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Agamennone, Tecmessa, Donzelle frigie, Araldo
Vien ch’io ti veggia, o sposa del sublime
Propugnator di libertà. Fra queste
Donne io ti scerno alla gemmata zona.
A me ti appressa. — Muta tremi? Il velo
Togli. Ribrezzo il tuo pudore accresce;
Chè Greco io sono, e tu moglie d’Ajace. —
Or di’; perfette son le trame? e saldi
Stanno vieppiú contro il decreto mio
Gli eroi prigioni? Udisti altra novella
Di Teucro, da che teco egli e co’ tuoi,
Pria di partir, venne a consiglio? — Parla.
Ma domestico vezzo è il non udirmi.
E ov’è il tuo figlio? A’ Tessali il mostravi
Teco stamane e ne frenasti l’ire,
Poichè stanza ad Ajace omai son fatte
Le frigie tende. — E immobile persisti?
E piú nel velo ti ravvolgi? — Schiava,
Distrutti altari, ah m’ajutate!
... Dacchè all’urna d’Achille il Signor mio
Andò, nol vidi;... ohimè! ben aspre cure
Dovean vietargli a rivedermi. E scorta
Egli mi fu quando jer l’altro io venni
Consolatrice a miei congiunti afflitti.
Teucro sol vidi: tacito improvviso
Abbracciò il figliuol mio, quasi abbracciarlo
Piú non dovesse mai: parlar volea;
Ma fuggí ratto e mi lasciò in affanni. —
Odo tumulti; il campo freme; il mio
Padre e i fratelli di terror confusi;
Venir, andar, tornar vedo i tuoi messi...
Misera! e solo il Signor mio non vedo.
Prieghi mando ed avvisi; ei mi risponde
Che perigliosa è l’ora e ch’io nel cielo
Fidi. — Soletta con le ancelle mie,
Fra le spade e le tenebre m’accinsi
A rivederlo. Al limitar l’araldo
Tuo ne rattenne: altro non so. Paterno
Rito e l’amor de’ nostri lari tiene
Divise noi dal viril sesso; e noto
Soltanto è a me delle battaglie il lutto:
Vedo appena i guerrieri; e il tuo sembiante
Talor da lunge io riguardai tremando.
Ma non tremavi trafugando il tuo
Già in salvo egli era.
E il loco?
Ah forse...
... Io?... fui padre.