Ugo Foscolo
Jacopo Ortis

PARTE SECONDA

XXII - Ore 11 della sera

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XXII - Ore 11 della sera

 

Lo seppi: Teresa è maritata. Tu taci per non darmi la vera ferita - ma l'inferno geme quando la morte il combatte, non quando lo ha vinto. Meglio così, da che tutto è deciso: ed ora anch'io sono tranquillo, incredibilmente tranquillo. - Addio. Roma mi sta sempre sul cuore.

 

Dal frammento seguente che ha la data della sera stessa, apparisce che Jacopo decretò in quel di morire. Parecchi altri frammenti, raccolti come questo dalle sue carte, paiono gli ultimi pensieri che lo raffermarono nel suo proponimento; e però li andrò frammentendo secondo le loro date.

 

«Veggo la meta: ho già tutto fermo da gran tempo nel cuore - il modo, il luogo - né il giorno è lontano.

Cos'è la vita per me? il tempo mi divorò i momenti felici: io non la conosco se non nel sentimento del dolore: ed or anche l'illusione mi abbandona - medito sul passato; m'affiso su i che verranno; e non veggo che nulla. Questi anni che appena giungono a segnare la mia giovinezza, come passarono lenti fra i timori, le speranze, i desideri, gl'inganni, la noja! e s'io cerco la eredità che mi hanno lasciato, non mi trovo che la rimembranza di pochi piaceri che non sono più, e un mare di sciagure che atterrano il mio coraggio, perché me ne fanno paventar di peggiori. Che se nella vita è il dolore, in che più sperare? nel nulla; o in un'altra vita diversa sempre da questa. - Ho dunque deliberato; non odio disperatamente me stesso; non odio i viventi. Cerco da molto tempo la pace; e la ragione mi addita sempre la tomba. Quante volte sommerso nella meditazione delle mie sventure io cominciava a disperare di me! L'idea della morte dileguava la mia tristezza, ed io sorrideva per la speranza di non vivere più. - Sono tranquillo, tranquillo imperturbabilmente. Le illusioni sono svanite; i desiderj son morti: le speranze e i timori mi hanno lasciato libero l'intelletto. Non più mille fantasmi ora giocondi ora tristi confondono e traviano la mia immaginazione: non più vani argomenti adulano la mia ragione; tutto è calma. - Pentimenti sul passato, noja del presente, e timor del futuro; ecco la vita. La sola morte, a cui è commesso il sacro cangiamento delle cose, promette pace

 

Da Ravenna non mi scrisse; ma da quest'altro squarcio si vede ch'ei vi andò in quella settimana.

 

«Non temerariamente, ma con animo consigliato e sicuro. Quante tempeste pria che la Morte potesse parlare così pacatamente con me - ed io così pacato con lei!

Sull'urna tua, Padre Dante! Abbracciandola, mi sono prefisso ancor più nel mio consiglio. M'hai tu veduto? m'hai tu forse, Padre, ispirato tanta fortezza di senno e di cuore, mentr'io genuflusso, con la fronte appoggiata a' tuoi marmi, meditava e l'alto animo tuo, e il tuo amore, e l'ingrata tua patria, e l'esilio, e la povertà, e la tua mente divina? e mi sono scompagnato dall'ombra tua più deliberato e più lieto

 

Su l'albeggiar de' 13 Marzo smontò a' colli Euganei, e spedì a Venezia Michele, gittandosi, stivalato com'era, subitamente a dormire. Io mi stava appunto con la madre di Jacopo, quando essa, che prima di me si vide innanzi il ragazzo, chiese spaventata: E mio figlio? - La lettera di Alessandria non era per anco arrivata, e Jacopo prevenne anche quella di Rimino: noi ci pensavamo ch'ei si fosse già in Francia; perciò l'inaspettato ritorno del servo ci fu presentimento di fiere novelle. Ei narrava: Il padrone è in campagna; non può scrivere, perché abbiamo viaggiato tutta notte, dormiva quand'io montava a cavallo. Vengo per avvertire che noi ripartiremo; e credo, da quel che gli ho udito dire, per Roma; se ben mi ricordo, per Roma, e poi per Ancona, dove ci imbarcheremo: per altro il padrone sta bene; ed è quasi una settimana ch'io lo vedo più sollevato. Mi disse che prima di partire verrà a salutar la signora; e però ha mandato qui me ad avvisare; anzi verrà qui domani l'altro, e forse domani. Il servo pareva lieto, ma il suo dire confuso accrebbe le nostre sollecitudini; né si acquetaron se non il appresso, quando Jacopo scrisse, come ripartirebbe per l'Isole già Venete, e che temendo di non ritornare forse più, verrebbe a rivederci e a ricevere la benedizione di sua madre. - Questo biglietto andò smarrito.

