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Non ho, da che vivo, sbrigato più speditamente d'allora un negozio di dodici ghinee. Il tempo, dopo quell'«addio», m'era grave; vidi che ogni momento si sarebbe pigramente raddoppiato per me fino a che non avessi pigliato le mosse: ordinai sul fatto i cavalli, e m'affrettai verso l'albergo.
«Re del cielo!» esclamai nell'udire che all'oriuolo della città batteano le quattro, e accorgendomi ch'io mi trovava da poco più d'un'ora in Calais.
Vedi che gran libro può in sì breve tratto di vita arricchir d'avventure chi s'affeziona col cuore a ogni cosa, e chi, avendo occhi per vedere ciò che l'occasione ed il tempo gli vanno di continuo mostrando a ogni passo del suo cammino, non trascura nulla di quanto egli può lecitamente toccare!
Se non riesce una cosa, riescirà un'altra; né importa: fu un saggio a ogni modo dell'umana natura; la mia fatica m'è premio; mi basta: il diletto dell'esperimento tien desti i miei sensi e la parte spiritosa del mio sangue, e lascia dormir la materia.
Compiango l'uomo che può viaggiare da Dan a Bersabea34, ed esclama: «Tutto è infecondo!» ed è: e tale è l'universo per chiunque non vede quanto ei sarà liberale a chi lo coltiva.
«Ponetemi» diss'io stropicciandomi lietamente le mani «dentro a un deserto, e troverò di che farmi rivivere tutti gli affetti: ne farei dono, non fosse altro a qualche mirto soave; e mi cercherei per amico un malinconico cipresso: corteggerei le loro ombre, e li ringrazierei affabilmente della loro ospitalità: vorrei intagliare il mio nome sovr'essi, e giurerei ch'ei sono i più amabili fra gli alberi del deserto: se le loro foglie appassissero, imparerei a condolermene; e quando si rallegrassero, mi rallegrerei con essi.»
Smelfungus, uomo dotto, viaggiò da Bologna-a-mare a Parigi, da Parigi a Roma, e via così; ma si partì con l'ipocondria e l'itterizia; ed ogni oggetto da cui passava era scolorato e deforme: scrisse la storia del suo viaggio; la storia appunto de' suoi miseri sentimenti.
Incontrai Smelfungus sotto il gran portico del Pantheon: ei n'esciva.
— La è poi — mi diss'egli — un'enorme arena da galli.
— Non aveste almen detto peggio della Venere de' Medici — gli risposi; da che, passando per Firenze, io aveva risaputo ch'egli s'era avventato alla Dea e trattatala peggio d'una sgualdrina e senza la minima provocazione in natura.
M'avvenni anche in Torino, mentr'egli ripatriava, in Smelfungus; e aveva da narrare un'odissea di sciagurate vicende, «ov'ei di casi miserandi dirà per onde e campi, e di cannibali che si divorano, e di antropofagi»35, e che l'avevano scorticato ch'ei ne sfidava san Bartolommeo, e diabolicamente arrostito vivo36 ad ogni osteria dov'ei si posava.
— E lo dirò — gridava Smelfungus — lo dirò all'universo.
— Ditelo al vostro medico — rispos'io — sarà meglio37.
Mundungus, e la sua sterminata opulenza, percorsero tutto il gran giro, andando da Roma a Napoli; da Napoli a Venezia; da Venezia a Vienna, a Dresda, a Berlino: e non riportò né la rimembranza d'una sola generosa amicizia, né un solo piacevole aneddoto da raccontar sorridendo: correva sempre diritto, senza guardar né a sinistra né a destra, temendo non la compassione o l'amore l'adescassero fuor di strada38.
Pace sia con loro! se pur v'è pace per essi: ma né l'empireo, se è possibile che sì fatte anime arrivino lassù, avrà mai tanto da contentarli. Ogni spirito gentile aleggerebbe su le penne d'Amore a benedire la loro assunzione; ma svogliatamente ascoltando, le anime di Smelfungus e di Mundungus pretenderebbero antifone di gioja sempre diverse, sempre nuove estasi d'amore, e sempre congratulazioni migliori per la loro comune felicità. Non sortirono, e li deploro cordialmente, non sortirono indole atta a goderne; e fosse pure assegnata a Smelfungus e Mundungus la beatissima tra le sedi del paradiso, ei sarebbero sì lungi dalla beatitudine, che anzi le anime di Smelfungus e di Mundungus vi farebbero penitenza per tutta quanta l'eternità.