Ugo Foscolo
Jacopo Ortis

PARTE SECONDA

XXX - Ore 1

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XXX - Ore 1

 

Ho visitato le mie montagne, ho visitato il lago de' cinque fonti, ho salutato per sempre le selve, i campi, il cielo. O mie solitudini! o rivo, che mi hai la prima volta insegnato la casa di quella fanciulla celeste! quante volte ho sparpagliato i fiori su le tue acque che passavano sotto le sue finestre! quante volte ho passeggiato con Teresa per le tue sponde, mentr'io inebbriandomi della voluttà di adorarla, vuotava a gran sorsi il calice della morte.

Sacro gelso! ti ho pure adorato; ti ho pure lasciati gli ultimi gemiti, e gli ultimi ringraziamenti. Mi sono prostrato, o mia Teresa, presso a quel tronco; e quell'erba ha dianzi bevute le più dolci lagrime ch'io abbia versato mai; mi pareva ancora calda dell'orma del tuo corpo divino; mi pareva ancora odorosa. Beata sera! come tu sei stampata nel mio petto! - io stava seduto al tuo fianco, o Teresa, e il raggio della luna penetrando fra i rami illuminava il tuo angelico viso! io vidi scorrere su le tue guance una lagrima; e la ho succhiata, e le nostre labbra, e i nostri respiri, si sono confusi, e l'anima mia si trasfondea nel tuo petto. Era la sera de' 13 Maggio era giorno di giovedì. Da indi in qua non è passato momento ch'io non mi sia confortato con la ricordanza di quella sera: mi sono reputato persona sacra, e non ho degnata più alcuna donna di un guardo credendola immeritevole di me - di me che ho sentita tutta la beatitudine di un tuo bacio.

T'amai dunque t'amai, e t'amo ancor di un amore che non si può concepire che da me solo. È poco prezzo, o mio angelo, la morte per chi ha potuto udir che tu l'ami, e sentirsi scorrere in tutta l'anima la voluttà del tuo bacio, e piangere teco - io sto col piè nella fossa; eppure tu anche in questo frangente ritorni, come solevi, davanti a questi occhi che morendo si fissano in te, in te che sacra risplendi di tutta la tua bellezza. E fra poco! Tutto è apparecchiato; la notte è già troppo avvanzata - addio - fra poco saremo disgiunti dal nulla, o dalla incomprensibile eternità. Nel nulla? Sì. - Sì, sì; poiché sarò senza di te, io prego il sommo Iddio, se non ci riserba alcun luogo ov'io possa riunirmi teco per sempre, le prego dalle viscere dell'anima mia, e in questa tremenda ora della morte, perché egli m'abbandoni soltanto nel nulla. Ma io moro incontaminato, e padrone di me stesso, e pieno di te, e certo del tuo pianto! Perdonami, Teresa, se mai - ah consolati, e vivi per la felicità de' nostri miseri genitori; la tua morte farebbe maledire le mie ceneri.

Che se taluno ardisse incolparti del mio infelice destino, confondilo con questo mio giuramento solenne ch'io pronunzio gittandomi nella notte della morte: Teresa è innocente. - Ora tu accogli l'anima mia.

 

Il ragazzo, che dormiva nella camera contigua all'appartamento di Jacopo, fu scosso come da un lungo gemito: tese l'orecchio per sincerarsi s'ei lo chiamava; aprì la finestra sospettando ch'io avessi gridato all'uscio, da che stava avvertito ch'io sarei tornato sul far del ; ma chiaritosi che tutto era quiete e la notte ancor fitta, tornò a coricarsi e si addormentò. Mi disse poi che quel gemito gli aveva fatto paura: ma che non vi badò più che tanto perché il suo padrone soleva alle volte smaniare fra il sonno.

