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Io era forte: ma questo fu l'ultimo colpo che ha quasi prostrata la mia fermezza! nondimeno quello ch'è decretato è decretato. Ma tu, mio Dio, che miri nel profondo, tu vedi che questo è sacrificio più che di sangue.
Ella era, o Lorenzo, con la sua sorellina; e parea che volesse scansarmi; ma poi s'assise, e l'Isabellina tutta compunta se le posò su le ginocchia. Teresa - le dissi accostandomi e prendendole la mano: - mi riguardò: e quella bambina gettando il suo braccio sul collo di Teresa, e alzando il viso le parlava sottovoce: Jacopo non mi ama più. E la intesi - S'io t'amo? e abbassandomi e abbracciandola - t'amo, io le diceva, t'amo teneramente; ma tu non mi vedrai più. O mio fratello! Teresa mi contemplava atterrita, e stringeva l'Isabellina, e teneva pur gli occhi verso di me: - Tu ci lascierai, mi disse, e questa fanciulletta sarà compagna de' miei giorni, e sollievo de' miei dolori: le parlerò sempre dell'amico suo - dell'amico mio; e le insegnerò a piangere e a benedirti - e a queste ultime parole, l'anima sua parevami ristorata di qualche speranza; e le lagrime le pioveano dagli occhi; ed io ti scrivo con le mani calde ancor del suo pianto. - Addio, soggiunse, addio, ma non eternamente; di'? non eternamente - eccoti adempiuta la mia promessa e si trasse dal seno il suo ritratto - eccoti adempiuta la mia promessa; addio, va, fuggi, e porta con te la memoria di questa sfortunata - è bagnato delle mie lagrime e delle lagrime di mia madre. - E con le sue mani lo appendeva al mio collo, e lo nascondeva dentro al mio petto. Io stesi le braccia, e me la strinsi sul cuore, e i suoi sospiri confortavano le arse mie labbra, e già la mia bocca - ma un pallore di morte si sparse su la sua faccia; e, mentre mi respingeva, io toccandole la mano la sentii fredda, tremante, e con voce soffocata e languente mi disse: - Abbi pietà addio - e si abbandonò sul sofà, stringendosi presso quanto poteva la Isabellina, che piangeva con noi. - Entrava suo padre, e il nostro misero stato avvelenò forse i suoi rimorsi.
Ritornò quella sera tanto costernato che Michele sospettò di qualche fiero accidente. Ripigliò l'esame delle sue carte; e molte ne faceva ardere senza leggerle. Innanzi alla Rivoluzione avea scritto un commentario intorno al governo Veneto in uno stile antiquato, assoluto, con quel motto di Lucano per epigrafe; Jusque datum sceleri. Una sera dell'anno addietro aveva letto a Teresa la Storia di Lauretta; e Teresa mi disse poi, che quei pensieri scuciti, ch'ei m'inviò con la lettera de' 29 Aprile, non n'erano il cominciamento, ma bensì sparsi dentro quell'operetta ch'esso aveva finita, narrando per filo i casi di Lauretta e gli aveva scritti con istile men passionato. Non perdonò né a questi né a verun altro scritto. Leggeva pochissimi libri, pensava molto, dal bollente tumulto del mondo fuggiva a un tratto nella solitudine, e quindi scriveva per necessità di sfogarsi. Ma a me non resta se non un suo Plutarco zeppo di postille con varj quinterni frammessi ove sono alcuni discorsi, ed uno assai lungo su la morte di Nicia; ed un Tacito Bodoniano, con molti squarci, fra gli altri l'intero libro secondo degli annali e gran parte del secondo delle storie, da lui con sommo studio tradotti, e con carattere minutissimo pazientemente ricopiati ne' margini. I frammenti sovra scritti gli ho trascelti da' fogli stracciati ch'esso aveva, come di nessun conto, gittati sotto al suo tavolino; e a' quali ho probabilmente assegnato le date. - Ma il passo seguente, non so se suo o d'altri quanto alle idee, bensì di stile tutto suo, era stato da lui scritto in calce al libro delle Massime di Marco Aurelio, sotto la data 3 Marzo 1794 - e poi lo trovai ricopiato in calce all'esemplare del Tacito Bodoniano sotto la data 1 Gennaro 1797 - e presso a questa, la data 20 Marzo 1799, cinque dì innanzi ch'egli morisse - eccolo:
«Io non so né perché venni al mondo; né come; né cosa sia il mondo; né cosa io stesso mi sia. E s'io corro ad investigarlo, mi ritorno confuso d'una ignoranza sempre più spaventosa. Non so cosa sia il mio corpo, i miei sensi, l'anima mia; e questa stessa parte di me che pensa ciò ch'io scrivo, e che medita sopra di tutto e sopra se stessa, non può conoscersi mai. Invano io tento di misurare con la mente questi immensi spazj dell'universo che mi circondano. Mi trovo come attaccato a un piccolo angolo di uno spazio incomprensibile, senza sapere perché sono collocato piuttosto qui che altrove; o perché questo breve tempo della mia esistenza sia assegnato piuttosto a questo momento dell'eternità che a tutti quelli che precedevano, e che seguiranno. Io non vedo da tutte le parti altro che infinità le quali mi assorbono come un atomo.»
Poiché in quella notte de' 20 Marzo ebbe ripassato al tutto i suoi fogli, chiamò l'ortolano e Michele perché glieli sgombrassero da' piedi. Poi li mandò a dormire. Pare ch'esso abbia vegliato l'intera notte; perché allora scrisse la lettera precedente, e sul far del giorno andò a destare il ragazzo commettendogli che procacciasse un messo per Venezia. Poi si sdrajò tutto vestito sul letto; ma per poca ora; da che un villano mi disse d'averlo alle 8 di quella mattina incontrato su la strada d'Arquà. Prima di mezzodì era tornato nelle sue stanze. V'entrò Michele a dire che il messo era lì pronto: e lo trovò seduto immobilmente, e come sepolto in tristissime cure: s'alzò; si fe' presso alla soglia di una finestra; e standosi ritto scrisse sotto la stessa lettera, a caratteri quasi illeggibili.
Verrò ad ogni modo - se potessi scriverle - e voleva scrivere: pur se le scrivessi non avrei più cuore di venire - tu le dirai che verrò, che essa vedrà il suo figliuolo; - non altro - non altro: non le straziare di più le viscere; avrei molto da raccomandarti intorno al modo di contenerti per l'avvenire con essa e di consolarla. - Ma le mie labbra sono arse; il petto soffocato; un'amarezza, uno stringimento - potessi almen sospirare! - Davvero; un gruppo dentro le fauci, e una mano che mi preme e mi affanna il cuore. - Lorenzo, ma che posso più dirti? sono uomo - Dio mio, Dio mio, concedimi anche per oggi il refrigerio del pianto.
Sigillò il foglio e lo consegnò senza verun soprascritto. Guardò il cielo per gran pezzo; poi s'assise, e incrociate le braccia su lo scrittojo, vi posò la fronte: più volte il servo gli chiese se voleva altro; ei senza rivoltarsi, gli fe' cenno con la testa, che no. Quel giorno incominciò la seguente lettera per Teresa.