai la ragione; ma il cuore aveva già fatto a suo modo. - T'accorgerai che questa lettera la è ricopiata, perch'io ho voluto sfoggiare lo bello stile.

O! la canzoncina di Saffo! io vado canticchiandola scrivendo, passeggiando, leggendo: né così io vaneggiava, o Teresa, quando non mi era conteso di poterti vedere e udire: pazienza! undici miglia ed eccomi a casa; e poi altre due; e poi? - Quante volte mi sarei fuggito da questa terra se il timore di non essere dalle mie disavventure strascinato troppo lontano da te, non mi trattenesse in tanto pericolo? qui siamo almeno sotto lo stesso cielo.

P.S. Ricevo in questo momento tue lettere - e torna, Lorenzo! la è pure la quinta volta che tu mi tratti da innamorato: innamorato sì, e che perciò? Ho veduto di molti innamorarsi della Venere Medicea, della Psiche, e perfin della Luna o di qualche stella lor favorita. E tu stesso non eri talmente entusiasta di Saffo, che pretendevi ravvisarne il ritratto nella più bella donna che tu conoscessi, trattando da maligni e ignoranti coloro che la dipingono piccola, bruna, e bruttina anzi che no?

Fuor di scherzo: conosco d'essere un cervello bizzarro, e stravagante fors'anche; ma dovrò perciò vergognarmi? di che? - da più tu mi vuoi cacciar per la testa il grillo di arrossire: ma, salva la tua grazia, io non so, né posso, né devo arrossire di cosa alcuna rispetto a Teresa, né pentirmi, né dolermi. - E viviti lieto.

 

 


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