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Io tremo:
Che deggio io far?... tu che rivolgi in mente?
Non gloria a me, nè libertà, nè speme,
Tranne il mio brando e questo petto ov’io
Piantarlo possa, a me nulla piú resta.
Va’, di’ ch’io muojo, e fia tronca ogni rissa,
Oh ciel!... Tu dunque rapirai i tuoi giorni
Al voler degli Dei!... Tu d’inaudita
Colpa agli Achei primo darai l’esempio!
Fellone io sembro, e viver deggio? — dove? —
Per chi? Fu vano tanto sangue offerto
A libertà; vinto fu Atride, e pugna.
Posso domarlo io piú? trarrò alla rissa
I pochi amici della mia sventura
Or che il furor de’ barbari sovrasta
Al popol nostro? Affronterò i Trojani?
Ma non gli affida il fratel mio? Già i Greci
La mia difesa abborrono. Nè posso
Pugnar se il mio fratel io non uccido,
Onde recar poscia alla patria i miei
Ceppi e l’obbrobrio e il lutto. — O se vedessi
Tu come l’infortunio in sí poche ore
M’ha trasmutata l’alma!... io... quel fratello
Ch’ebbi sí caro, e tuttavia fedele
Stimo,... io talor d’atri disegni accuso:
Sgombrarsi il mio trono paterno ei tenta.
Forse; e s’ei vince svenerà il mio figlio.
In sí bassi, tremanti, orridi sensi
Or la vita io protraggo! — Se di noi
Han cura i numi, e m’han dannato a tristi
Servili dí, non mi dorrò dell’alta
Ingiusta legge; eluderla ben posso. —
Va, riconcilia e salva i Greci; in tempo
Sei forse.
... Teco noi trafiggi... e mentre
L’evento ignori de’ consigli eterni
Tu lo precidi. Indugia almen... per poco
Spera...
Se il figlio orfano mio distormi,
Nè quella ch’io morendo amo piú sempre,
Non può; tu certo nol potrai. Ben sento
Freddo un orror nel perdere la luce
Del giorno: odo ulular i disperati
Miei genitor nel funereo deserto
Delle mie case... — Il suo materno seno
M’apre intanto la terra; ed altro asilo
Che in quelle sacre tenebre non trovo. —
Deh vola; salva con Atride i Greci,
Fa santo il scettro del tiranno; il mio
Capo e di Teucro al Tartaro consacra;
Reca al volgo i suoi numi; uniche vie
A ricondurlo alla comun difesa
Fien oggi: va... Se mai cedono i Teucri
Avvisa i re che su la Grecia pende
L’ambizïon d’Agamennone, pende
Sovr’essi il ferro e la calunnia e Ulisse.
Di’ che del morir mio solo conforto
M’è il ridestarli omai... se rammentarmi
Sdegnano, almen di Palamede, almeno
Giovi il tremendo esempio... — Tu i miei fati
... Ohimè — che all’orrido proposto
Ti lasci! almen...
E tu abbracciarmi, o giusto,
Potresti? Vedi di che sangue io grondo.
Or di Lete la sacra onda lavarmi
Dovrà. Ben tu l’esangue Ajace ignudo
Amerai sempre. A quegl’iniqui invola
Il cadavere mio: l’ascondi dove
Nessun m’insulti e gridi: Ecco la fossa
D’un traditor.
La moglie tua, che a te, misera! torna?
Poichè tu il brami, l’empio Ilio trionfi;
Tu inorridisci intanto...
Men infelice di me vivi! — Addio.
Gl’iniqui e i giusti un fulmin solo atterra.