Frattanto nel del suo arrivo a' colli Euganei, svegliatosi quattr'ore prima di sera, scese a passeggiare sino presso alla chiesa, tornò, si rivestì, e s'avviò a casa T***. Seppe da un famigliare come da sei giorni erano tutti venuti da Padova, e che a momenti sarebbero tornati dal passeggio. Era quasi sera, e tornavasi a casa. Dopo non molti passi s'accorse di Teresa che veniva con l'Isabellina per mano; e dietro alle figliuole, il signore T*** con Odoardo. Jacopo fu preso da un tremito, e s'accostava perplesso. Teresa appena il conobbe, gridò: Eterno Iddio! e dando indietro mezzo tramortita si sostenne sul braccio del padre suo. Com'ei fu presso, e che venne ravvisato da tutti, ella non gli disse parola: appena il signore T*** gli stese la mano; e Odoardo lo salutò asciuttamente. Solo l'Isabellina gli corse addosso, e mentre ei se la prendea su le braccia, essa baciavalo, e lo chiamava il suo Jacopa, e si voltava a Teresa additandolo; ed esso accompagnandosi a loro, parlava sottovoce con la ragazzina. Niuno aprì bocca: Odoardo soltanto gli chiese se andasse a Venezia. - Fra pochi giorni, rispose. Giunti alla porta, si accomiatò.

Michele che a nessun patto accettò di riposarsi in Venezia per non lasciare solo il padrone, si tornò a' colli un'ora incirca dopo mezzanotte, e lo trovò seduto allo scrittojo rivedendo le sue carte. Moltissime ne bruciò; parecchie di minor conto le lasciava cadere stracciate sotto al tavolino. Il ragazzo si coricò, lasciando l'ortolano perché ci badasse; tanto più che Jacopo non aveva in tutto quel desinato. Infatti poco di poi gli fu recata parte del suo desinare, ed ei ne mangiò attendendo sempre alle carte. Non le esaminò tutte; ma passeggiò per la stanza, poi prese a leggere. L'ortolano che lo vedeva mi disse, che sul finir della notte aprì le finestre, e vi si fermò un pezzo: pare che subito dopo abbia scritto i due frammenti che sieguono: sono in diverse facciate, ma in un medesimo foglio.

 

«Or via: costanza. - Eccoti una bragera, scintillante d'infiammati carboni. Ponvi dentro la mano; brucia le vive tue carni: bada; non t'avvilire d'un gemito. - A che pro? - E a che pro deggio affettare un eroismo che non mi giova

 

«È notte; alta, perfetta notte. A che veglio immoto su questo libro? - Io non imparai se non la scienza di ostentare saviezza quando le passioni non tiranneggiano l'anima. I precetti sono come le medicine, inutili quando la infermità vince tutte le resistenze della Natura.

Alcuni sapienti si vantano d'avere domate le passioni che non hanno mai combattuto: l'origine è questa della loro baldanza. - Amabile stella dell'alba! tu fiammeggi dall'oriente, e mandi a questi occhi il tuo raggio - ultimo! Chi l'avria detto sei mesi addietro quando tu comparivi prima degli altri pianeti a rallegrare la notte, e ad accogliere i nostri saluti?

Spuntasse almeno l'aurora! - Forse Teresa si ricorda in questo momento di me - pensiero consolatore! Oh come la beatitudine d'essere amato raddolcisce qualunque dolore!

Ah notturno delirio! va - tu ricominci a sedurmi: passò stagione: ho disingannato me stesso; un partito solo mi resta

 

La mattina mandò per una Bibbia ad Odoardo il quale non l'aveva: mandò al parroco, e quando gli fu recata, si chiuse. A mezzodì suonato uscì a spedire la seguente lettera, e tornò a chiudersi.

 


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