Ugo Foscolo
Jacopo Ortis

PARTE PRIMA

XVIII - Padova

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XVIII - Padova

 

Di questa lettera si sono smarrite due carte dove Jacopo narrava certo dispiacere a cui per la sua natura veemente e pe' suoi modi assai schietti andò incontro. L'editore, propostosi di pubblicare religiosamente l'autografo, crede acconcio d'inserire ciò che di tutta la lettera gli rimane, tanto più che da questo si può quasi desumere quello che manca.

 

manca la prima carta.

...

 

... riconoscente de' beneficj, sono riconoscentissimo anche delle ingiurie; e nondimeno tu sai quante volte io le ho perdonate: ho beneficato chi mi ha offeso; e talora ho compianto chi mi ha tradito. Ma le piaghe fatte al mio onore, Lorenzo! - doveano essere vendicate. Io non so che ti abbiano scritto, né ho cura di saperlo. Ma quando mi s'affacciò quello sciagurato, quantunque da tre anni quasi io non lo rivedeva, m'intesi ardere tutte le membra; eppur mi contenni. Ma doveva egli con nuovi frizzi inasprire l'antico mio sdegno? Io ruggiva quel giorno come un leone, e mi pareva che l'avrei sbranato, anche se l'avessi trovato nel santuario.

Due giorni dopo, il codardo scansò le vie dell'onore, ch'io gli aveva esibite; e tutti gridavano la crociata contro di me, come s'io avessi dovuto tranguggiarmi pacificamente una ingiuria da colui, che ne' tempi addietro mi aveva mangiato la metà del cuore. Questa galante gentaglia affetta generosità, perché non ha coraggio di vendicarsi a visiera alzata; ma chi vedesse i notturni pugnali, e le calunnie, e le brighe! - E dall'altra parte io non l'ho soperchiato. Gli dissi: Voi avete braccia, e petto al pari di me, ed io sono mortale come voi. Ei pianse, e gridò; ed allora la ira, quella furia mia dominatrice, cominciò ad ammansarsi, perché dall'avvilimento di lui mi accorsi che il coraggio non deve dare diritto per opprimere il debole. Ma deve per questo il debole provocare chi sa trarne vendetta? Credimi: ci vuole una stupida bassezza o una sovrumana filosofia per lasciarsi a beneplacito d'un nemico che ha faccia impudente, anima negra, e mano tremante.

Frattanto l'occasione mi ha smascherato tutti que' signorotti, che mi giuravano sviscerata amicizia; che ad ogni mia parola faceano le meraviglie; e che ad ogni ora mi proferivano la loro borsa e il lor cuore. Sepolture! bei marmi, e pomposi epitaffi: ma schiudili, vi trovi vermi e fetore. Pare a te, mio Lorenzo, che se l'avversità ci riducesse a domandar del pane, vi sarebbe taluno memore delle sue promesse? o nessuno, o qualche astuto soltanto, che co' suoi beneficj vorrebbe comperare il nostro avvilimento. Amici da bonaccia, nelle burrasche ti annegano. Per costoro tutto è calcolo in fondo. Onde se v'ha taluno nelle cui viscere fremano le generose passioni, o le deve strozzare, o rifuggirsi come le aquile e le fiere magnanime ne' monti inaccessibili e nelle foreste lungi dalla invidia e dalla vendetta degli uomini. Le sublimi anime passeggiano sopra le teste della moltitudine che oltraggiata dalla loro grandezza tenta d'incatenarle o di deriderle, e chiama pazzie le azioni ch'essa immersa nel fango non può, non che ammirare, conoscere. - Io non parlo di me; ma quand'io ripenso agli ostacoli che frappone la società al genio ed al cuore dell'uomo, e come ne' governi licenziosi o tirannici tutto è briga, interesse e calunnia - io m'inginocchio a ringraziar la Natura che dotandomi di questa indole, nemica di ogni servitù, mi ha fatto vincere la fortuna e mi ha insegnato a innnalzarmi sopra la mia educazione. So che la prima, sola, vera scienza è questa dell'uomo la quale non si può studiare nella solitudine, e ne' libri: e so che ognuno dee prevalersi della propria fortuna, o dell'altrui per camminare con qualche sostegno su i precipizj della vita. Sia: per me, pavento d'essere ingannato da chi saprebbe ammaestrarmi, precipitato da quella stessa fortuna che potrebbe innalzarmi; e battuto dalla mano che avrebbe tanto vigore da sostenermi...

 

manca un'altra carta.

...

