Ugo Foscolo
Ajace

ATTO QUARTO

SCENA OTTAVA Ajace, Ulisse

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SCENA OTTAVA

Ajace, Ulisse

ULISSE

Pur ti trovo: t’arresta. Al tuo disprezzo

È pari alfin la mia vendetta. O Ajace,

Mi spregiasti; e piú vil tu mi credevi

Poichè potendo aver tomba da eroe,

Da te sostenni esser io salvo. Ah! vissi;

Infame; e vivo; ma per farti infame. —

Te ammiri tu! Nessuno ammiro io mai,

Tranne chi proprie fa le forze altrui.

Il tuo valore è mio; lo traggo io solo

A insana guerra: i mutui sdegni vostri

O greci re, son miei; mia la delira

Credulità de’ popoli; l’amore

De’ tuoi congiunti, è mio; mia di Calcante

La pietà che abborrendo Agamennone

Darti i suoi Dei non osa. Io la fortuna

Sol con le vostre passioni affretto;

Ed oggi amica, oltre ogni speme, apparve. —

Atride regni. Palamedi e Achilli

E nuovi Ajaci io gli apporrò che Ulisse

Rispetteranno. Ilio conquisti; e vinca,

S’ei può, lo spettro di sua figlia e il muto

Terror della vendetta onde la moglie

Già gli circonda il talamo. Vacilla

Quel trono ognor che su le tombe posa.

Ma per lui posso or assalirti. In campo

T’aspetta, o Ajace, il vincitor di Reso.

Dubbia è mia morte e la tua infamia è certa. —

Il cor dentro ti rugge... mi trafiggi

Piú traditor parrai...


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