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I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
Sciolto è il consesso, o re de’ re.
L’evento?
Nestore primo dal suo trono indisse
Nullo il suffragio popolar. Le schiere
Tutte intente al profeta. Ei le pupille
Or lagrimose, or timide, or ardenti,
Finchè l’ostia fumava agli immortali,
Mai dal ciel non togliea. Fattosi quindi
Imperturbato nel sembiante grida:
«Eroi chiedete ai re l’armi fatali» —
Nè piú fe motto: con la fronte al petto,
Solo e raccolto in sè, muto sedeva.
Disdirsi a’ numi non s’addice; e sia:
Ma tacciano.
A Idomeneo possente re la gara
Dubbia o indegna mostrai, Nestore infuse
Orror di risse ne’ suoi figli. Opporre
E gloria e petto e il suo parlar facondo
Potea il gagliardo Diomede a tutti:
Gli membrai che al Pelide emulo aperto
Visse; e bramarne l’armi onta gli fora.
Stenelo e i pari suoi fulmini in guerra,
In assemblea son dubitanti, muti.
Agevolmente io li ritrassi.
Adunque
Tu in consigli converti ogni mio cenno.
A ciascheduno di que’ re t’imposi
Di dir che Ajace m’increscea: bastava.
Se il favoriano, ogni sentenza io solo
Ad annullar non basto? E a che gli obbliqui
Raggiri omai se non a far piú ardito
Chi piú mi teme? All’invidia, all’orgoglio
Di molti, io volli aprire il campo. Achille
Abbiasi eredi, tranne Ajace, tutti.
Che? nè guidar, nè disunire i voti,
Comandarli volevi? A te sommessi
Qui ad uno ad uno i regi avrai: ma uniti,
Se un solo a trarli di timor s’appresta
Quel solo udranno. Ed ogni tuo comando
Nuovi sospetti contro te, suffragi
Aggiungeva ad Ajace. E a che ridesti
Le loro forze? debole ti mostra
Sien indolciti; allor gli assali. L’arte
Spregiasti ognora; e dalla forza Achille
Domo non fu: tremenda oggi la sua
Ombra co’ regi e con Ajace stava;
Non m’atterrí, l’armi sue chiesi.
Quindi,
E mel previdi, rimovevi ogni altro.
S’altri l’audacia, l’eloquenza, e l’arti
Frenar potea del tuo nemico, ascolta:
Già percorreva l’assemblea con gli occhi
Tranquillo in vista e gli esultava l’alma
Che gareggiar con lui nessuno ardisse;
Udimmi, e n’arse: indi com’uom che scorge
Trame e le sprezza, in me ritorse un ghigno...
Mentr’ei favella, piú il popolo accalcasi
Al recinto dei re. Quando una voce
Ripetuta da mille esce dal campo:
«L’armi a colui che il corpo del Pelide
Rapí al trionfo de’ Trojani». — «Meco
Lo serbò Ulisse» gridò Ajace, «meco,
Ed al trionfo di maggior nemico».
E chi ardiva ascoltarlo!
Il nome tuo
Non proferí. — La gloria degli eroi
Esser dicea sprone al valore, e scudo
Quindi l’armi commettere e la fama
Del figliuol della diva a chi macchiarle
Mai non porria nè torcerle a periglio
Piú della patria che del teucro regno.
Ch’ei condottier di poche genti a’ greci
Ombra dar non potea. — «Dal padre mio,
(Gridò) che già l’antico Ilio distrusse
Il nuovo appresi ad espugnar». — Successe
Alto un silenzio, e alla risposta io mossi.
Ma tutti gli occhi alla Sigea marina
Si conversero. All’oste ancor parea,
Quando il gel della rotta entro le navi
Addensava gli Achei, veder sul vallo
Fra un turbine di dardi Ajace solo
Fumar di sangue; e ove diruto il muro
Dava piú varco a’ teucri, ivi attraverso
Piantarsi; e al tuon de’ brandi onde intronato
Avea l’elmo e lo scudo, i vincitori
Impaurir col grido; e rincalzarli
Fra le dardanie faci arso e splendente,
Scagliar rotta la spada, e trarsi l’elmo
E fulminar immobile col guardo
Ettore che perplesso ivi rattenne
Dell’incendio la furia onde le navi
A noi rapiva ed il ritorno. — O fosse
Che il raccapriccio del passato danno
Tuttor invada i popoli; o che cieca
Gli attizzasse una trama, essi concordi
Nel clamore, ne’ fremiti, ne’ cenni
Stupefatto il membri,
Parmi... tu. — A farmi piú tremendo Ajace
Forse?...
Che tu lo ammiri. E lodator suo primo
M’udir gli Achivi, e mi si fer piú intenti.
Ma infausto dissi ogni valor che sdegna
Leggi; e leggi e vittoria e pace a un tempo
Starsi omai nel tuo soglio. — Al primo grido
Tornò la turba: «Date l’armi al forte
Che le serbò». — «E son pur mie, sclamai,
Mie, dal mio sangue a voi serbate; meco
Ma non già primo difendeale Ajace.
Ei sugli omeri suoi trasse l’estinto
Eroe presso le tende. Ah! ch’io malfermo
Per antiche ferite e allora esangue
Di stral confitto al sen, come potea
Quella gran salma gravissima d’armi
Assumer io?» — Mostrai il mio petto; e inerme
Qual tu mi vedi io stava.
Ulisse; o tu nell’adunanza a un tempo
Eri e tra il volgo; e ordisti quel clamore
Dell’armi.
... Mio... nè il negherò fu in parte.
Ma e Teucro ov’era? in assemblea nol vidi.
Ei no. Ben il Locrese
Ajace armato di tutte armi e ritto
Stavasi i voti subornando. E ombrati
Già sul poter tuo troppo eran molti,
E aveano eletto in lor pensiero Ajace.
E i suoi guerrier e i Tessali quel nome
Acclamavano. A un tratto il nome mio
Gridar odono i prenci; e i Salamini
Insultar gli Itacensi: e vider l’aste
De’ Mirmidoni balenar sul capo
Alle Argive tue squadre. Muto stava
Calcante: e incerta fu dei re la mente. —
Allor partito necessario estremo...
E qual?
Preaccennato io te l’avea...
Sagace a te, ma poco regio parve...
Che agli stranieri prigionier la lite
Si deferisca? — Arti non mie. Me dunque,
Me primo e solo omai giudice avrete.
Che re? che schiere? che profeti? Atride
Alfin voi tutti acqueterà: e voi primi,
Voi nelle vostre ambizïon discordi,
Voi che movete il volgo, indi il temete;
Ei se ne avvede.
Dunque: incitate abbiam le schiere entrambi.
Sei tu sí forte? A tuoi nemici in preda
Bensí puoi darmi, e contro me la turba
Ch’io per te mossi irriteranno: Oh! speri
Senza il volgo domarli, e che te solo
Il volgo segua finchè gli altri ammira?
O re, se a un tratto la sentenza annulli. —
A’ prigionieri occulto un cenno ingiungi:
Miseri sono, e obbediranno.
...Abbietto
A tutti no. Ma quete
Cosí vedean le risse. Indizio n’ebbe
Da me Nestorre; ed egli in ciò non vide
Che amor di pace: ed il partito ei stesso
Commendando propose. Ebbe l’assenso
Dei piú.
E d’Ajace?
Non l’udiva: a lui
Piú tempo innanzi susurrò il Locrese
Non so che detti. Egli balzando in cocchio
Precipitò i destrieri alle sue tende. —
... Tumultuar odi qui presso?...