 

... s'io fossi nuovo: ma ho sentito fieramente tutte le passioni, né potrei vantarmi intatto da tutti i vizj. È vero, che nessun vizio mi ha vinto mai, e ch'io in questo terrestre pellegrinaggio sono d'improvviso trapassato dai giardini ai deserti: ma insieme confesso che i miei ravvedimenti nacquero da un certo sdegno orgoglioso, e dalla disperazione di trovare la gloria e la felicità a cui da' primi anni io agognava. S'io avessi venduta la fede, rinnegata la verità, trafficato il mio ingegno, credi tu ch'io non vivrei più onorato e tranquillo? Ma gli onori e la tranquillità del mio secolo guasto meritano forse di essere acquistati col sagrificio dell'anima? Forse più che l'amore della virtù, il timore della bassezza m'ha rattenuto alle volte da quelle colpe, che sono rispettate ne' potenti, tollerate ne' più, ma che per non lasciare senza vittime il simulacro della giustizia sono punite nei miseri. No; né umana forza, né prepotenza divina mi faranno recitare mai nel teatro del mondo la parte del piccolo briccone. Per vegliare le notti nel gabinetto delle belle più illustri, ben io mi so che conviene professare libertinaggio, perché le vogliono mantenersi in riputazione dove sospettano ancora il pudore. E taluna m'addottrinò nelle arti della seduzione, e mi confortò al tradimento - e avrei forse tradito e sedotto; ma il piacere ch'io ne sperava scendeva amarissimo dentro il mio cuore, il quale non ha saputo mai pacificarsi co' tempi, o far alleanza con la ragione. E però tu mi udivi assai volte esclamare che tutto dipende dal cuore! - dal cuore che né gli uomini né il cielo, né i nostri medesimi interessi possono cangiar mai.

Nella Italia più culta, e in alcune città della Francia ho cercato ansiosamente il bel mondo ch'io sentiva magnificare con tanta enfasi: ma dappertutto ho trovato volgo di nobili, volgo di letterati, volgo di belle, e tutti sciocchi, bassi, maligni; tutti. Mi sono intanto sfuggiti que' pochi che vivendo negletti fra il popolo o meditando nella solitudine serbano rilevati i caratteri della loro indole non ancora strofinata. Intanto io correva di qua, di , di su, di giù come le anime de' scioperati cacciate da Dante alle porte dell'inferno, non reputandole degne di starsi fra' perfetti dannati. In tutto un anno sai tu che raccolsi? ciance, vituperj, e noja mortale. - E qui dond'io guardava il passato tremando, e mi rassicurava, credendomi in porto, il demonio mi strascina a sì fatti malanni. - Or tu vedi ch'io debbo drizzar gli occhi miei al raggio di salute che il Cielo mi ha presentato. Ma ti scongiuro, lascia andare l'usata predica: Jacopo Jacopo! questa tua indocilità ti fa divenire misantropo. E' ti pare che se odiassi gli uomini, mi dorrei come fo' de' lor vizj? tuttavia poiché non so riderne, e temo di rovinare, io stimo migliore partito la ritirata. E chi mi affida dall'odio di questa razza d'uomini tanto da me diversa? né giova disputare per iscoprire per chi stia la ragione: non lo so; né la pretendo tutta per me. Quello che importa, si è (e tu in ciò sei d'accordo) che questa indole mia altera, salda, leale; o piuttosto ineducata, caparbia, imprudente, e la religiosa etichetta che veste d'una stessa divisa tutti gli esterni costumi di costoro, non si confanno; e davvero io non mi sento in umore di mutar abito. Per me dunque è disperata perfino la tregua, anz'io sono in aperta guerra, e la sconfitta è imminente; poiché non so neppure combattere con la maschera della dissimulazione, virtù d'assai credito e di maggiore profitto. Ve' la gran presunzione! io mi reputo meno brutto degli altri e sdegno perciò di contraffarmi; anzi buono o reo ch'io mi sia, ho la generosità, o di' pure la sfrontatezza, di presentarmi nudo, e quasi quasi come sono uscito dalle mani della Natura. Che se talvolta io dico fra me: Pensi tu che la verità in bocca tua sia men temeraria? io da ciò ne desumo che sarei matto se avendo trovato nella mia solitudine la tranquillità de' Beati, i quali s'imparadisano nella contemplazione del sommo bene, io per non istare a rischio d'innamorarmi (ecco la tua solita antifona) mi commettessi alla discrezione di questa ciurma cerimoniosa e maligna.

 

 


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