La mattina, Michele dopo aver bussato e chiamato un pezzo alla porta, sconficcò il chiavistello; e non udendosi rispondere nella prima camera, s'innoltrò perplesso; e al chiarore della lucerna che ardeva tuttavia, gli si affacciò Jacopo agonizzante nel proprio sangue. Spalancò le finestre chiamando gente, e perché nessuno accorreva, s'affrettò a casa del chirurgo, ma non lo trovò perché assisteva a un moribondo; corse al parroco, ed anch'esso era fuori per lo stesso motivo. Entrò ansante nel giardino di casa T*** mentre Teresa scendeva per uscire di casa con suo marito, il quale appunto dicevale come dianzi avea risaputo che in quella notte Jacopo non era altrimenti partito; ed ella sperò di potergli dire addio un'altra volta: e scorgendo il servo da lontano voltò il viso verso il cancello donde Jacopo soleva sempre venire, e con una mano si sgombrò il velo che cadevale sulla fronte, e rimirava intentamente, costretta da dolorosa impazienza di accertarsi s'ei pur veniva: e le si accostò a un tratto Michele domandando aiuto, perché il suo padrone s'era ferito, e che non gli parea ancora morto: ed essa ascoltavalo immobile con le pupille fitte sempre verso il cancello: poi senza mandare lagrimaparola, cascò tramortita fra le braccia di Odoardo.

Il signore T*** accorse sperando di salvare la vita del suo misero amico. Lo trovò steso sopra un sofà con tutta quasi la faccia nascosta fra' cuscini: immobile, se non che ad ora ad ora anelava. S'era piantato un puguale sotto la mammella sinistra ma se l'era cavato dalla ferita, e gli era caduto a terra. Il suo abito nero e il fazzoletto da collo stavano gittati sopra una sedia vicina. Era vestito del gilè, de' calzoni lunghi e degli stivali; e cinto d'una fascia larghissima di seta di cui un capo pendeva insanguinato, perché forse morendo tentò di svolgersela dal corpo. Il signore T*** gli sollevava lievemente dal petto la camicia, che tutta inzuppata di sangue gli si era rappressa su la ferita. Jacopo si risentì; e sollevò il viso verso di lui; e riguardandolo con gli occhi nuotanti nella morte, stese un braccio, come per impedirlo, e tentava con l'altro di stringergli la mano - ma ricascando con la testa su i guanciali, alzò gli occhi al cielo, e spirò.

La ferita era assai larga, e profonda; e sebbene non avesse colpito il cuore, egli si affrettò la morte lasciando perdere il sangue che andava a rivi per la stanza. Gli pendeva dal collo il ritratto di Teresa tutto nero di sangue, se non che era alquanto polito nel mezzo; e le labbra insanguinate di Jacopo fanno congetturare ch'ei nell'agonia baciasse la immagine della sua amica. Stava su lo scrittojo la Bibbia chiusa, e sovr'essa l'oriuolo; e presso, varj fogli bianchi; in uno de' quali era scritto: Mia cara madre: e da poche linee cassate, appena si potea rilevare, espiazione; e più sotto; di pianto eterno. In un altro foglio si leggeva soltanto l'indirizzo a sua madre, come se pentitosi della prima lettera ne avesse incominciata un'altra che non gli bastò il cuore di continuare.

Appena io giunsi da Padova ove m'era convenuto indugiare più ch'io non voleva, fui sopraffatto dalla calca de' contadini che s'affollavano muti sotto i portici del cortile; ed altri mi guardavano attoniti, e taluno mi pregava che non salissi. Balzai tremando nella stanza, e mi s'appresentò il padre di Teresa gettato disperatamente sopra il cadavere; e Michele ginocchione con la faccia per terra. Non so come ebbi tanta forza d'avvicinarmi e di porgli una mano sul cuore presso la ferita; era morto, freddo. Mi mancava il pianto e la voce; ed io stava guardando stupidamente quel sangue: finché venne il parroco e subito dopo il chirurgo, i quali con alcuni famigliari ci strapparono a forza dal fiero spettacolo. Teresa visse in tutti que' giorni fra il lutto de' suoi in un mortale silenzio. - La notte mi strascinai dietro al cadavere che da tre lavoratori fu sotterrato sul monte de' pini.

 

 

FINE

 


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