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Ira e minaccie! Tanto dunque il nostro
Obbedir lungo e i detti tuoi fors’anco
Fan piú superbo Atride? Or sia: men tarde
Fian e piú giuste le vendette nostre.
Tu il dici.
Premio eran quell’armi al duce
Che piú funesto guerreggiasse i Teucri
Nella vegnente notte. Il re supremo
Non può senz’odio favorir la fama
D’un guerrier solo. Armi, livore e tempo
Han molti, e campo d’alleati è questo
Di forti e vili. E credi tu che l’oste
Oggi a caso imperversi?
Di te solo
Che temi ogn’uom spesso a temer mi sforzi.
Anzi che indurre occulto odio e sospetti,
Che non palesi i traditori e il vero,
Se il sai? palesi allor saran gli sdegni:
Allor le furie drizzeranno i nostri
Brandi a punir le scellerate teste.
E piú palesi alla città nemica
Le forsennate nostre risse allora
Saranno. Omai tempo parea, che l’Asia,
Finor dal nostro parteggiar difesa,
Cadesse; e il fato e la vittoria piena
Stava in Ajace; ed eran sue quell’armi. —
Già al suo fine è la tregua: e all’odio, aggiunto
Fia l’ardire ne’ Teucri. Ombra d’Achille
Sorgi tu almeno ad atterrirli! Vedi;
Dell’armi tue contenditor facondi
Siedon gli eroi... ma tu vivo, eri fiamma
Che arder volevi in civil guerra il campo.
Del valor tuo lasciasti eredi; meco
Parlano, e son del tuo furore eredi! —
Ma che piú sto! Solo al fero cimento
N’andrò...
Tu solo?... e dove?...
Or poi che Ajace
È lunge, andrò colla mia schiera io solo.
D’Ajace or forse ami la gloria tanto?
Mai di te
Non parla.
Dovrà. Per voi corro a non dubbia morte.
Or che ti fingi?
Col favor degli Dei, Teucro, che il merti:
Se la mia morte o il mio trionfo al campo
Non si palesi, questi ultimi detti,
Ultimi forse... taci. Strana è l’opra
Ch’io tento. Ajace sdegneria d’udirmi.
Avverso a lui come sarei, se in lui
Gran parte sta della fortuna Achea?
Oh! se queste dell’armi insorte gare
L’imminente battaglia oggi non frena,
Vedrai tu allor tutti i nemici veri
Di tuo fratello, e quanta ira di parti
E ambiziose trame in parlamento
Guerreggieran per quelle spoglie, e in noi
Le volgeranno.
Tempo e petto ad Ajace, ove conteso
Quindi piú onesto or m’è il periglio. Mie
L’armi saran, se vinco io solo... Ah! solo
Perir degg’io co’ miei guerrieri. — Ajace
Plachisi almen! — con l’ombra mia si plachi...
Ma e che? Placarvi! O voi chi siete?
Meco m’adiro.
E di che pugna
Ch’io non ti mento il mostri l’opra.
Tu i re in congresso, ond’io non t’odo; e sembri
Degli altrui merti insidiator. Ma in campo
Tu se’ mente divina, e Palla è teco.
Il tuo brando
Sto s’io ti creda; ma pietà e rossore
Mi vince se a cimento orrido corri
Tu per la patria e non t’ajuto.
E certo
Chi mi farà del tuo silenzio?
Ai fati
Del popol greco, e sul mio brando il giuro.
Delle rocche l’assalto Agamennone
Ad Ajace commette; ardua e mal certa
Fia la vittoria, ove distolti i Teucri
Non sien dal muro: io d’aggirarli elessi.
Opportuno all’intento evvi oltre il Xanto
Selvoso un giogo; e mel fe’ noto Reso
Quando notturno il colsi. Ma di scudi
Grave e d’usberghi è il mio stuolo impedito;
Nè basta: aggiunger ben poteva Ajace
I saettieri tuoi; spediti al corso,
Atti a’ boschi e agli agguati. O Teucro! teco
Pugnava Ulisse allor... — Ma vedi; il sole
Rapido s’alza; i padiglioni vostri
Discosti troppo, e anche piú lunge è Ajace:
Nè a dargli avviso omai ora ne avanza.
Ma quando pur... d’un traditor pavento
Che a’ nemici il palesi... — addio; gran tempo
Fien pochi a tanta
Opra. Se a te corre il nemico, a stento
Non sarai vinto. Dal Sigeo tornati
Meco son dianzi i saettier; qui presso
Stanno; ratte ed occulte orme terremo.
Da te sappialo Ajace; ov’io poi giunga,
Gli farò noto degli agguati il loco.
Frattanto i tuoi raduna, e per diversa
Via m’aggiungi. Maligne voci spesso
Tentan contro di te l’alma d’Ajace;
Smentirle or puoi... Ma già ti penti... E t’odo?
Fosti leal tu mai?
Tal detto udimmo... nol cred’io... Ma quando
Arbitro di quell’armi il parlamento
Fosse pria della pugna; ove tu parta
Fra quanti emuli suoi non lasci Ajace?
Tu pur rimanti emulo suo. Per lui
Pugna il consenso degli Achei; la mente
Per lui de’ fati, e la sua fama. Intanto
Chi per la patria pugna? Io per voi tutti,
E a far piú certo il guiderdon d’Ajace,
Combatterò. Tu lode avrai s’io vinco:
Me s’io non riedo, piangeranno i Greci,
Che vinto a voi non tornerò. — Ma l’ora
Precipita. Tu il dici. A divisarmi
Pregoti il loco, il tempo e il modo.
Vieni:
Dio sarà meco: pari al brando hai senno,
E tua virtú magnanima mi sforza.
... Pur...
Se alla comun salute offrir la vita
Vedo giovani egregi. Oh quanta speme
Precideresti, o giovinetto, a noi
E al venerando padre tuo canuto!
Pronto al sepolcro ed alla gloria io vivo!
O Telamone padre mio! Richiami
Forse alla tua reggia deserta i figli.
Ma s’io perissi, il minor figlio perdi.
A’ greci e a te rimane invitto Ajace. —