Ugo Foscolo
Ajace

ATTO QUARTO

SCENA PRIMA

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ATTO QUARTO

SCENA PRIMA

Agamennone

Ma e che? Son io signor di me? Da quanti

Oggi non pendo! — o incerte ore!... il mondo

Lasci alla notte, e a che piú tardi, o sole? —

O! a chi dar leggi io voglio. — Io?... che ad Ajace

Dir pur or non osai: cedi il tuo scettro,

Snuda il brando e per me pugna, e t’immola.

Io che onore e possanza e pace aspetto

Or da un Ulisse... — Ah no! la pace mia

Fu ne’ miei tetti, e sparí col sorriso

Della mia figlia: all’angoscia, al terrore,

Al parricidio io la mia casa educo. —

Ch’io qui riposi almen per or. — Qui assiso,

O Agamennone il tuo tranquillo aspetto

Incodardisce questi avvezzi al sangue

Regnatori superbi... E non ardiva

Qui il mio regal paludamento un uomo,

Un uomo sol quasi strapparmi? E rabbia

E vendetta e stupor e la vergogna

Del simular, e la tomba che Ajace

Si spalanca... ma piú quel terreo immoto

Volto d’Ulisse, mi fean muto quasi,

E in me scorrea gelato un sudor lento... —

Ecco già notte. E Ulisse aspetto io sempre! —

Vil alma audace a un tempo, infida, fredda

Sortí colui. Gli uomini, i casi, i tempi

Attrae scaltro invisibile, e avviluppa

Tutto me in essi. Io m’agito: trascorro

Strascinato... ei li guida ov’io piú bramo:

Sa ch’egli splende di mia luce, e fida

Come se a un tratto ei spegnerla potesse.

Già mi ha divelto ogni secreto mio,

Quind’io sospetto... — Ma non piú. Si sappia

Che su la Grecia voregnar io solo. —

Ardan le faci, il campo mio risplenda.

Il re de’ regi s’apparecchia all’armi.


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