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SCENA PRIMA
Calcante, Tecmessa, Donzelle frigie
Ahi!
Dall’orrendo
Spettacolo, voi donne, a piè del colle
E ripercosse quelle fiamme io sento
Sovra il mio volto. — O Padre mio!... beato
Chi ti strappò la tua corona? Ajace
Struggea la sede de’ tuoi numi; Ajace
T’incatenò: pianse il crudele; e a’ Greci
Ti strascinò di cenere cosperso
Nè mi fe’ moglie sua, nè ti difende
Che ad inasprir contro di noi l’iniqua
Insanguinata alma d’Atride... — O Ajace
Tu almen ti salva dall’incendio. Invano
Spegnerlo vuoi; vidi crollar fumando
Il carcere de’ miei; io con questi occhi
Dagli armati carnefici in quel rogo
Vidi scagliar vivo co’ figli il padre...
Ohimè! spirano ardendo... ed esecrando
La lor sorella. O padre mio, mio padre
Non maledirmi tu.
Ma, e voi... non siete
Misere dunque al par di me? me sola
Piangete forse?... E che?... pianger potete! —
Meco tornate su quell’erta: udremo
Delle vittime i gemiti: il mio padre
Mi chiama... io manco... — o terra, ecco io t’abbraccio;
Moglie prostesa ove tu dianzi il forte
Provocavi, o superbo, ed obbliasti
Ch’io periva... Ma posso io non amarti?
Morir poss’io finchè il tuo figlio vive? —
E sí curvo alla valle, e che piú guarda
L’atterrito profeta?... Odi, Calcante;
Volgiti deh!... al mio ultimo priego
Rispondi. Vedi tu forse nei campi
Illuminati dall’iniquo rogo
Cader Ajace?... Ah! gridagli che seco
Languida vampa all’arse tende; e il fumo
Ogni veder mi toglie. Atride, o figlia,
S’arretra; chè appressarsi a noi la pugna
Intendo. Sorge in liete voci all’aura
D’Ajace il nome. — Odi feroce un grido?
«Io col mio brando ferirò Bellona».
Dell’aspro figlio d’Oileo è il grido.
Voi difendete l’are vostre, o numi!...
Ma e questa donna a un tempo udite.
Ah i numi,
Dacchè infelice io fui piú non m’udiro!
Patria e pace m’han tolto, e padre... tutto
M’han tolto: sposo mi torranno e figlio. —
Torni il sorriso al mio pallido volto,
Il ciel non ama i miseri. Versate
Fior sul mio grembo; a me i profumi e l’arpa
Come quando l’allegro inno suonava
Nella mia reggia. Allor m’udiva il cielo;
Allor ch’io non gemeva!
O desolata
Giovine! oppressa dal cordoglio immenso
Meco le danze; e zefiro sciogliea
Le lor trecce odorate; ed i miei passi
E il mio sembiante illuminava il sole,
Quando in Lirnesso i candidi corsieri
E l’aureo cocchio risplendean e l’armi
De’ frigi re!... Su via; date all’argiva
Elena il regio peplo, a lei le rose
E l’amoroso canto, a lei che il mare
Empiea di navi a desolarmi. Intanto
Tra i morti, il sangue, i gemiti e la notte
Andrò errando se mai l’ossa de’ miei
Trovassi; e tutta consecrar sovr’esse
La mia chioma recisa; e sotterrarle
Nelle rovine dell’avita reggia.
O sanguinosa alba tu sorgi!
Del sacro vecchio odo la voce!
L’asta
Del Telamonio, o re de’ re, ti giunge;
Tu vacillando nel tuo cocchio a terra
Cadi; ma sul tuo capo ecco prostesi
Cento scudi d’eroi. Muto stupore
Al tuo cadere i popoli confonde.
Stanno attoniti, immobili. Percote
Ajace invan lo scudo ampio col brando
A rinfiammar i suoi guerrieri. — O Ajace,
Solo tu pugni e contro il ciel. Volava
L’aquila intorno alla tua culla, e Alcide
Entro la pelle d’un leon sanguigna
Ti ravvolgeva infante. Ah non ti tolse
L’esser mortal; ritratti: eterno è il fato;
Le Parche ti circondano. E un Iddio,
Manifesto un Iddio serba la vita
D’Agamennone a piú funeste mani! —
Ecco il carro d’Ulisse; a rivi il sangue
Dal rotto usbergo gli prorompe; a stento
Regge le briglie; ma col guardo pugna
E con la voce moribondo. Rapide
Le sue ruote sorvolano i cadaveri
Di schiera in schiera. A’ Tessali si mesce
E a’ Salamini inerme; e l’odon tutti,
Torcendo ad Ilio furibondi il volto. —
... Spaventoso silenzio!... E non fremea
Di minacce, di carri, e d’omicidi
La terra intorno?... Appena odo da lunge
Il burrascoso muggito del mare. —
O! vi siete tra voi svenati tutti!
Rapido il campo su le vie di Troja
S’affretta. — Ajace,... Ajace solo a noi
Torce i destrieri a disperato corso. —
Odi il fragor delle sue ruote... Ei giunge.