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E a me pure lasciava La Fleur, oltre ogni nostro patto e speranza, di che divertirmi per tutto quel giorno.
Recandomi a casa il burro sovra una foglia d'uvaspina in ora assai calda, e dovendo fare più di tre passi, impetrò dal bottegaio un foglio di cartaccia da frammentare tra la foglia e la mano. Or come giunse, gli dissi che posasse ogni cosa a quel modo, da che si poteva far di meno del piatto; e ch'io me ne starei tutto il dì in casa: però mi facesse dal traiteur allestire da desinare, e se n'andasse con Dio, perché io mi sarei a colazione servito da me.
Poich'ebbi finito, gittai la foglia dalla finestra, e avrei gittato anche quella cartaccia, se non che correndo con gli occhi sul primo verso, mi invogliai del secondo e del terzo; e mi parve peccato a gittarla. Trassi una seggiola accanto alle invetriate, le chiusi, e mi assisi a leggere.
Era in istile francese di quel vecchio del tempo di Rabelais; e se non temessi di dir male, direi che ne fu esso l'autore. Era inoltre in caratteri gotici, e sì sbiavati dall'umido e dall'età che ebbi a penare a cavarne costrutto. E talora lasciai a parte quel foglio, e scrissi una lettera ad Eugenio; lo ripigliai, e tornai all'agonia del l'impazienza: ed io per guarirne, scrissi una lettera a Elisa, ma col pensiero vicino sempre a quel foglio; perché la difficoltà m'istigava a diciferarlo.
Desinai; e poiché una bottiglia di prelibato vino di Borgogna mi ralluminò l'intelletto, mi ci misi più di proposito; e dopo tre ore di meditazione indefessa (Gruttero e Jacopo Spon116 non si stillarono forse tanto il cervello sopra una melensa iscrizione) parvemi d'avere una volta colto nel segno. Ma, per accertarmene, giudicai di tradurlo in inglese, e star a vedere che n'escirebbe; e così a mio bell'agio, come chi si trastulla, tradussi or una sentenza, or un'altra; e poi me n'andava su e giù per la camera: e alle volte guardava da' vetri chi andava e veniva; sì che battevano le nove della sera, ed io non aveva per anche finito. E quando a Dio piacque, rilessi come segue: